I negoziati sotterranei Usa-Russia a far pressione su Zelensky
da Remocontro

Nel giro di poche ore, la stampa statunitense prima ha riferito che l’amministrazione Biden esorta il governo ucraino a rimuovere la condizione di non negoziare con la Russia finché Putin resterà al potere. Poi ha rivelato che il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ha discusso più volte in questi mesi col proprio omologo russo Nikolaj Patrušev e col consigliere di Putin Jurij Ušakov per ridurre il rischio di allargare la guerra e per dissuadere Mosca dall’uso dell’arma nucleare, svela Federico Petroni su Limes.
Necessario e possibile trattare con Mosca
«L’esecutivo di Washington segnala a Kiev che è necessario e possibile parlare con il Cremlino. Come fatto per il rischio atomico, si potrà fare in un futuro non troppo lontano per un cessate il fuoco. Linea negoziale ancora troppo acerba per emergere in piena luce, ma non così distante da impedire di far vedere qualche barlume», la premessa di Limes, in una delle sue analisi attente.
L’intransigenza ucraina
«Gli Stati Uniti non vogliono che l’intransigenza ucraina chiuda strade percorribili. Inoltre, si mostrano attenti alla ‘fatica’, definita ‘cosa reale’, di alcuni alleati in Europa, Africa e America Latina (qui svetta il Brasile del neoeletto Lula, piuttosto scettico verso il presidente ucraino Volodymir Zelensky)». Gli americani in una posizione mediana tra la cautela degli europei occidentali e di buona parte del resto del mondo e l’oltranzismo degli europei orientali, il blocco dei baltici che velleitariamente la guerra la vorrebbero portare sino a Mosca.
Fare presto ad evitare, oltre all’uso della Bomba, un cedimento del fronte degli alleati prima che qualcuno. Esempio temuto la Germania, si chiami fuori dalla coalizione.
Crimea, la massima posta in gioco
«Decisiva, ma clamorosamente passata inosservata, la discussione sulla Crimea», rileva Federico Petroni. «Voglio vedere il mare», ripete Zelensky, e gli alleati concordano che l’Ucraina dovrà/dovrebbe comprendere la penisola strappata dai russi nel 2014. Difficile se non impossibile. Crimea di popolazione russa che torna all’Ucraina con le armi o attraverso un negoziato? Prima opzione con bomba atomica russa molto probabile, e la seconda nel futuro dei mai. Ed ecco spiegata la battaglia di Kherson, città decisiva per proteggere o colpire la penisola.
È probabile che Washington non diffonderebbe la voce di colloqui nucleari con Mosca se non pensasse di aver ricevuto qualche garanzia oltre Zelensky e senza Crimea. «Se fosse così, non sarebbe una cattiva notizia».
Brogli
di Massimo Marnetto
Quello che più mi colpisce nelle elezioni Usa di midterm non è il loro esito, ma la sfiducia nell’imparzialità del voto che Trump ha iniettato nel dibattito politico, fino a provocare l’assalto a Capitol Hill da parte dei suoi elettori. Molti dei quali ancora oggi pensano che Biden abbia rubato la sua elezione e che questa manipolazione corrisponda ad ogni sconfitta.
La democrazia poggia sulla regola condivisa di assegnazione del potere. Se si corrode questo pilastro, viene giù tutto il sistema. Negli Usa siamo vicini a questo collasso e sarebbe una tragedia. In Italia fu B. ad insinuare nel 2006 il broglio per delegittimare Prodi e riprese l’accusa successivamente nonostante la sua dimostrata infondatezza.
Ora, vista la crucialità della questione, sarebbe opportuno proteggere la reputazione del sistema di voto con maggior rigore. Così, chi evocasse il broglio elettorale – con un conseguente esito negativo della verifica – dovrebbe essere incriminato per condotta contro l’integrità dello Stato (art. 241 c.p.) e interdetto dall’attività politica.
