Resistenza e resa

di Raniero La Valle, 12 agosto 2022

La guerra in corso in Ucraina e una campagna elettorale infelice, tra le più drammatiche nella storia della Repubblica, costituiscono l’intreccio perverso che ci troviamo di fronte. Dinanzi a queste due emergenze dobbiamo registrare purtroppo una risposta di rassegnazione e una doppia resa. 

Una doppia resa: nei confronti della guerra…

La prima nei confronti di questa guerra, che viene identificata con la “fine della pace” e il ritorno a un mondo diviso da un conflitto permanente tra il blocco occidentale e quello opposto. Tale conflitto, passando per la neutralizzazione della Russia, dovrebbe concludersi (ammesso che sfugga all’olocausto atomico) con la partita finale tra l’America (o la NATO) e la Cina. Questa visione comporta la fine della globalizzazione, il ritorno al mercato selvaggio in cui irretire anche il nuovo protagonismo cinese, l’abbandono delle politiche ecologiche, la rinunzia alla prospettiva di un’umana unità del mondo.

Qui la resa consiste nel dare tutto ciò per scontato, nel dedurne un unico allineamento possibile dell’Italia, quello con la NATO e l’Europa a lei fedele, e nel considerare ogni infrazione di questa ortodossia un attentato alla sicurezza dell’Italia: lo dice il coro mediatico e lo dice il ministro Di Maio, che invoca una Commissione parlamentare d’inchiesta per snidare quanti abbiano intrattenuto rapporti amichevoli con la Russia, dimenticando che la cura dell’amicizia con la Russia e con ogni altro  Paese faceva parte fino a ieri dei suoi doveri come ministro degli Esteri, e ignorando che l’ostinazione dei governanti nel voler dare la propria sicurezza in ostaggio alla NATO è quella che ha gettato l’Ucraina nell’attuale tragedia.  

…e della vittoria elettorale della destra

La seconda rassegnazione è quella all’incubo di una vittoria elettorale della Destra, che darebbe l’Italia alla Meloni, la “mujer” che non giudica il fascismo ma, imparziale, lo “consegna alla storia”. Di più, obbedendo ai sondaggi e miracolando la Destra, l’ingegnosa legge elettorale vigente riporterebbe al ministero degli Interni Salvini, che chiuderebbe in faccia ai naufraghi il chiavistello dei porti e, con appositi accordi, sulle orme di Minniti, provvederebbe a far loro riaprire le porte delle carceri e dei lager libici. Per non dire della festosa ascesa di Berlusconi alla presidenza del Senato, e magari al Quirinale. Qui la resa consiste nel considerare questi risultati come già acquisiti, abbandonandosi alla sindrome della sconfitta, e cercando di salvare il salvabile o almeno se stessi, “perdendo con onore”. 

Di fronte a tutto ciò, c’è un’iniziativa che anche Chiesa di tutti Chiesa dei poveri ha contribuito a promuovere. Tale iniziativa, di cui qui diamo l’annuncio, rappresenta un tentativo di resistere ad ambedue queste rassegnazioni e di reagire a questa doppia resa. Essa infatti incrocia sia la guerra che le elezioni, ed è sottoscritta da un gran numero di elettori, “sovrani e sovrane”, ispirati ai valori costituzionali e agli ideali di una vasta rete associativa del mondo laico e di quello cristiano. Si tratta di

un invito ai candidati di tutti i partiti a guardare più in alto e a prendere l’impegno di promuovere, nel futuro Parlamento, un Protocollo da sottoporre a tutti gli Stati e da allegare sia al Trattato sull’Unione europea che allo Statuto delle Nazioni Unite: un

“PROTOCOLLO SUL RIPUDIO SOVRANO DELLA GUERRA E LA DIFESA DELL’INTEGRITÀ DELLA TERRA”.

 Il ripudio è quello già sancito dalla Costituzione italiana e previsto dalla Carta dell’ONU, e comprende ogni forma di genocidio, compresa quella consistente in sanzioni indiscriminate. Questo   ripudio è detto sovrano (come è “sovrano” il debito!)  perché è richiesto agli Stati, e intende rovesciare la guerra sovrana e il suo dominio  come criterio del politico e arbitra del rapporto tra i popoli. Esso intende infine deporre ogni altro sovrano, economico, culturale o religioso, che si pretenda tale non riconoscendo alcun altro “al di sopra di sé”.   

L’adozione di questo Protocollo come integrazione e sviluppo dei Trattati esistenti, sarebbe in linea di continuità con altri grandi momenti della vita internazionale: con la Carta Atlantica del 1941, con la dichiarazione di Nuova Delhi del 1986 per un mondo libero dalle armi nucleari e non violento , con il Trattato INF Reagan-Gorbaciov per l’eliminazione dei missili a raggio intermedio del 1987, con il Trattato dell’ONU per la proibizione delle armi nucleari (TPNW del 2017).

Il Protocollo proposto comporterebbe la definitiva abolizione e interdizione delle armi nucleari e delle altre armi di distruzione di massa. Esso segnerebbe anche il superamento della NATO  e di ogni altra alleanza difensiva di parte, che sarebbero sostituite da un nuovo  sistema di sicurezza collettivo, garantito dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e dovrebbe cominciare da  una  riduzione graduale e condivisa delle spese militari nonché della fabbricazione e del commercio di tutti gli armamenti. 

Il Protocollo sancirebbe anche il dovere della difesa della Terra, patria e madre di tutti, nonché  la rinunzia a modificare con la forza i confini degli Stati, la liberazione e il riconoscimento del diritto e dell’autodeterminazione dei popoli, e si concluderebbe con l’indicazione dell’obiettivo finale, che è quello di  una Costituzione della Terra che assicuri giusti ordinamenti  e  la garanzia dei diritti e dei beni fondamentali per tutti  gli uomini e le donne del Pianeta  nessuno escluso. 

Il testo del Protocollo si trova in questo sito, a questo link ed una sua presentazione si trova in una relazione dal titolo “Invece della vittoria” tenuta da Raniero La Valle a “Tonalestate”, una Università internazionale estiva nata negli anni Novanta da una rete di centri culturali di vari Paesi del mondo. All’appello  rivolto ai candidati si può aderire con la firma da inviare all’indirizzo mail: 

ripudiosovrano@gmail.com.  

Con i  più cordiali saluti 

www.chiesadituttichiesadeipoveri.it


  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)
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