No a violenze ed esecuzioni in Iran – Lettera aperta all’Ambasciatore Mohammad Reza Sabouri
di Massimo Marnetto
Ambasciatore dell’Iran, Mohammad Reza Sabouri, (mail: iranemb.rom@mfa.gov.ir)
scrivo perché – come molte cittadine e cittadini italiani – non posso rimanere indifferente di fronte alla brutale repressione dei giovani iraniani che chiedono più libertà. Mi riferisco soprattutto alle donne, che rifiutano il velo gridando “Jin! Jiyan! Azadi!”(Donna! Vita! Libertà!), perché non vogliono più considerare – giustamente – i loro capelli come una vergogna da coprire. Questo ha provocato arresti, violenza e l’uccisione di molte di loro, da parte della Polizia Mor(t)ale. Come è successo a Mahsa Amini e come potrebbe accadere anche a Fahimeh Karimi, se fosse eseguita la condanna a morte comminatale; mentre arriva la notizia che è già stato giustiziato il primo manifestante, Mohsen Shekari.
Ambasciatore Mohammad Reza Sabouri,
riferisca al suo Governo che questa repressione addolora e indigna moltissimi di noi, cittadine e cittadini italiani. Non possiamo sopportare in silenzio la violenza che si abbatte sul popolo iraniano, troppo colto e dignitoso per essere schiacciato dai precetti inumani posti dalla religione. Cessate questa persecuzione, per onorare la vostra grande storia e cultura, che tutto il mondo vi riconosce.
Con vigilanza democratica,
Massimo Marnetto – Roma
L’Ungheria blocca gli aiuti UE all’Ucraina per ripicca. Mal di pancia e giochi nascosti dietro

da Remocontro
Martedì a Bruxelles, nella riunione dell’ECOFIN, il Consiglio dell’Unione Europea formato dai ministri delle Finanze dei 27, l’Ungheria ha bloccato lo stanziamento di 18 miliardi di euro di aiuti all’Ucraina, decisione che andava approvata all’unanimità, ponendo il suo veto. Uno contro tutti, ma ciò che si nasconde dietro è molto di più.
Veto annunciato e ciò che nasconde
Il veto dell’Ungheria era decisamente annunciato. Nei giorni precedenti il primo ministro ungherese Viktor Orbán aveva ripetuto di essere contrario a uno stanziamento collettivo dei fondi, e aveva proposto che venissero stipulati accordi bilaterali tra i singoli paesi dell’Unione e l’Ucraina. Una soluzione che richiederà l’approvazione dei parlamenti dei vari paesi ad allungare i tempi. Questo nella ufficialità del dichiarato. Poi la verità più meschina ma ben nota a tutti.
Ritorsione ungherese alla punizione Ue
L’Ungheria ha usato il potere di veto come ritorsione verso Bruxelles e pressione sugli altri 26 paesi per il blocco dei 7,5 miliardi dei cosiddetti ‘fondi strutturali’ per punire una serie di carenze del paese sul rispetto dello stato di diritto. Insomma, l’autoritarismo decisamente antidemocratico di Orban, su cui dovrà decidere il Consiglio Europeo entro il 19 dicembre.
Ricatti incrociati, le multinazionali ringraziano
Ricatti incrociati. Per questo ieri Ecofin ha deciso di non votare sull’eventuale sblocco dei 7,5 miliardi di euro dei Fondi di coesione per Budapest e sull’approvazione del Recovery Plan ungherese da 5,8 miliardi. Escluso dall’ordine del giorno anche il voto su una ‘minimum tax’ del 15 per cento per le grandi imprese internazionali in qualsiasi giurisdizione operino, altro dossier su cui Budapest avrebbe posto il veto per avere più carte da giocare nella sua battaglia contro Bruxelles.
‘Stato di diritto’, chi e come
Lo «stato di diritto» è tra i principi fondanti dell’Unione Europea ed è basato sul rispetto dei diritti fondamentali della popolazione e su un potere giudiziario indipendente e imparziale, tutti elementi fortemente a rischio in Ungheria. Orbán, che è al potere dal 2010 dopo esserlo già stato in precedenza tra il 1998 e il 2002, governa il paese in modo autoritario. Sua l’invenzione della «democrazia illiberale», quando ancora era accettato nel calderone politico del Partito popolare europeo. Espulto e incattivito, Orban si sposta sempre più a destra tra i Paesi dell’ex blocco sovietico con cultura di democrazia interna molto giovane e incerta.
Francia e Germania intercedono per l’Ungheria
Ma a guardare più a fondo scopriamo che Francia e Germania sono alla testa di un gruppo di circa 12 governi europei (Italia compresa) che chiede alla Commissione di alleggerire, di tornare sulla proposta di congelare parte dei fondi europei stanziati per l’Ungheria, riferisce Agnese Rossi su Limes. La nuova e per certi versi sorprendente aggregazione, sostiene che Budapest abbia compiuto significativi progressi in misure anticorruzione e di sviluppo democratico e che Bruxelles non ne starebbe tenendo conto. Più che una assoluzione ad Orban, l’ennesima bacchettata sulle dita a Usulla Von der Lyen.
