Ieri in piazza di Spagna, davanti alla statua della Madonna, le lacrime di Papa Francesco per l’ostinato silenzio che segue alle suppliche e ai rinnovati inviti ad un negoziato di pace in Ucraina, potrebbero (forse dovrebbero) essere anche le nostre. Assuefarsi o addirittura programmare una strage di lunga durata o “di logoramento” sulla pelle di migliaia di ucraini non può essere accettato da chi “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” (art. 11 Cost.).
Pertanto, se l’invio di armi all’Ucraina poteva essere giustificato per aiutare un paese aggredito a resistere all’aggressore lo è molto meno se oggi rischia di ostacolare in ambo le parti la ricerca sincera e concreta di un negoziato. Questa guerra “per procura” ha già assunto il volto minaccioso di una guerra mondiale nel momento che ha posto politicamente (e non solo) una grande potenza nucleare contro l’altra, il mondo occidentale contro quello orientale.
Fingere poi che la decisione su aprire o meno le trattative per una tregua o un accordo di pace possa essere lasciata alla disponibilità di due o più leaders politici preoccupati di “salvare la faccia” supera davvero il limite dell’assurdo. Se non possiamo dividere l’umanità tra anti-putiniani e filo-putiniani, figuriamoci se possiamo farlo tra anti-Zelensky e filo-Zelensky, ora che la rivista americana “Time” ci invita a riconoscere nel leader ucraino “l’uomo dell’anno”. (nandocan)
‘Condottiero Zelens’kyj’ a rischio pace

*da Remocontro:
«Prima dell’invasione russa il gradimento del presidente ucraino era ai minimi. Pesavano l’economia, i metodi opachi e consociativi», sottolinea Fulvio Scaglione, questa volta da Avvenire a Limes. «Il conflitto ha riscattato un leader dimostratosi più che all’altezza. Ma in vista del dopoguerra già rispunta il vecchio, rodato sistema», avverte. Andiamo a guardare oltre le pur drammatiche ma spesso fuorvianti cronache di guerra.
L’attore che governava l’Ucraina in tv
«L’attore che ha governato l’Ucraina in tv sarà capace di farlo anche nella vita vera?». Titolo dell’ultraliberal New Yorker nell’Aprile 2019, dopo la travolgente vittoria con cui Volodymyr Zelens’kyj aveva spazzato via il presidente in carica Petro Porošenko. La prima risposta degli ucraini fu No, «almeno non più dei presidenti che lo avevano preceduto». Ora è spesso descritto come leader che offre il meglio di sé nel conflitto. Vero ma forse esagerato. In questo è senza dubbio il miglior presidente che l’Ucraina indipendente abbia mai avuto.
Oltre i miti, le cifre e i fatti
Zelens’kyj, o Zelensky, se preferite, viene eletto alla presidenza il 21 aprile 2019 con il 73% delle preferenze. Tre mesi dopo, elezioni politiche anticipate, seconda valanga e maggioranza parlamentare assoluta. «A settembre i sondaggi dicono che il 52% dei cittadini dell’Ucraina, in lizza con la Moldova per il titolo di paese più povero d’Europa, è ottimista per le sorti della nazione, contro un flebile 18% di pessimisti».
Luna di miele sempre breve
Nel marzo 2020 gli ottimisti sono scesi al 23%, pessimisti il 60%. A luglio il 51% non ha più fiducia in Zelens’kyj. Alle amministrative di ottobre e novembre 2020, il partito ‘Servo del popolo’ viene duramente sconfitto. Settembre 2021, il Kyiv International Institute of Sociology registra che l’approvazione per l’azione di Zelens’kyj si è ridotta al 33,3%. Un mese dopo il 71% degli ucraini pensa che il paese stia andando nella direzione sbagliata, con molti a chiedere elezioni presidenziali e/o politiche anticipate.
Zelens’kyj ‘politicamente morto’
Secondo il Razumkov Center di Kiev, in caso di presidenziali anticipate Zelens’kyj raccoglierebbe il 18,7% di voti. Supererebbe ancora il rivale Porošenko, ma se si chiede ai potenziali elettori per chi in ogni caso non voterebbero, Zelens’kyj passa in testa con il 31,9% contro il 31,6% di Porošenko. Dati politicamente certi alla vigilia dell’invasione russa del 24 febbraio 2022. E anche nell’ipotesi di un conflitto armato più ampio di quello in corso nel Donbas dal 2014, gli ucraini continuano a dubitare fortemente di Zelens’kyj.
Ora quel 91% di consensi
Come si concilia quel disastro con il trionfo attuale, con i sondaggi che danno a Zelens’kyj un’approvazione del 91%?
Vigilia di invasione
La guerra nel Donbas, a dispetto delle intenzioni elettorali e dopo qualche promettente segnale (scambi di prigionieri, una tregua, per Kiev restava un incubo geopolitico e un buco nero finanziario: nel 2021 la difesa assorbiva il 4,2% del pil in un Paese estremamente povero. All’interno un durissimo braccio di ferro con gli oligarchi, segnato da minacce di golpe e attentati….
Ucraina bisognosa fra Trump e Biden
Non ultimo problema, un’Ucraina bisognosa dell’aiuto statunitense e internazionale che si trova nel mezzo nel scontro tra Donald Trump e Joe Biden. «Con gli scandali veri e presunti del figlio di quest’ultimo, Hunter, per anni a libro paga di un’azienda ucraina gestita da russi. Ma erano davvero queste le ragioni primarie del crollo del consenso di Zelens’kyj?»
Pandora Papers
Il 3 ottobre 2021, rivelazione dei Pandora Papers: Zelens’kyj aveva costituito una serie di società offshore nelle Isole Vergini britanniche, a Cipro e nel Belize per proteggere i cospicui guadagni della fortunata carriera di attore e produttore televisivo e cinematografico. Ad aiutarlo diversi personaggi che dopo il suo arrivo alla presidenza avevano ricevuto importanti incarichi istituzionali, come Ivan Bakanov (capo dei servizi segreti ucraini) e Serhij Šefir (primo consigliere presidenziale)……
L’invasione russa cambia tutto
«L’invasione russa ha cambiato moltissime cose. Anche Volodymyr Zelens’kyj. Il finto uomo nuovo, che non sapeva o non poteva governare il paese della crisi economica e della mezza guerra nel Donbas, si è rivelato bravissimo nel governare l’Ucraina dello sprofondo economico (crollo del pil del 45% e povertà al 20% nel 2022 secondo la Banca mondiale) e della guerra aperta con la Russia».
L’Eroe per caso
Merito certo, non aver lasciato Kiev nei primi giorni dell’invasione, quando mezzo mondo avrebbe accolto un suo governo in esilio 15. «Una campagna di comunicazione straordinaria con cui ha dato un leader, anzi finalmente un capo, al popolo ucraino rovesciando la propria immagine: l’eroe per caso, chiamato dalla sorte e non dall’ambizione a lavorare per il bene contro il male, diventa l’eroe che sceglie in coscienza il proprio drammatico destino».
L’Ucraina utile
Zelens’kyj ha anche capito che un numero consistente di paesi, dagli Usa al Regno Unito passando per la Polonia, i baltici e le nazioni del Nord Europa, avrebbe fatto carte false per castigare Vladimir Putin e cambiare gli equilibri di un’Europa a lungo dominata dall’asse franco-tedesco.
Il patto di scambio
«In sostanza, il patto è stato: difendete l’Ucraina per cambiare l’assetto europeo. Boris Johnson per la difesa 19, la Polonia per diventare hub energetico del continente 20, i nordici per rimettere in riga il Sud, tutti per ridimensionare la Germania. Zelens’kyj ha così ottenuto cospicui aiuti militari e ha impegnato il G7 a sostenere l’Ucraina. Adesso e chissà per quanto ancora».
Cambiale in bianco senza scadenza
Si discute con insistenza di un «Piano Marshall per l’Ucraina», la quale secondo la Banca mondiale ha subìto danni per 350 miliardi di dollari e ne ha già ricevuti 37 dal solo G7. «Anche prima dell’invasione russa l’economia ucraina era tenuta in piedi dagli aiuti esteri, ma ora si parla di una cambiale in bianco e senza scadenza».
L’Ucraina non cesserà di esistere, ma Zelens’kyj?
La forza degli ucraini e il loro sacrificio, insieme a quattrini, armi e intelligence dell’Occidente, e gli errori e i limiti della Russia, garantiscono che esisterà uno Stato ucraino. E avrà come presidente Zelens’kyj. In Ucraina il mandato presidenziale è di cinque anni; le prossime elezioni dovrebbero svolgersi nel 2024. Nessuno crede che la guerra possa prolungarsi fino ad allora, ma al centro della scena ci sarà ancora Zelens’kyj, il presidente di guerra che ha guidato il paese in battaglia.
Partite interne per il dopoguerra
«Il presidente della guerra non vuole tornare a essere anatra zoppa. La strategia è sempre la stessa: denunciare complotti e tradimenti, scaricare su altri la colpa di eventuali insuccessi e chiudere ogni spazio alle alternative». E nell’anno che sta esaurendosi, molto meno peggio del previsto in guerra, si è esercitato in politica di casa.
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Divani & divani
di Massimo Marnetto
Il valore senza sudore si chiama rendita. Il Governo Meloni vuole ridurre le tasse a chi ha patrimoni, dal 26 al 14%. Questo significa spostare il peso fiscale per sostenere la spesa pubblica su lavoratori e pensionati e alleggerire i ricchi, che sui loro divani si godono rivalutazioni e plusvalenze.
Una cosa chiaramente di destra, che vuole che i ricchi siano sempre più ricchi e che i poveri stiano al loro posto. Anzi, privati persino del reddito di cittadinanza, affinché il divario diventi il muro del ghetto dove rinchiuderli. E per non avere sensi di colpa basta evocare la pigrizia dei divani dei poveri. Chi sta seduto non ha diritto all’aiuto; mentre chi ha soldi ha la legittimazione morale del merito. Tutto un po’ calvinista, ma funzionale: la banalizzazione della povertà è la prima violenza dei ricchi.
- Sulla valutazione dei magistratiSi vuole introdurre la valutazione della Magistratura? Bene, allora li si faccia anche per gli altri poteri dello Stato. Per il Parlamento vedrei bene l’adozione del ‘’criterio di laboriosità’’: un quinto degli onorevoli e senatori più assenteisti nel biennio vengono sostituiti con elezioni suppletive programmate.
- ‘Peggio del presente, a Gaza, c’è solo il futuro’: Eric SalernoAltri ostaggi sono tornati a casa, tutti sembra, in relativamente buone condizioni di salute anche se traumatizzati dal rapimento e dalla prigionia nelle mani degli uomini di Hamas. In Israele manifestazioni di giusta felicità miste a paura per quello che è accaduto il 7 ottobre e per quello che potrebbe ancora succedere. Centinaia di video passano di mano in mano. In Israele e fuori.
- La differenzaÈ infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
- ScendereMi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
- La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con IsraeleLa feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington