Grazie Andrea

È stata quella di oggi una perdita improvvisa e dolorosa, sia per noi che gli eravamo amici e colleghi sia per il buon giornalismo che in Andrea Purgatori aveva e mi auguro continuerà ad avere un campione e un maestro. Perché sono ben pochi i colleghi capaci di sostenere senza annoiare, come Andrea ha fatto per anni, ore di inchiesta televisiva. E a nome di tutti quelli che ne avvertono la mancanza faccio mio il ringraziamento di Gilberto Squizzato. (nandocan)

di Gilberto Squizzato

Il congedo così rapido, fulminante e doloroso da Andrea Purgatori che ci è stato oggi imposto dalla sua morte produce sicuramente in molti di noi il senso di un vuoto incolmabile che si è aperto nello stentato panorama dell’informazione giornalistica italiana, in particolare di quella televisiva.

Soprattutto ci viene infatti oggi a mancare il settimanale termine di confronto fra vero giornalismo e inutile chiacchera televisiva. A emergere in tutta evidenza è la radicale differenza qualitativa fra la sua imperdibile “Atlantide”, esemplare modello di vero giornalismo d’inchiesta (sul presente ma anche sul passato) e gli ormai insopportabili e pleonastici talk show – condotti purtroppo anche da giornalisti/e attribuiti alla sinistra che imperversano sulle tante reti italiane.

Chiediamoci dunque dove passa radicale questa differenza. È facile dirlo, se non si è accecati dalle smanie della rissa ideologica e politica. Eccolo detto in breve.

I programmi (tutti) di Purgatori si proponevano come scopo la conquista di un piccolo ma importante passo in direzione di verità ancora sconosciute. E proprio per questo erano strutturati sulla razionale progressione di “vere” domande, seguendo sì un percorso progettato da Purgatori, ma appunto in funzione dell’analisi di dettagli, indizi, ipotesi capaci di produrre una migliore e più approfondita, e mai scontata, lettura della cronaca (sociale, politica) e della storia.

Interpellando dunque testimoni essenziali degli eventi indagati e/o interpreti non ideologici (e dunque non faziosi) degli stessi, Purgatori riduceva il nostro margine di ignoranza, ci rendeva cittadini più consapevoli e preparati a emettere (seppur provvisori) ragionati e argomentati giudizi sulla realtà che viviamo o su quella che ha prodotto il nostro presente.

A che cosa assistiamo invece quando diventiamo spettatori dei talk show, che sono stati plasmati nella tv italiana non come autentiche inchieste ma come finte, fasulle, deteriorate applicazioni del principio (giustamente richiamato e imposto dall’allora presidente Scalfaro) della “par condicio” per contenere lo strapotere mediatico di Berlusconi padrone di Mediaset e anche di Rai come presidente del consiglio, così da garantire il diritto d’accesso anche alle voci discordi e opposte alla propaganda dell’allora Cavaliere, dominus della politica mediatica italiana?

Assistiamo alla messa in scena di copioni studiati a tavolino per conquistare audience (e dunque introiti pubblicitari) facendo di noi degli inconsapevoli tifosi dei diversi e contrapposti avversari chiamati a combatterli (a volte garbatamente, più spesso in modi anche irriguardosi e sguaiati) davanti alle telecamere guidate da accorte regìe.

Negli anni si è infatti imposto il modello di uno “spettacolo giornalistico” tutto imperniato sullo scontro verbale fra politici e opinionisti dei diversi schieramenti, trascurando totalmente lo scopo primario e sostanziale del giornalismo, che non è la propaganda mascherata da dibattito, ma la sincera e onesta ricerca di un surplus di verità, di conoscenza autentica, provata, approfondita degli eventi e delle loro cause.

In breve: il talk show (anche quello condotto da giornalisti “di sinistra”) è divenuto un vero e proprio circo mediatico che mette in scena il copione preordinato dal conduttore e dalla sua redazione, buttando nell’arena dello scontro verbale gli ospiti politici e i loro fiancheggiatori (quasi sempre i medesimi, previo concordato gettone di presenza) allo scopo di suscitare nello spettatore la stessa appassionata partecipazione emotiva di chi andava al Colosseo a vedere i gladiatori o va oggi ad assistere a una partita di calcio.

Avete sicuramente notato anche voi (e qui l’esempio più eclatante è quello messo in scena da Floris con le sue tabelle, le sua citazioni di questa o quella frase dei politici di volta in volta messi sotto esame, dei filmati di repertorio esibiti quando il copione lo prevede) che in questi programmi i fatti e le citazioni non si presentano come nuove e inedite informazioni, ma sono buttati nella mischia per eccitare la contrapposizione, lo scontro, auspicabilmente la rissa, così da consentire allo spettatore o di vedersi soddisfatto come tifoso di questo o quel personaggio o di sentirsi aizzato a deprecarlo ancora di più.

Floris, Berlinguer, Giletti, e tutti i conduttori di Mediaset (che non cito per nome) , e perfino Gruber, Parenzo, De Gregorio, Telese, Aprile de La7, seguono questo schema. Hanno pronte in serbo le provocazioni, ma anche gli assist, da sottoporre agli ospiti. Non sono dunque nuove acquisizioni della verità dei fatti a costituire lo scopo dei talk show ma il puro e semplice piacere italiano (travestito da par condicio) della polemica esasperata, dello scontro fra avversari irriducibili, dell’inconcludente e inutile rissa da bar fine a se stessa. Non diversamente appunto del famoso “Processo del lunedì”, primo seguitissimo esempio di bar sport televisivo lanciato su Rai Tre dal compianto Aldo Biscardi. Ma qui non si tratta di sport, si tratta di questioni serissime, vitali, decisive per il presente e il futuro del nostro Paese che decadono a pretesti per il litigio politico.

I talk show si riducono dunque a rassegne di “opinioni” il piú possibile animate ed accese, in cui si alza spesso la voce pretendendo di avere ragione. Raramente vediamo chiamati a presenziare in questi programmi cosiddetti giornalistici veri ed autentici esperti capaci di esprimere non opinioni (spesso di parte, dunque letteralmente “faziose”) ma ponderate e argomentate “interpretazioni” dei fatti, capaci di portarne alla luce aspetti ancora ignoti o non sufficientemente analizzati con adeguati strumenti. Per fare due nomi: è quello che accade invece quando, per esempio, Gruber invita Caracciolo a spiegare gli intricati retroscena delle vicende internazionali o Formigli chiama i grandi inviati di politica internazionale come Negri o Scavo.

Ma non è questo l’aspetto più deleterio di questo format solo apparentemente politico. Il fatto è che esso ingenera in milioni di spettatori la convinzione del tutto illusoria di partecipare in questo modo alla vita politica nazionale. È tutto il contrario invece. Perché si tratta di partecipazione fittizia in quanto esclusivamente virtuale, ridotta a tifoseria di partito, tutta comodamente giocata, solipsisticamente, sul divano di casa: una partecipazione illusoria e ingannevole esattamente come quella del tifoso che guarda le partite bruciando in questa esperienza emozioni e passioni da cui sente autorizzato a proclamarsi “uno sportivo”.
Quando invece la lotta politica, come troppo spesso noi stessi dimentichiamo, esige di essere agita nella concretezza della vita quotidiana.

I talk show sedicenti politici sono dunque, in realtà, l’oppio della politica, dissolvendo in una dimensione solitaria e virtuale l’impegno attivo e concreto nella dimensione reale.

Chiediamoci allora: quali sono allora oggi i veri programmi giornalistici di inchiesta che, come i reportage dell’insuperabile, commovente Francesca Mannocchi, ci portano sul posto, direttamente alla fonte della notizia, a diretto pulsante contatto con la realtà, esonerandoci dalla gratificante e ingannevole perdita di tempo del chiacchiericcio televisivo travestito da impegno politico? Con il cuore pieno di riconoscenza per ció che Andrea Purgatori è stato e ha fatto, lascio a voi la difficile risposta.

Scopri di più da nandocan magazine

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading