Reader’s – 9 settembre 2022. Rassegna web

Coerente con una visione illuminista della realtà, Marnetto rifugge dal coinvolgimento mediatico col nazional popolare che porta ancora milioni di italiani ad appassionarsi alle vicende della famiglia reale per eccellenza. E che la morte della regina Elisabetta dopo settanta anni di regno li terrà attaccati agli schermi televisivi più del democratico dibattito preelettorale nel loro paese è un boccone difficile da digerire. Massimo, datti pace. Perfino io, che sono perfettamente d’accordo con te, quando leggo che l’annuncio della morte della sovrana viene tradizionalmente data al Primo Ministro con la frase “London Bridge is down” un pochino, anche se solo un pochino, mi emoziono.

Sangue rosso e sangue blu

di Massimo Marnetto

Rispetto la morte della regina Elisabetta, a cui riconosco di aver svolto il suo ruolo con dedizione. Ma il fatto è che non attribuisco alcun ruolo ad un re o a una regina. Se non quello di interpretare una meta-vita, dove il popolo possa assistere a nascite, matrimoni, scandali e morti, estasiato da una scenografia fatta di castelli, carrozze, guardie, cavalli e cani (se un re va in bicicletta non serve a niente).

Per emozionarsi a questo spettacolo bisogna calarsi nei panni del suddito. Io invece credo che nessuna persona debba inchinarsi verso un suo simile. Ciò detto, va dato atto alla regina della sua serietà, rispetto ad altri coronati inconsistenti. Il fatto che sia morta l’8 Settembre a noi italiani ricorda un nostro re, che invece di fronte alle difficoltà è scappato. Paragone doloroso, ma superato dall’avvento di una splendida Costituzione, che proclama l’uguaglianza, un principio difficile da attuare. Ma da allora, il sangue blu è tornato rosso. Per tutti.


Per un’alternativa reale

di Raniero La Valle


Cari Amici,
mentre l’Italia sta rotolando verso le elezioni del 25 settembre i maggiori protagonisti della vita internazionale stanno prendendo le loro posizioni in vista del grande confronto planetario che stanno predisponendo per i prossimi decenni.

Il ricatto e l’economia di mercato

E mentre enuncia a Vladivostok la banale regola dell’economia di mercato secondo la quale senza pagarne il prezzo non si può acquistare un prodotto, e perciò se l’Occidente non vuole pagare il gas russo, di quel gas deve fare a meno, l’ineffabile Ursula Von Der Leyen Presidente della Commissione Europea grida al ricatto e dice che Putin ci ha abituato alle sue sfide e quindi non bisogna neanche starlo a sentire, come se Putin non fosse il capo di un Paese che si estende dalle frontiere occidentali a Vladivostok, ma un capitano reggente della repubblica di San Marino.

L’idea insensata che le armi nucleari rimarranno chiuse

Intanto la Russia perfeziona le sue alleanze con la Cina e le potenze asiatiche, gli Stati Uniti stringono i legami atlantici con l’Europa e il Giappone, e la Turchia rivendica un’improbabile funzione demiurgica di arbitro tra le due orripilanti fazioni.
Dovremo impiegare le migliori energie per capire il senso di tutto ciò, per estrarne la residua eventuale razionalità, per capire la logica rovesciata di chi programma una lunga guerra mondiale con l’idea insensata secondo cui le armi nucleari rimarranno chiuse nei loro arsenali e non verranno a inquinare le carneficine diversamente prodotte in tutto il mondo per dominare sulle superstiti rovine.

Sembrano anni luce da quando la guerra fredda finì, e dobbiamo perfino rimpiangerla guardando i geni da cui oggi il mondo è governato. Ha il sapore di una nemesi doverlo fare nel momento in cui muore Michail Gorbaciov, che fu l’ultimo Capo dell’Unione Sovietica, la grande antagonista di allora. Si temeva l’apocalisse nucleare che avrebbe concluso quel conflitto, e invece venne fuori la proposta da lui formulata insieme al premier indiano Rajiv Gandhi a Nuova Delhi, di “un mondo libero dalle armi nucleari e nonviolento”.

