Reader’s – rassegna web, 6 giugno 2022

Salario minimo

Occorre fissare un salario minimo, ma anche uno massimo. Il primo è indispensabile per combattere la piaga del ”lavoro povero”; il secondo, è necessario per ritrovare una forma di equità tra retribuzioni-base e apicali.

Ai tempi della Fiat, Valletta prendeva uno stipendio pari a 10 volte quello di un operaio. Quando se lo aumentò a 12 volte, Olivetti si scandalizzò e lo criticò pubblicamente. Nel tempo, questa forbice si è allargata a dismisura. Ora ci sono alti dirigenti che arrivano a guadagnare 2000 volte lo stipendio medio dei loro operai.

Questioni interne alle società private, dicono i fautori radicali del neoliberismo, rivendicando la libertà di un’impresa di assumere i migliori manager con retribuzioni competitive. Nulla da eccepire sul piano formale, ma almeno lo Stato potrebbe fissare un limite al rapporto retribuzione minima/massima, oltre il quale sarebbe preclusa per una società ” fuori scala” la possibilità di poter godere delle varie agevolazioni pubbliche.

Alzando il salario minimo e scoraggiando quelli stellari non si risolverebbero i problemi dell’occupazione, ma almeno si darebbe un forte segnale di equità, importante per un Paese come il nostro, affamato di giustizia sociale.

Suggerimento valido, questo di Marnetto, ma probabilmente poco realistico nel contesto italiano, dove i trucchi per aggirare una direttiva come questa sarebbero ancora più facili di quelli adottati per evadere il fisco. Comunque, sottolineare come lui fa abitualmente, ogni forma di iniquità può servire se non altro a indicare obbiettivi concreti ad un elettorato ancora insufficientemente “affamato di giustizia sociale” (nandocan)


Estonia, cacciati i ministri ‘filo russi’

La prima ministra Kaja Kallas ha chiesto e ottenuto la rimozione di alcuni ministri che accusa di essere troppo vicini alla Russia. La prima ministra, in carica da circa un anno e mezzo e leader del partito centrista dei Riformatori, ha chiesto e ottenuto dal presidente la rimozione di sette ministri del Partito di Centro, accusandolI di avere mantenuto diversi contatti con la Russia anche dopo l’invasione dell’Ucraina. Ed è crisi di governo.

La Russia male assoluto

«La situazione della sicurezza in Europa non mi permette di continuare a lavorare insieme al Partito di Centro, che non è in grado di mettere gli interessi dell’Estonia al di sopra dei propri», ha dichiarato la premier Kaja Kallas, ma secondo diversi commentatori la relazione con la Russia è solo uno dei fattori che hanno portato alla crisi di governo. I Riformatori accusano apertamente il Partito di Centro e il suo leader, Jüri Ratas, di promuovere gli interessi della Russia, con cui l’Estonia condivide un confine di circa trecento chilometri.

Gli estoni di etnia russa

Il Partito di Centro -nel Parlamento Europeo siede col gruppo liberale di Renew – ma buona parte del suo elettorato è composto da estoni di etnia russa, e negli anni è stato spesso accusato di un atteggiamento eccessivamente morbido con la Russia di Putin, segnala il Post. Il Financial Times fa notare che prima della guerra aveva persino un rapporto di collaborazione formale con ‘Russia Unita’, il partito di Putin, accordo cancellato soltanto dopo l’invasione dell’Ucraina.

‘Riformatori’ ma non troppo

In queste settimane Kaja  Kallas è stata una dei leader europei più intransigenti nei confronti della Russia, e ha chiesto più volte in sede europea maggiori aiuti all’Ucraina e sanzioni più dure nei confronti della Russia. A fine marzo ha anche pubblicato un duro articolo sul New York Times intitolato «Putin non può pensare di vincere questa guerra», una affermazione molto commentata anche a livello internazionale.

Non è chiaro se il Partito di Centro si sia comportato in questo modo perché ritiene che il governo guidato da Kallas stia facendo un cattivo lavoro, oppure perché vuole far cadere il governo per la sua politica estera molto aggressiva, ritenuta da più parti persino pericolosa per la sicurezza del piccolo Paese.


Sull’articolo 11 della Costituzione italiana.

di Giovanni Lamagna, 6 giugno 2022

L’articolo 11 della Costituzione italiana così recita testualmente: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”

È ovvio che anche gli articoli della Costituzione, come quelli di una qualsiasi altra legge, vanno interpretati per coglierne i sottintesi e chiarirne le questioni aperte o non del tutto esplicite. Vanno però interpretati, non stravolti. Invece, negli ultimi tempi di questo articolo si tende a dare un’interpretazione che ne stravolge, deforma lo spirito e financo la lettera.

A me sembra, infatti, che esso dica tre cose fondamentali e le dica in maniera cristallina, come cristallina è l’acqua di una sorgente montana.

1.“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.”

Questo vuol dire che l’Italia non può attaccare altri Stati, altre nazioni; e questo – almeno finora – nessuno ha avuto il coraggio di metterlo in discussione.

E vuol dire che non può prendere in considerazione la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; e, invece, questo principio è stato disatteso (e, secondo me, gravemente) nel corso della vicenda ucraina.

Infatti, in questa vicenda la guerra viene nei fatti sdoganata dall’Italia come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

E’ indubbiamente vero che l’Ucraina ha subito un’invasione da parte della Russia e che l’Italia si è schierata a favore dell’Ucraina e non a favore della Russia. E’ anche vero, però, che inviando armi all’Ucraina, quand’anche “solo” per difendersi dalla Russia, si è ricorso nei fatti a strumenti di guerra per risolvere una controversia internazionale insorta.

2. L’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni;” Questo vuol dire che è del tutto legittimo che l’Italia faccia parte di alleanze internazionali, che ne limitino in parte la sovranità. Ma questo deve avvenire “in condizioni di parità con gli altri Stati” che fanno parte di tale alleanza. E che questa alleanza deve assicurare “la pace e la giustizia fra le Nazioni”.

Ora possiamo dire che nella Nato l’Italia goda della stessa condizione di altre nazioni; faccio un solo nome: gli Stati Uniti? E possiamo dire che la Nato si sia sempre mossa, da quando esiste ed anche in quest’ultima vicenda ucraina, per assicurare “la pace e la giustizia fra le Nazioni”? A me pare che ad entrambe queste domande non si possa dare una risposta affermativa.

Ecco perché ritengo che anche di questo secondo comma dell’art. 11 della Costituzione molti commentatori e decisori politici abbiano dato in passato e diano soprattutto oggi, nella odierna situazione, una interpretazione quantomeno forzata, se non del tutto infondata e stravolgente.

3. L’Italia “promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”; cioè “la pace e la giustizia fra le Nazioni”. Ora, tra tutte le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo, l’ONU è senz’altro la principale e più autorevole.

Risulta a qualcuno che l’Italia si sia adoperata particolarmente nella vicenda ucraina per assegnare e far svolgere all’ONU il ruolo che gli sarebbe spettato di diritto? A me non risulta!

L’Italia ha concordato le sue mosse con l’Unione Europea e, forse, ancora prima con la Nato, ma non ha certo brillato per mettere al centro il ruolo e l’azione dell’ONU.

Anche da questo punto di vista, quindi e a mio avviso, l’Italia o, meglio, il suo governo e il suo Parlamento hanno gravemente disatteso la lettera e lo spirito dell’art. 11 della loro Costituzione.

‘La rete di Putin in Italia’, tentazioni di caccia alle streghe

Ennio Remondino su Remocontro

Chi sono gli influencer e gli opinionisti che fanno propaganda per Mosca, il titolo forte del Corriere della Sera. Fonte, il Copasir, la commissione interparlamentare di controllo sui servizi segreti, che i pochi segreti veri che le vengono rivelati, li interpreta inevitabilmente in chiave di appartenenza politica. Fonte di partenza, certamente l’Aisi, il braccio più ‘carabinieresco’ degli spioni di casa. Un tempo si chiamava ‘Contro spionaggio’ e le tentazioni di polizia politica evidentemente resistono. Certamente in casa Copasir dove il vincolo del segreto a cui sono tenuti, viene spesso ‘interpretato’.

La trama

«La rete è complessa e variegata», la premessa di Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini, le autrici. «Coinvolge i social network, le tv, i giornali […] e lo fa potendo contare su parlamentari e manager, lobbisti e giornalisti». Ma il peggio deve ancora venire: «La rete filo-Putin è ormai una realtà ben radicata in Italia, che allarma gli apparati di sicurezza perché tenta di orientare, o peggio boicottare, le scelte del governo».

L’indagine

«Il materiale raccolto dall’intelligence individua i canali usati per la propaganda, ricostruisce i contatti tra gruppi e singoli personaggi e soprattutto la scelta dei momenti in cui la rete, usando più piattaforme sociali insieme — da quelle più conosciute come Telegram, Twitter, Facebook, Tik Tok, Vk, Instagram, a quelle di nicchia come Gab, Parler, Bitchute, ExitNews — fa partire la controinformazione».

Bersaglio Draghi

La campagna di strumentalizzazione via social, scire il Corriere, con l’invio delle armi italiane all’Ucraina. Ed arrivano i primi nomi dei ‘depistatori’ che noi evitiamo di ripetere, limitandoci ai bersagli che i cattivi volevano colpire. L’ambasciatore italiano all’Ue, «Ma il vero bersaglio delle imboscate via social è Draghi, la cui maggioranza ha ben tre leader, Salvini, Berlusconi e Conte, che non si sono schierati senza se e senza ma con l’Ucraina, il Paese aggredito da Putin».

Bombardamenti ‘filo putiniani’

Preso di mira più volte il presidente del Copasir, Adolfo Urso. La presenza di formazioni paramilitari di matrice neonazista è uno filoni più battuti, spesso con dati di fatto «ma veicolati da mezzi di informazione statali russi». Personaggi simbolo di questi pericolosi ‘infiltrati’, citriamo solo due nomi. Alessandro Orsini – l’ex docente dall’Università Luiss dopo il clamore suscitato dalle sue apparizioni televisive – campione di affermazioni storiche proposte nel peggior modo possibile. O il grillino anti governativo Vito Petrocelli che si rifiutava di lasciare la presidenza della commissione Esteri.

L’intelligence esteri russa Svr

Strategic Culture Foundation, ritenuta dagli analisti «rivista online ricondotta al servizio di intelligence esterno russo Svr» e che, assieme a Russia Today, «artefice di una campagna massiccia contro le sanzioni». «Per ingrossare l’esercito dei filo-putiniani d’Italia, ci sono movimenti che agiscono attraverso i siti in lingua russa. Su VKontakte (VK) troviamo la Rete dei Patrioti, che posta (in italiano) messaggi contro Salvini, forse con l’obiettivo di ‘rubare’ proseliti alla Lega».

La campagna della Russia anti Italia

  • Bis il giorno dopo, stamane. «La propaganda sulle armi, le sanzioni e la ‘russofobia’ partita dal ministero degli Esteri di Mosca e subito rilanciata da social, influencer e opinionisti».
  • «Su questa attività, che punta a diffondere notizie false per scopi di propaganda, l’indagine del Copasir è in fase avanzata».
  • «Gli analisti e gli esponenti del Comitato parlamentare di controllo sull’attività dei servizi segreti prevedono che la pressione aumenterà nei prossimi giorni, come sempre avviene in corrispondenza di scadenze politiche e parlamentari cruciali».
  • «Come si è visto sin dalle prime settimane del conflitto, la propaganda si attiva per screditare l’azione dell’esecutivo guidato da Draghi e per dimostrare che le sanzioni «danneggiano soprattutto chi le decreta».

La «russofobia»

L’ambasciata russa ‘nemica’. L’Italia è accusata di essere in prima linea nella «russofobia» e il 28 marzo si avvia la petizione su Change.org «contro la disumanizzazione del popolo russo da parte dei nostri media». Poi la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova: «Per la mancanza di materie prime russe molti produttori di carta, vetro, cosmetici, potrebbero dover chiudere». Sanzioni boomerang con «L’Ue è costretta a tornare sui propri passi e pagare il gas in rubli».

I documenti ‘riservati’, agli amici

«Ci sono diverse influencer russe attive, secondo gli apparati di sicurezza, nel lavoro di disinformazione e propaganda». Ad evitare di finire anche noi di RemoContro, nel calderone dei presunti ‘nemici di Stato’ (decisi non si sa bene da chi), andiamo a precisare subito che noi usiamo come fonti dei nostri modesti contributi giornalistici spesso critici nei confronti delle scelte Occidentali e Nato, i migliori Centri studi e la migliore stampa statunitense e internazionale, decisamente meno schierati di una parte di stampa italiana. Analisi ricche di molti legittimi dubbi sulla gestione di questa gravissima crisi internazionale.


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