Realismo politico e contro bigottismo nordico
È improbabile che Francia e Germania agiscano in quanto mosse a compassione dagli sforzi democratici ungheresi. Ed una spiegazione plausibile potrebbe arrivare guardando alla altre due votazioni all’ordine del giorno, suggerisce sempre Agnese Rossi: «l’applicazione degli accordi Ocse sulla tassa minima globale per le multinazionali», ad esempio. Parigi da subito in prima linea per un’aliquota fiscale sulle multinazionali. «Berlino ha più in generale interesse a non destabilizzare eccessivamente un paese importante per l’economia tedesca (l’Ungheria, insieme agli altri del gruppo Visegrád, è per la Germania uno dei principali mercati di sbocco e un centro manifatturiero nevralgico)».
Washington a spingere per Kiev
Le complicazioni nell’approvazione del pacchetto europeo di aiuti all’Ucraina, su cui fanno pressione sia Washington che Kiev, è l’ennesima dimostrazione, la valutazione di Limes su cui ragionare, «di come i meccanismi comunitari siano difficilmente compatibili con una situazione di guerra». Impossibile definire quanto la guerra possa concedere di democrazia. Ma per Bruxelles, in questo caso l’Ucraina in guerra vorrebbe dire anche finanziare uno Stato che non rispetta le regole comunitarie. Ora con l’aggravante di Francia e Germania.
Tra ideologia e necessità
Questa volta a difendere una linea più morbida sullo Stato di diritto non è la classica Polonia che con Orban, su molto fronti di democrazia incerta, ha operato in coppia. «Ora a tendere la mano a Budapest sono le due nazioni (e non da sole) che si sono storicamente atteggiate a custodi del sistema valoriale europeo (tutela dello Stato di diritto, libertà democratiche)». Sintomo di uno scollamento tra ideologia e necessità.
Dove è finito l’Orbán di una volta? Ragionevoli dubbi
Altri rilevano una altrettanto sorprendente/sospetta conversione del premier ungherese sempre sul fronte della guerra della Russia contro l’Ucraina. «Orbán che non tuona più contro le sanzioni di Bruxelles che sarebbero all’origine di tutti i guai economici ed energetici dell’Europa», segnala David Carretta sul Foglio. Il suo mancato veto al ‘price cap’ sul petrolio, malgrado la minaccia di Mosca di un taglio del greggio a chi lo sostiene. Sabato Orbán ha denunciato una “chiara aggressione” da parte della Russia e ha spiegato che “abbiamo bisogno di un’Ucraina sovrana”. Lo stesso giorno, la presidente dell’Ungheria, Katalin Novák, era a Kyiv per incontrare Zelensky.
Venerdì Orbán ha anche rassicurato che l’Ungheria “sostiene” l’ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia, nonostante i dubbi per il ritardo nella ratifica (è il solo paese con la Turchia a non aver ancora formalizzato la decisione).
Negazione della differenza e omosessualità.

di Giovanni Lamagna
Nel libro “la Legge della parola” (2022 Einaudi; pag. 58-59) Massimo Recalcati così scrive:
“Ripudiando la via lunga del pensiero, il soggetto della violenza appare trascinato verso l’illusione incestuosa di una totalizzazione compiuta con la Cosa. E’ quello che secondo Freud possiamo vedere in atto nell’omicidio, nel cannibalismo e nell’incesto quali forme estreme di negazione dell’alterità dell’Altro. Queste tre esperienze condividono infatti come unico denominatore la spinta della negazione della differenza: nell’omicidio attraverso l’eliminazione fisica dell’esistenza dell’Altro, nel cannibalismo mediante la sua incorporazione e, infine, nell’incesto attraverso un movimento di riunificazione senza scarti con la nostra origine.
“In tutte e tre queste situazioni si verifica un movimento di assimilazione o di negazione dell’alterità dell’Altro. Ecco perché secondo Freud il programma di ogni Civiltà si impernia sull’edificazione di tre fondamentali interdizioni simboliche che impediscano omicidio, cannibalismo e incesto. La trasgressione di questi divieti trascinerebbe il soggetto fuori dalla Legge degli uomini, gettandolo in quel campo desertico che Lacan ha definito come “godimento mortale” dove la vita umana si dissolve in una regressione all’indifferenziato.”