27 novembre 1986: La proposta di M. Gorbaciov e Rajiv Gandhi

Era il 27 novembre 1986 e i due leader rivendicando di rappresentare oltre un miliardo di uomini, donne e bambini dei loro due Paesi, “che insieme fanno un quinto dell’umanità intera”, scrissero che “la vita umana è il valore supremo”, che “il mondo è uno e la sua sicurezza indivisibile” e che “Est ed Ovest, Nord e Sud, indipendentemente dai sistemi sociali, dalle ideologie, dalle religioni e dalle razze” dovevano “essere uniti nella fedeltà al disarmo e allo sviluppo”, garantire giustizia economica e rinunciare agli stereotipi “di chi vede un nemico in altri Paesi e popoli”.

La caduta del muro di Berlino

Una proposta politica di una lungimiranza senza precedenti, che però non fu degnata nemmeno di una informazione dai grandi giornali d’Occidente (fu pubblicata invece dalla rivista “Bozze 87”).
Tre anni dopo, a conferma di questa dichiarazione, Gorbaciov fece aprire il muro di Berlino, che non cadde per nessuna insurrezione popolare ma per una decisione politica che il leader sovietico, interpellato dai dirigenti tedeschi, comunicò loro per telefono, mentre Andreotti salutava l’evento con la celebre battuta secondo cui amava tanto la Germania da preferire che ce ne fossero due invece di una sola felicemente riunificata.

L’errore di fidarsi dell’Occidente

Inutilmente Gorbaciov tentò di negoziare con l’Occidente una transizione pacifica a un mondo ricostruito sulle basi di un’altra etica e di un’opposta cultura politica. I grandi principi di democrazia, di libertà, di rispetto di tutti i Paesi, “grandi e piccoli” in nome dei quali si era giocata la grande partita ideologica della guerra fredda furono traditi, e Gorbaciov commise l’errore di fidarsi dell’Occidente che gli aveva anche assicurato che, sciolto il Patto di Varsavia, la NATO non si sarebbe allargata ad Est “neanche di un pollice” per tener conto degli interessi di sicurezza russi.

Tutte le delegazioni occidentali reduci dai negoziati con Gorbaciov registrarono nei loro resoconti questo impegno di cui però si trascurò di dare atto per iscritto in un documento formale.
Gorbaciov pagò il suo errore con la sua sconfitta personale e con la dissoluzione dell’URSS, la quale non fu l’inizio di un mondo nuovo dove trionfasse il bene. Papa Giovanni Paolo II ne fu molto deluso, mentre l’Occidente (in Italia toccò al ministro degli esteri De Michelis) gridò ai quattro venti che la guerra fredda era finita e che l’Occidente l’aveva vinta.

Da Costituente Terra un Protocollo per il ripudio della guerra

Per questo siamo oggi qui a contemplare le rovine di questo mondo nuovo, e non possiamo che tornare alla lotta politica per un’alternativa reale. Perciò con “Costituente Terra” abbiamo lanciato l’iniziativa di un Protocollo da allegare ai trattati internazionali esistenti e allo Statuto dell’ONU (se ne vedano a questo link le relative firme) perché il ripudio italiano della guerra e la difesa dell’integrità della Terra siano fatti propri da tutti i Paesi, cominciando dal superamento delle alleanze militari e dalla riduzione delle spese per gli armamenti.
Con i più cordiali saluti,

www.chiesadituttichiesadeipoveri.it


La Seduzione – (Centro Cultural Tina Modotti)

La nuova opera dello street artist Harry Greb comparsa in un vicolo di Roma ha trasformato l’Italia in una Biancaneve sedotta: di fronte a lei la strega cattiva con il volto di Giorgia Meloni, la presidente di Fratelli d’Italia, cerca di incantarla con una mela rossa. «La Seduzione nell’accezione negativa del termine, istigazione alla colpa, al male, con allettamenti e lusinghe», spiega l’artista nel post pubblicato sul suo profilo ufficiale di Instagram.


  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: