Reader’s – 9 giugno 2022 (rassegna web)

di Ennio Remondino, 9 giugno 2022

Sconfiggere la Russia ma quanto e a quale prezzo, si chiede Limes. «Gli Usa vogliono che l’Ucraina sia un disastro per la Russia, indebolendo notevolmente la sua potenza militare per renderla un problema secondario. Ma andare fino in fondo comporta seri rischi. Le differenze con la Vecchia e la Nuova Europa». E Federico Petroni, nella sua analisi su Limes, dice ‘sì alla sconfitta di Mosca -se sarà-, ma senza la tentazione Usa che traspare attualmente, di esagerare‘, elencandone i rischi.

SEI PUNTI CHIAVE

1Gli Stati Uniti hanno sensibilmente cambiato gli obiettivi in Ucraina dall’inizio della guerra.

«Prima si preparavano a convivere con i russi in tre quarti d’Ucraina, Kiev compresa; volevano portare Zelens’kyj a Leopoli dove avevano già trasferito i propri diplomatici; da lì, intendevano armare un’insurrezione contro l’invasore. Ora dicono che gli ucraini possono vincere e che Mosca deve perdere male; Putin non può restare al potere e deve pagare per i suoi crimini; le sue armate devono subire una sconfitta così pesante da non poter più costituire una minaccia per i vicini».

2 Il 19 aprile, con l’inizio della battaglia del Donbas, non comincia soltanto la fase 2 dell’offensiva russa.

«Anche gli Stati Uniti entrano nella loro fase 2. Nel giro di nove giorni, stravolgono il loro atteggiamento. Soprattutto nella sua pubblicità. Allo scoppio delle ostilità, il supporto allo sforzo bellico di Kiev ha carattere surrettizio, è affare di intelligence, forze speciali, contractor (veterani). Gli occasionali addestramenti dei soldati ucraini vanno occultati. A Zelens’kyj si nega l’artiglieria pesante. Non si vuol dare ai russi l’impressione di scendere in guerra né una scusa per allargare il conflitto».

3 Perché l’amministrazione Biden cambia atteggiamento?

«Non è solo la diversa natura della battaglia del Donbas, morfologicamente più favorevole all’invasore. Le lacune mostrate dai russi nella prima fase delle ostilità generano un senso di opportunità tra gli americani. Per capirlo, bisogna calarsi nel punto di vista statunitense su Putin e considerare l’importanza della macchina militare nella rappresentazione della Russia».

4 Impedire a Mosca di fare cose come in Ucraina implica mosse al di fuori dell’Ucraina.

«L’embargo su gas e petrolio serve all’America non tanto per togliere a Putin i soldi con cui fa la guerra al vicino ma per togliergli quelli con cui finanzia la macchina militare. Per questo per Washington non è un dramma se l’Unione Europea non riesce a far approvare lo stop agli idrocarburi nell’immediato. Può arrivare anche fra anni, il punto è togliere al Cremlino una leva con cui alimenta non solo le Forze armate, ma anche una certa neutralità nei paesi meno spaventati dalla sua aggressività, in particolare Italia e Germania. Fa il paio con la sostituzione dei russi con aziende americane nelle centrali nucleari dell’Europa dell’Est».

5 Sul lungo periodo, il governo statunitense sembra avere le idee chiare.

«Russia isolata dall’Occidente, militarmente handicappata, contenuta da uno schieramento Nato più ampio e ad aumentata partecipazione europea. Ulcera insanabile nell’immediato ma non tale da mettere a rischio la vita del paziente. Prima o poi Putin sarà pensionato e allora le detteremo le nostre condizioni di scarceramento». Tutto bene, ma dov’è l’Ucraina? Il piano «indebolire la Russia» non dice nulla su come finirà la guerra.

6 È possibile che la posizione americana evolva dalla vittoria totale alla vittoria parziale?

«Consideriamo alcuni fattori. In primo luogo, il campo di battaglia. Non è interamente nel potere degli Stati Uniti andare fino in fondo. Non ha senso sfinire la cavalleria ucraina. L’unica a poter scalzare la Russia dalle sue posizioni è la Russia stessa, se crollerà il morale dei soldati, della popolazione o della classe dirigente. Inoltre, a insistere si rischia di oltrepassare una soglia inaccettabile per Putin, innescando una serie di provocazioni destabilizzanti».

Sintesi rude, originale articolato e complesso

  • In conclusione, gli Stati Uniti sono costretti a mostrare la faccia cattiva per ristabilire la deterrenza con la Russia, saltata nel pre-guerra, e mostrare a Putin che può perdere. 
  • Le spinte ad abbassare i toni sono minoritarie o non urgenti. In assenza di segni di cedimento dei russi, quella più importante potrebbe essere evitare che il conflitto finisca fuori controllo. 
  • Allora Washington potrebbe aprire uno spiraglio negoziale limitato all’Ucraina, mantenendo però il dispositivo di sanzioni, demonizzazione e contenimento militare pensato per indebolire Mosca nel lungo periodo. 
  • Più tregua in Ucraina, quindi, che nuova architettura di sicurezza. Anche perché adesso ancor più che negli anni Novanta è difficile immaginarsi che chiunque occupi il Cremlino adotti un atteggiamento collaborativo con gli americani, a differenza di allora visti oggi come il problema.

Attacco all’Eurasia

Questa ipotesi di spiraglio non annulla lo scenario di una destabilizzazione interna alla Russia. Gli Stati Uniti da decenni hanno interesse a non risolvere, quando non ad alimentare, il caos in Eurasia. Ma finora ciò è successo alle periferie dell’ex Unione Sovietica. Se succedesse dentro la Russia sarebbe una rivoluzione.

Il difficile per gli americani sarà creare un cuscinetto in Ucraina che tenga lontani i due schieramenti senza dare ai russi l’opportunità di attaccare o di dire di essere accerchiati. Forse non era più possibile già nel 2014, sicuramente oggi appare un’utopia. Ma, come sostiene Kissinger, almeno il concetto di un cuscinetto deve essere salvato. Perché questo processo è iniziato quando la Nato era a 1.600 chilometri da Mosca e ora si svolge a 450 chilometri dalla capitale russa.

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