Gli USA e il rispetto dei diritti civili
Dal “Manifesto”
…..Dei circa sei milioni e mezzo di nativi americani, 290.000 vivono in Arizona, membri di 22 tribù compresi Hopi, Navajo ed Apache. Due anni fa i loro voti hanno contribuito a consegnare lo stato tradizionalmente repubblicano a Joe Biden. Ma solo il 60% degli indiani esercitano il diritto di voto conquistato solo nel 1964. Ed il governo repubblicano dello stato si adopera affinché l’affluenza alle urne delle popolazioni tribali ri- manga più marginale possibile.
A questo scopo sono stati ridotti i seggi sulle riserve e squalificate per il riconoscimento carte di identità tribali. Era eloquente un cartellone esposto recentemente a Phoenix: «Avete preso le nostre terre ed i nostri figli. Ora volete privarci del voto?».
L’INIBIZIONE del voto dei nativi è emblematico di quanto la limitazione e la soppressione del diritto di voto – soprattutto delle minoranze etniche – rimanga una dinamica rilevante nelle elezioni americane.
Il fenomeno risale alla liberazione degli schiavi, dopo la quale gli stati segregazionisti istituirono subito una serie di arbitrarie norme, compresi esami di alfabetizzazione e gabelle, per soppri- mere la voce politica degli afroamericani e proteggere l’egemonia politica bianca. Sistemi analoghi vennero impiegati per reprimere le rinnovate rivendicazioni dei neri dopo la seconda guerra mondiale.
E solo con il Voting Rights Act ottenuto da Martin Luther King e promulgato da Lyndon Johnson nel 1965 – cento anni dopo la liberazione – gli afroamericani ebbero il suffragio per cui si era combattuta la guerra civile.
Peracottari
Roberto Seghetti su Facebook
A Roma la figura che questo governo ha fatto sul tema degli immigrati (oltre che immorale e indecente) si dice “da peracottari”. Ma non sarà l’ultima. Prendete la flat tax, che il primo dei peracottari d’Italia, Matteo Salvini, annuncia trionfalmente in revisione: i soldi per farlo non ci sono.
Dunque o prenderanno lo stesso una decisione e sfasceranno i conti sotto gli occhi dell’Ue e dei mercati, che per questo ci mazzoleranno, o faranno un’altra figura da peracottari con annunci roboanti a coprire il nulla o prenderanno qualche misurina farlocca che non convincerà nessuno di quelli a cui è rivolta (quelli i conti con il proprio portafoglio li sanno fare).
Altro che alto profilo, queste persone sono pericolose per i danni che possono fare al paese e nello stesso tempo sono straordinari peracottari allo sbaraglio.
Il Premio Morrione a Rainews24: speciale e prima visione dell’inchiesta vincitrice

Sabato 12 e domenica 13 novembre saremo a Rainews24 per due speciali condotti da Valerio Cataldi, a capo del pool di inchiesta della all news Rai.
- Sabato 12 novembre alle 18.30 lo speciale di circa 30 minuti interverranno in studio la nostra portavoce Mara Filippi Morrione e il presidente della nostra associazione Giovanni Celsi; in collegamento i finalisti e le finaliste di questa edizione: Francesco Boscarol, Cecilia Fasciani, Alessandro Leone, Francesco Tedeschi, Sofia Turati
- Domenica 13 novembre alle 20.30 andrà in onda per la prima volta l’inchiesta vincitrice “Sulla loro pelle“ e saranno ospiti in studio gli autori Alessandro Leone, Simone Manda, l’autrice Marika Ikonomu e la giornalista Giulia Bosetti, membro del direttivo e giurata del Premio Roberto Morrione.
In diretta su canale 48 digitale terrestre o su www.rainews.it
Ringraziamo Rainews24 per questa opportunità e per essere a fianco del nostro premio dalla sua nascita.
- La differenzaÈ infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
- ScendereMi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
- La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con IsraeleLa feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
- Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
- PazzoGuardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati. E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)