Condivido in buona sostanza questa riflessione. Che però mi insinua un dubbio, che diventa, automaticamente, una domanda: all’elenco delle tre esperienze, che, secondo Freud, Lacan e lo stesso Recalcati, tendono a negare la differenza dell’Altro, non se ne dovrebbe – seguendo il filo logico del loro ragionamento – aggiungere una quarta: quella omosessuale? Non c’è, infatti, a fondamento (anche) dell’esperienza dei rapporti omosessuali la negazione dell’Altro come differenza, un bisogno (a suo modo incestuoso) di riconoscersi nell’Altro uguale a sé e una difficoltà ad entrare in relazione con il diverso da sé?
Qui ricordo, ad avvalorare questo mio dubbio e questa mia domanda, che una certa lettura psicoanalitica dell’omosessualità già in passato avevo fatto risalire questo orientamento sessuale ad un rapporto incestuoso più o meno latente col genitore del latente, genitore, sesso opposto. Cosa che avrebbe comportato la sacralizzazione di questa figura, con la conseguenza di inibire successivamente il rapporto sessuale con persone di questo stesso sesso e orientare lo spostamento dell’interesse libidico verso persone del proprio sesso.
Ricordo benissimo che Cesare Musatti, padre della psicoanalisi italiana, dava una tale lettura e interpretazione della omosessualità di un suo contemporaneo, personalità molto conosciuta della cultura italiana; sto parlando di Pier Paolo Pasolini. Di Pasolini era, infatti, ultra-noto il rapporto di grande amore e intimità che lo legava alla madre, alla quale sono dedicate pagine indimenticabili e molto poetiche dello scrittore friulano; rapporto che sembrerebbe avvalorare la tesi di Musatti.
Ovviamente manco lontanamente mi passa per la mente di accostare – dal punto di vista della psicopatologia e meno che mai dal punto di vista della criminologia – l’omosessualità ad esperienze quali l’omicidio, il cannibalismo o l’incesto. In questi tre casi ci troviamo senza ombra di dubbi in presenza di fenomeni non solo deprecabili, ma da giudicare e condannare anche sotto l’aspetto giuridico e penale; ci troviamo in altre parole di fronte a veri e propri crimini, più o meno gravi.
Sicuramente, invece, nel caso dell’omosessualità ci troviamo di fronte a un’esperienza che non ha nulla di deplorevole né sul piano etico né, tantomeno, sul piano giuridico penale. E, però, sulla base del ragionamento che fa Recalcati, mi chiedo se non siano da riscontrare nell’esperienza dell’omosessualità elementi, fattori psicologici che sanno di chiusura, di blocco, di mancato sviluppo della libido.
Come, d’altra parte, sono, con tutta evidenza, da riscontrare, a mio avviso, (e qui l’accostamento può risultare utile) nell’esperienza della masturbazione; la quale certamente non ha nulla di riprovevole sul piano etico e meno che mai ovviamente (dovrebbe essere persino superfluo rimarcarlo) su quello giuridico. E, però, altrettanto certamente, l’atto masturbatorio rappresenta una “sconfitta” o, quantomeno, una deviazione surrogatoria, sul piano psicologico del naturale istinto dell’uomo ad accoppiarsi sessualmente con un suo simile.
Tanto è vero che esso non può fare a meno (solitamente) di accompagnarsi a fantasie e a desideri di accoppiamento, seppure solo virtuale. La solitudine in cui si svolge l’atto sessuale masturbatorio è la negazione del fine stesso a cui tende naturalmente l’istinto sessuale, che è quello dell’accoppiamento, della “coniunctio”, e non del soddisfacimento solitario.
L’atto masturbatorio è in fondo – come ben sa chi ha vissuto e vive tale esperienza – solo un triste e malinconico soddisfacimento surrogatorio dell’istinto e del desiderio sessuale, che tendono per loro natura all’accoppiamento, al congiungimento e all’unione di due corpi. Tanto è vero che viene seguito in genere da un senso (più o meno profondo) di frustrazione e non di appagamento.
Per cui il fatto che sia sciocco, ancora oggi, emettere un giudizio etico sul fenomeno della masturbazione (come pure, invece, si è fatto per secoli, anzi millenni, e ancora oggi si fa presso alcune tradizioni culturali, soprattutto religiose), non vieta né impedisce una sua valutazione sul piano psicologico, come fenomeno tipicamente adolescenziale, quindi regressivo (o tutt’al più surrogatorio), se vissuto in età adulta.
Mi rendo conto che qui avanzo – almeno come ipotesi interpretativa di un’esperienza come l’omosessualità – un ragionamento di questi tempi molto poco politically correct.Ma la mia onestà intellettuale me lo impone e perciò lo faccio anche a costo di attirarmi – come prevedo – una montagna di critiche. Pronto altresì a sciogliere i miei dubbi e a rivedere queste mie analisi di fronte ad argomenti contrari e inoppugnabili, che dovessero risultare da un eventuale confronto con tesi opposte.
- La differenzaÈ infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
- ScendereMi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
- La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con IsraeleLa feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
- Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
- PazzoGuardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati. E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)