Avevo appena 7-8 anni quando, poco meno di un’ottantina di anni fa, vidi cadere e scoppiare le prime bombe dal cielo sopra Firenze e i giorni seguenti camminavo tra polvere e macerie nei dintorni di casa mia. Erano solo bombe “convenzionali” ma aiutarono a rendere poi indelebili anche per un ragazzo come me le terribili immagini del fungo atomico che negli anni successivi annunciarono l’inizio di una nuova era della Terra, con le tragedie umane e non solo umane di Hiroshima e Nagasaki. Non passò molto tempo che le bombe atomiche prima e quelle ad idrogeno dopo riempivano già gli arsenali degli Stati Uniti, dell’Unione Sovietica e di alcuni altri Paesi.
Noi figli della bomba
“Noi figli della bomba” titolava stamani su Facebook Luca Billi, uno dei commentatori più seguiti da me come anche, credo, dai miei amici. E poiché scopo di questa breve rassegna è anche diffondere quel tanto di buono, originale e interessante si riesce , spesso casualmente, a trovare in rete, ho pensato di riproporvelo in gran parte.
“Razionalmente – racconta dunque Billi – sapevamo che quelle bombe erano efficaci solo se non scoppiavano, anzi proprio perché non sarebbero mai scoppiate, che servivano a quella che si chiamava deterrenza. Eppure ne avevamo comunque paura, perché i loro effetti sarebbero stati imprevedibili. Avevamo paura che una bomba scoppiasse per errore o per mano di un folle, dando così il via a un conflitto dagli esiti catastrofici per l’intero pianeta”
“La paura della bomba era qualcosa che tentavamo di esorcizzare in molti modi, perfino a scuola, nei disegni in cui ingenuamente rappresentavamo gli uomini di Paesi diversi, un bianco, un nero, un cinese e così via – anche se i neri non avevano la bomba – tenersi la mano in un girotondo di pace, in un mondo finalmente libero dalla bomba. Capita ancora qualche volta di imbattersi in cartelli con la scritta Comune denuclearizzato; anche quello era un modo per esprimere, in maniera certamente velleitaria, l’impegno per la pace e per un mondo senza bombe. Quei cartelli avevano la stessa efficacia dei disegni che noi facevamo alle elementari. Quella bomba era un pericolo reale e incombente, contro cui le nostre speranze e anche il nostro impegno finivano inevitabilmente per soccombere”.
Qualche anno dopo, racconta Luca Billi,
Abbiamo smesso di avere paura della bomba.
“Le bombe c’erano – e ci sono – ancora, sono sempre là dov’erano prima, custodite negli stessi arsenali – anche se in qualche caso è cambiata la bandiera che ci sventola sopra. Molte negli anni sono state distrutte, ma non tutte, e sappiamo che quelle poche che sono rimaste sarebbero sufficienti per distruggere il pianeta. Non c’è ragione per essere tranquilli, eppure non abbiamo più paura. Forse è successo perché adesso abbiamo una paura più concreta, più reale, più probabile, come quella di rimanere vittime di un attentato terroristico. O abbiamo paura della pandemia. In fondo la bomba ci proteggeva, perché contribuiva a dare un ordine al mondo che, mancata la paura della bomba, è andato inesorabilmente perduto.
Quelli che non avevano la bomba
“Ovviamente questo è qualcosa che riguarda soltanto noi, che abbiamo avuto la fortuna di vivere in questa parte del mondo, quella che aveva la bomba, perché nei quasi cinquant’anni in cui è durata la “pace delle bombe”, negli altri Paesi del mondo, quelli che non avevano la bomba, le guerre sono continuate e in quei paesi le donne e gli uomini hanno continuato a morire per colpa delle bombe “normali”.
Noi vivevamo protetti dal fungo atomico, mentre là fuori i poveri si scannavano, quasi sempre in conflitti in cui combattevano al nostro posto.
Allora qualcuno di noi pensava e diceva che le guerre, tutte le guerre, dovevano finire, che non avrebbe più dovuto esserci la bomba, ma che avremmo dovuto anche rimuovere le cause che provocavano quei conflitti, che si continuavano a combattere con i fucili, in alcuni casi perfino con le spade e i coltelli.
Non è successo. La bomba è stata in qualche modo disinnescata, ma le cause di quei conflitti sono ancora tutte lì, anzi sono state in qualche modo acuite, perché è cresciuto il divario tra i pochissimi che hanno quasi tutto e i moltissimi che non hanno quasi niente, perché la guerra di classe che i ricchi combattono contro i poveri è sempre più violenta e crudele. E così la guerra delle bombe “normali”, dei fucili, perfino dei coltelli è tornata anche qui, dove ci eravamo dimenticati cosa significasse.
“Per questo- conclude la nota di un comunista anarchico di vecchio stampo ( ma ha l ‘età di mio figlio) Luca Billi – dobbiamo riannodare il filo del nostro impegno politico, ricordare cosa dicevamo un tempo, fare in modo che la nostra lotta sia la lotta di quella degli altri popoli, che non devono più essere nostri nemici, ma diventare nostri alleati. Dobbiamo ricordare, a noi e a loro, che i poveri del mondo devono combattere la stessa guerra, perché hanno gli stessi nemici, mentre ora ci fanno combattere su fronti opposti. E che, se vinceremo, vinceremo insieme”.
“Se comincia a muoversi anche il New York Times, allora significa che la casa rischia di bruciare” , annota oggi Piero Orteca su Remocontro. E il prestigioso quotidiano “liberal”, che ha sempre sostenuto l’attuale Amministrazione Democratica Usa, non è certo sospettabile di simpatie “filoputiniane”, come potrebbe gridare, scandalizzato, qualche profeta del giorno dopo che galleggia nella “mainstream” mediatica europea quando si parla della guerra in Ucraina.

‘Alcune riflessioni’ che prima mancavano
Ora infatti, nel New York Times, affiorano, come si dice dalle nostre parti, “alcune riflessioni”. Anche perché gli ultimi sondaggi continuano a dire che il “job approval” (diciamo, il consenso) di Biden rimane basso, mentre i “polls” elettorali premiano, addirittura, i Repubblicani.
Lo ribadiamo, per la centesima volta: le “Midterm”, a novembre, sono votazioni cruciali. Se Biden (il suo partito) esce sconfitto perderà il controllo del Congresso, dovrà sudare di brutto per far passare le leggi di spesa e, last but not least, probabilmente si troverà al centro di un’indagine del Senato, che riguarda anche il figlio Hunter.
Ma la cosa più importante ( e preoccupante, aggiungo io) è che potrebbe riaprire le porte della Casa Bianca, tra due anni e mezzo, agli avversari Repubblicani.
Che sono assetati di rivincita, mentre gli Stati Uniti appaiono un Paese sempre più profondamente spaccato: tra Est e Ovest, tra aree rurali e grandi insediamenti urbani, tra gruppi etnici e confessioni religiose, tra i pochi che si arricchiscono e i molti che tirano a campare. È un’America “democratica” solo sulla carta, prosegue Orteca, con il “Financial Times” che ricorda come, per ora, grazie anche alla guerra in Ucraina e ai prezzi fuori controllo dei carburanti, Oltreoceano, i “padroni del vapore” stiano facendo affari d’oro. Per non parlare, aggiungiamo noi, della fabbrica trilionaria di dollari rappresentata dai produttori di armi.
Guerra in Ucraina sempre più pericolosa
Uno degli opinionisti più conosciuti del “New York Times”, Thomas Friedman scrive: “La guerra in Ucraina sta diventando sempre più pericolosa per l’America e Biden lo sa. Più a lungo va avanti questa guerra, maggiori sono le possibilità di errori di calcolo catastrofici”. Un concetto condiviso da molti analisti e molto spesso ricordato, anche dagli ufficiali superiori del Pentagono.
Miscalculation e misperception
Friedman, nel suo articolo, passa poi dal concetto di “miscalculation” a quello di “misperception”. In sostanza, ciò che per gli Stati Uniti è solo un aiuto lecito (neutralità qualificata), può invece essere percepito dalla Russia come “cobelligeranza”? E cita le recenti rivelazioni dell’Intelligence americana, pubblicate dal NYT, sull’aiuto fornito agli ucraini per colpire l’incrociatore Moskva e per uccidere diversi generali di Putin. Comunque, se non altro, Friedman lancia una ciambella di salvataggio a Biden (almeno lui crede), dicendo che la fuga di notizie non era “pilotata” e che il Presidente non sapeva nulla del pastrocchio.
Combinato da qualche alto funzionario, ansioso di mettersi in evidenza con il New York Times (o di fare le scarpe a Biden?).
Friedman scrive che Biden ha convocato il Segretario alla Difesa, Lloyd Austin, e i responsabili dell’Intelligence e li ha insultati a sangue, “per chiarire che questo tipo di discorsi liberi è sconsiderato e deve cessare immediatamente, prima di finire in una guerra non intenzionale con la Russia”.
Pericolosamente verso una guerra diretta
Stiamo parlando del governo democratico della più grande potenza del pianeta, dove però il Presidente non si può fidare nemmeno del suo Ministro della Difesa e dei servizi segreti che, speriamo solo per “omesso controllo”, sono in grado di inguaiare l’America e, a seguire, l’Europa e il resto del pianeta.
“Lo sbalorditivo risultato – conclude un esterrefatto Thomas Friedman – di queste fughe di notizie è che suggeriscono che non siamo più in una guerra indiretta con la Russia, ma piuttosto stiamo andando verso una guerra diretta – e nessuno ha preparato il popolo americano o il Congresso per tutto questo”.
Per finire, Marnetto e la partenza del Giro. Il prossimo anno da Mosca?
E’ passato in sordina l’avvio del Giro d’Italia in Ungheria. Non sono un appassionato di ciclismo, ma ritengo irresponsabile coinvolgere in un evento così mediatico un governo sotto procedura UE per la violazione dello stato di diritto. Orban ha imbavagliato la stampa, rimosso giudici e pubblici dirigenti indipendenti, emarginato politici di opposizione, perseguitato minoranze sessuali. Era il partner peggiore per lanciare la più importante gara ciclistica nazionale, ma aveva un grande pregio: essere amico di Salvini (e della Meloni) e questa partenza fu decisa dal Governo di cui faceva parte la Lega.
In più, questi autocrati sono generosi quando si tratta di rifarsi l’immagine rovinata dagli abusi. E i nostri dirigenti sportivi non vanno tanto per il sottile se c’è da assecondare un politico influente. Anzi, la processione di bici farà persino un ”inchino” ad Orban, con un traguardo volante posto a Székesfehérvár, sua città natale. Allora viene un dubbio: vuoi vedere che il prossimo anno il Giro inizierà da Mosca?
- Mai tanti morti tra i civili, donne e bambini, come a Gaza…e nel Tg1 delle 13 le aperture su Gaza, con poco rispetto dell’attualità, riguardavano ancora oggi le malefatte e le minacce di Hamas e soltanto dopo cronaca e immagini di stragi e macerie procurate dall’invasione israeliana. Ma l’esodo forzato dei palestinesi inseguiti dai carri armati israeliani verso l’Egitto non può che riportare alla mente quello negli stessi luoghi degli ebrei inseguiti dai carri del Faraone. Forse Israele non riuscirà a distruggere Hamas, ma è già riuscito a distruggere Gaza. (nandocan)
- COP 28 a Dubai”Il petrolio non è responsabile dei danni all’ambiente”. “Ci vuole più atomo per salvare il pianeta”. Con questi due clamorosi proclami si chiude la COP 28, a Dubaii. Un mastodontico summit che – invece di entrare nel merito dell’abbattimento delle emissioni di CO2 – ha lanciato una sorta di ”negazionismo camuffato”. Quel pensiero che non rigetta il problema (surriscaldamento), di cui anzi si mostra preoccupato; ma ne elude la soluzione agendo sulla negazione delle cause (combustione fossili) e alterazione dei rimedi (nucleare), per evitare cambiamenti radicali (drastica riduzione dell’energia da fonti fossili).
- A che punto è la notteCome sentinelle abitiamo la notte di quest’epoca. Sapendo che la notte non è per sempre e l’alba arriverà. E sapendo, soprattutto, di non sapere quando arriverà.
- Crosetto o scherzetto?Per il Ministro Crosetto, Halloween continua e così si diverte con uno scherzetto alla magistratura. La tecnica è quella solita della destra: scegliere di colpire i giudici a freddo; evocare come reale una presunta attività eversiva delle toghe con la formula‘’mi dicono che’’ senza citare fonti e fatti.
- BBC mostra i resti di Gaza, li studia e li analizza, ed è racconto dell’orroreQuasi 100 mila edifici distrutti o danneggiati in tutta la Striscia di Gaza (la maggior parte nel Nord) dall’inizio dei bombardamenti israeliani. Questa, la tragica e scioccante contabilità, che emerge dal dettagliato report satellitare commissionato dalla BBC. Mentre le condizioni umanitarie fanno temere una seconda strage con devastanti epidemie.