Gli americani guardano, ma stanno a guardare. Non sarà una ramanzina di Biden a Netaniahu a cambiare la presenza coloniale di Israele nei territori occupati. E l’aggressione dell’esercito israeliano a Gaza o la tracotanza dei coloni in Cisgiordania non toglieranno allo stato ebraico la benevolenza dell’America e dei suoi alleati (nandocan)
Piero Orteca su Remocontro
Gaza, addio ospedali. Fermo lo Shifa, quasi fermo l’Al Quds. Nella Striscia 11.240 morti. E i soldati alzano le bandiere israeliane nel parlamento palestinese.

Gli americani guardano, sempre più preoccupati, a Gaza, ma cresce l’allarme per il Libano del sud e la Cisgiordania. Soprattutto quest’ultima dove la diplomazia Usa deve conciliare il sostegno di Biden a Israele la realtà sempre più sgradevole dei coloni ebrei, che vanno indiscriminatamente all’attacco dei residenti palestinesi, spesso uccidendo, per spingerli a lasciare i loro piccoli villaggi. Pulizia etnica e democrazia israeliana nelle mani di invasati religiosi armati, denuncia ora la stessa stampa israeliana.
Gli ammazzamenti quotidiani in Cisgiordania
Nell’indifferenza generale, a partire dallo ‘Shabbat nero’ di Hamas, in Cisgiordania sono stati uccisi 196 palestinesi. Tutti terroristi? Certamente no, e a Washington come a Tel Aviv lo sanno bene. Alla fine di ottobre, si è sentito in dovere di intervenire lo stesso Presidente Biden, ammonendo Netanyahu sulla necessità di fermare l’ondata di aggressioni. Più recentemente, anche l’Alto commissario Onu per i Diritti umani, Volker Turk, ha sostenuto che «è dovere di Israele che tutti gli episodi di violenza siano indagati tempestivamente ed efficacemente e che alle vittime siano forniti gli adeguati rimedi. La continua e diffusa impunità per tali violazioni – ha aggiunto il Commissario – è inaccettabile, pericolosa e in chiara violazione degli obblighi di Israele ai sensi della legge internazionale riguardante i diritti umani».
Integralismi ebraici
La pericolosità di ciò che succede in Cisgiordania per la causa israeliana, è testimoniata dagli stessi giornali di Tel Aviv e di Gerusalemme, che hanno preso coscienza di una debolezza che può risultare distruttiva per l’immagine del Paese, ammettendo ci sia ancora qualcosa da salvare. Addirittura, il prestigioso quotidiano Haaretz ospita un commento di un giornalista arabo, titolando: «Mentre bombarda Gaza, Israele ora spara per uccidere i palestinesi in Cisgiordania». Mohammed Daraghmeh, caporedattore della tv Ashraq News scrive: «Tra i coloni violenti e l’IDF (esercito n.d.r.) i palestinesi in Cisgiordania stanno subendo un numero di vittime senza precedenti. Mentre la macchina di morte israeliana miete la vita di civili indifesi a Gaza, i palestinesi della Cisgiordania affrontano punizioni collettive e vendette per il 7 ottobre».
I coloni vogliono la guerra in Cisgiordania
Il giornalista descrive poi un attacco subito dalla sua troupe a Ramallah: «Anche quelli di Al Arabiya stavano trasmettendo dal balcone in quel momento. Il loro cameraman ha cercato di puntare l’obiettivo sui soldati. Uno di loro lo ha visto e ha aperto il fuoco». E ancora: «Bilal Saleh, 40 anni, è stato ucciso da un colono. L’obiettivo è chiaro. Diffondere la paura nei cuori di tutti gli agricoltori e i raccoglitori di olive palestinesi della Cisgiordania e spingerli a lasciare i loro campi». Per gli analisti israeliani di Haaretz, riflessivi e moderati, ma soprattutto con una visione ‘strategica’ della crisi, la valutazione che dev’essere fatta è una sola: «I coloni – titolano in un loro editoriale – stanno cercando di trascinare Israele in una guerra in Cisgiordania». E la situazione che sta sfuggendo di mano a Netanyahu è talmente seria che anche un giornale di centro-destra come il Jerusalem Post lancia lo stesso allarme di Haaretz.
Allarme anche a destra
Scrive, molto significativamente, il Post: «Non solo il terrore ebraico – un termine usato dai massimi capi della difesa del Paese per descrivere il fenomeno – è semplicemente sbagliato, e non solo non trova posto nello Stato ebraico, ma inquina e delegittima anche i residenti ebrei di Giudea e Samaria (la Cisgiordania, n.d.r.). Un vasto territorio nel quale la maggior parte dei cittadini sono rispettosi della legge». E proprio considerando la esplosività della situazione e i danni potenziali che ne potrebbero derivare, il Jerusalem Post conclude: «Mentre continuano ad agire con risolutezza contro il terrorismo mortale palestinese, le forze di sicurezza israeliane devono fare anche tutto il possibile per affrontare il terrorismo ebraico alla sua radice. Gli istigatori devono essere identificati e interrogati, mentre i colpevoli devono essere contrastati, arrestati e processati».
Il terrorismo non solo a Gaza
Quindi, oltre al peso devastante delle immagini della Striscia di Gaza spianata dai bombardamenti, il Segretario di Stato Usa, Antony Blinken, sa bene che proprio le notizie che arrivano anche dalla Cisgiordania, sulla feroce tracotanza dei coloni ebrei, possono contribuire a isolare la posizione israeliana (e americana) nel mondo. La sua inaspettata visita a Ramallah, dove si è incontrato con il Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen, ne è la conferma. E il parere espresso dall’Amministrazione Biden, sulla futura sistemazione di Gaza e della Cisgiordania, probabilmente è frutto proprio di questa ‘shuttle-diplomacy’, il va e vieni di Blinken. Capace di andare su e giù, come una trottola, per tutte le capitali del Medio Oriente.
L’Abracadabra dei ‘Due Stati’
Dai colloqui di Ramallah è uscita rafforzata la visione americana di uno scenario che prevede ‘due Stati’ e il no assoluto ai trasferimenti forzati dei palestinesi, pulizia etnica, purtroppo in corso da tempo su cui gli Usa si sono molto a lungo ‘distratti’. Quanto di questa ‘dottrina’ (che tenendo conto degli insediamenti ebraici, riguarda soprattutto la Cisgiordania) è stata fatta propria dal governo Netanyahu? Tra la non risposta e lo zero di fatto. Nessuno sa (e meno di tutti Biden) fino a che punto, nell’attuale strategia militare di Israele, confluiscano pesanti fattori di politica interna che decideranno anche le sorti personali di molti attuali governanti a rischio di futura galera. Insomma, il ‘day-after’ della guerra di Gaza non c’è e Netanyahu si rifiuta di tracciarlo. Il suo è un ‘work in progress’, sul modello ucraino: intanto si combatte, vediamo dove arriviamo e domani è un altro giorno.
Per l’America elettorale non va bene
Così, però, per gli americani non funziona. Già stanno perdendo rovinosamente pezzi, dal punto di vista geopolitico. Mettendosi il mondo contro e tirandosi appresso un Occidente mai così recalcitrante. Insomma, «il tempo sta scadendo» dicono le solite voci bene informate e Netanyahu deve darsi una mossa, per chiudere la partita, senza fare altre migliaia di vittime.
Perché, dicono a Washington nelle segrete stanze, l’autodifesa è sacra, come la sicurezza nazionale. Ma le offensive che lasciano solo terra bruciata si chiamano in un altro modo. E se va avanti così, gli Stati Uniti dovranno ricomprarsi, a suon di miliardi di dollari, quei quattro amici che avevano prima che scoppiasse la crisi.
- Sulla valutazione dei magistratiSi vuole introdurre la valutazione della Magistratura? Bene, allora li si faccia anche per gli altri poteri dello Stato. Per il Parlamento vedrei bene l’adozione del ‘’criterio di laboriosità’’: un quinto degli onorevoli e senatori più assenteisti nel biennio vengono sostituiti con elezioni suppletive programmate.
- ‘Peggio del presente, a Gaza, c’è solo il futuro’: Eric SalernoAltri ostaggi sono tornati a casa, tutti sembra, in relativamente buone condizioni di salute anche se traumatizzati dal rapimento e dalla prigionia nelle mani degli uomini di Hamas. In Israele manifestazioni di giusta felicità miste a paura per quello che è accaduto il 7 ottobre e per quello che potrebbe ancora succedere. Centinaia di video passano di mano in mano. In Israele e fuori.
- La differenzaÈ infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
- ScendereMi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
- La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con IsraeleLa feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington