Reader’s – 8 aprile 2023

Rassegna web di nandocan magazine

Avevo scritto su questo blog, alla vigilia delle primarie, che se Elly Schlein avesse vinto avrei preso in considerazione l’idea di tornare nel PD, magari in quello stesso circolo di Roma/ Centro storico dove ero parte del direttivo (Giulia Urso segretaria), prima che con l’indecorosa proposta di riforma costituzionale Renzi-Boschi mi sentissi costretto anch’io, come poi tanti altri, a dare le dimissioni. Ora forse lo farò, anche se quel circolo ha dovuto purtroppo lasciare la sede storica di via dei Giubbonari. Magari dopo aver verificato che con il rientro dei “fuoriusciti” dal renzismo vi sia stato anche lì un rinnovamento. E che le promesse fatte dalla Schlein su una vera partecipazione della base alle decisioni fondamentali abbiano mostrato la loro validità. Rinnoverò intanto la mia iscrizione al Forum delle disuguaglianze e delle diversitá, fondato e animato come é noto da Fabrizio Barca, che pure di quello stesso circolo faceva parte. (nandocan).


Il nuovo Pd c’è e si vede

di Andrea Pertici

Come scrivevo qualche settimana fa, c’è un nuovo #Pd. L’elezione di #EllySchlein ha reso costituente un congresso che alcuni volevano evitare che lo fosse.Indica certamente la volontà di un cambiamento profondo, da parte degli elettori di centrosinistra, eleggere a segretaria del partito una persona che fino a poche settimane prima non ne faceva parte, che da anni portava avanti idee ben diverse da quelle nelle quali il Pd aveva perso la sua identità.

Una persona, che, appena eletta, non ha perso tempo nell’indicare da che parte sta un partito progressista. Subito alla CGIL (altro che “disintermediazione” renziana che dileggiava il sindacato), portando chiare idee progressiste e non esitando a sostenere il salario minimo; subito in piazza a sostenere i diritti delle persone LGBTQI; subito in campo per difendere la #Costituzione ANTIFASCISTA, contro i maldestri tentativi di revisionismo storico e ideale.

Molte ancora le sfide che attendono in nuovo #Pd, che nel prossimo anno deve darsi, tra l’altro, una piattaforma per portare nell’Unione europea un forte cambio di passo, per una prospettiva federalista, che renda l’Unione meno burocratica e più forte e coraggiosa, liberata finalmente dai nazionalismi, che vediamo dove ci stanno portando.

La nuova segreteria

È in questo contesto che nasce anche la nuova segreteria, davvero ricca di belle figure, molte delle quali conosco e so con quanta forza e chiarezza potranno portare avanti le partite di loro competenza. Tra queste, senza voler far torto a nessuno, mi fa davvero piacere trovare Annalisa Corrado, con cui abbiamo iniziato praticamente insieme l’impegno politico e di cui ho imparato a conoscere direttamente le competenze e le capacità. Oltre alla simpatia, che in politica, come nella vita, rende le cose più facili.

Anche in questo passaggio Elly è stata brava e ci ha restituito l’idea che le cose possano cambiare davvero. Buon lavoro a tutta la segreteria e in particolare agli amici e le amiche che ne fanno parte e a cui ho già scritto di persona.


Volete….?

di Massimo Marnetto

Ricordo a chi si duole della crisi delle nascite, che un figlio arriva dopo che una coppia ha una casa sicura e un lavoro sicuro. In Italia invece, mancano le case sociali e c’è la precarietà a oltranza. Non solo, se poi nonostante tutto arriva un figlio, non ci sono sufficienti asili pubblici. Certo, tutte queste prestazioni di base costano.

Ma lo Stato non avrà mai i soldi sufficienti per dare case e sostegno alle giovani coppie, se continua a favorire l’evasione fiscale con rottamazioni e condoni. Ecco allora stabilito il nesso che la politica non denuncia: l’evasione fiscale causa la riduzione natale. Se qualcuno volesse reagire a questo lento declino, ecco gli slogan: Volete più bambini? Fate più scontrini! – Volete generazioni future? Fate più fatture!



Documenti segreti Usa svelati e per l’Ucraina una lunga lista d’attesa Nato

Piero Orteca su Remocontro

Le carte, comparse su Twitter e su Telegram, includono foto di grafici di consegne di armi previste, truppe, battaglioni e piani militari per la prossima offensiva ucraina. Lo riporta il New York Times. Mentre il Financial Times privilegia i segreti politici. Gli Stati Uniti non vogliono saperne, almeno per ora, di aprire le porte della Nato all’Ucraina, ad evitare di finire in guerra diretta con la Russia. ‘Scaricabarile’ sull’Unione europea, dove si litigherà a parte con grossi problemi di opinione pubblica interna che Biden elettorale cerca di evitarsi.

Nato oltre la facciata degli unanimismi

Alla riunione Nato di Bruxelles, martedì scorso, si è discusso anche di come quadrare il cerchio: cioè, seguire le indicazioni della Casa Bianca, senza perdere troppo la faccia. Cosa non particolarmente difficile, perché il punto di vista americano è condiviso, da tempo, da nazioni come Francia e Germania. Sono i baltici e la Polonia, semmai, a cercare di voler accelerare i tempi per avere il ‘cuscinetto’ di Kiev nell’Alleanza. Secondo diplomatici di rango, ‘che hanno familiarità con i fatti’, sentiti dal Financial Times, c’è un’evidente spaccatura nella Nato. Diversi Paesi, a partire dagli Usa, frenano sulla procedura di adesione dell’Ucraina.

Oltre la Polonia e i Baltici

La domanda è stata formalmente presentata lo scorso settembre, ma da allora è rimasta praticamente congelata. Certo, ne è passata di acqua sotto i ponti, da quando Washington faceva il tifo per vedere Kiev, prima possibile, nella Nato. Allora erano essenzialmente Berlino e Parigi a frenare, per ‘ragioni di sicurezza’ (nessuno voleva provocare Mosca), ma anche per questioni di business. Però il mondo cambia e oggi è tutta un’altra storia.  Prendete Biden: se la scenografia politico-elettorale è una bella cosa, esiste la ‘realpolitik’ che non fa sconti e che bisogna rispettare, se si vuole continuare a occupare lo Studio Ovale per altri quattro anni. In questo momento, l’Amministrazione Usa non vuole offrire a Putin l’alibi di sentirsi circondato e magari azzardare qualche mossa disperata.

Oltre al fatto che, fare entrare nella Nato una nazione già in stato di guerra, solleverebbe dei problemi insormontabili, sia formali che sostanziali

Scenario strategico allargato

Molti osservatori potrebbero essere sorpresi, dall’ambiguo approccio diplomatico degli americani. Ma se le riflessioni sulle origini della guerra in Ucraina si allargano, fino a comprendere scenari geopolitici più vasti, allora alcune scelte sembreranno maggiormente comprensibili. L’impegno ad accogliere Kiev nell’Alleanza è stato preso nel 2008. Ma si è trattato solo di una sorta di dichiarazione d’intenti, senza una tempistica specifica. Dopo la crisi del 2014 e l’annessione russa della Crimea, in pratica, il processo è andato avanti al rallentatore e nessuno ci pensava quasi più, quando infine è stato resuscitato dall’invasione di Putin.

Lo ‘zar’ è stato capace di rimettere in discussione, come uno sprovveduto, tutto quello che aveva già guadagnato senza sparare un colpo. Ma l’ottusa aggressività del leader russo, ha messo in moto una lunga catena di errori (e di orrori) che ci ha portati al punto in cui siamo.

Unione europea uso Nato?

E il fatto che sia necessario, anzi, indispensabile chiudere prima possibile questa guerra è testimoniato da una semplice analisi comparativa: mentre l’adesione politica di Kiev all’Unione Europea marcia spedita, quella militare alla Nato è praticamente bloccata. A luglio, a Vilnius, in Lituania, il Presidente Zelensky si aspetta proposte concrete dai partner dell’Alleanza. In realtà, a quanto ci pare di capire, l’unica cosa che riuscirà a ottenere sarà un’altra montagna di soldi. Per comprare quelle armi, quei rifornimenti e quelle munizioni che non lo faranno vincere, ma che serviranno a perpetuare indefinitamente il bagno di sangue.

Più soldi ma poco altro

Le premesse sono state poste martedì scorso, quando il fondo di assistenza finanziaria per l’Ucraina è stato raddoppiato e portato fino a 500 milioni di euro l’anno. Un segnale. Soprattutto l’indicazione della priorità assoluta di uno scenario strategico che si va delineando. Biden ha assoluto bisogno di dare risposte, in primis alla sua opinione pubblica, con la campagna elettorale per le Presidenziali praticamente già iniziata. Ci sono chiari segnali che il fronte interno se ancora non scricchiola, quantomeno comincia a interrogarsi. E i sondaggi parlano chiaro. Tra le  altre cose, anche il quadro delle informazioni sulla guerra e la loro affidabilità si fa complicato.

L’ultima fuga di notizie americane ‘classificate’ (pilotata, ma sicuramente non dai russi), lascia a bocca aperta. Qualcuno, dentro gli apparati federali degli Stati Uniti, gioca contro? Probabile. Gli interessi in ballo sono giganteschi e l’Ucraina è solo un insanguinato ‘campo neutro’.

Democrazia, Internazionale, Politica, Temi, Interventi

Letterina di Pasqua 2023

di Giovanni Lamagna

Io non credo in nessun Dio che risorge.
Credo però nella possibilità che l’uomo possa rialzarsi dalle sue cadute,
che ogni giorno possa diventare una persona un poco migliore.
Credo nei piccoli passi, nei piccoli gesti,
quelli che appena si notano
o non si notano per nulla
ma che, a lungo andare, fanno la Storia.
Non credo nei miracoli: quelli soprannaturali.
Credo però che un sorriso, una carezza,
la parola giusta detta al momento giusto,
un gesto di aiuto, un atto di solidarietà,
la fraternità, l’amicizia, l’amore
possano fare miracoli: quelli naturali.
Simili al seme che prima muore e poi dà frutto,
all’arcobaleno che colora il cielo dopo la tempesta,
al sole che risorge ogni giorno,
al corpo stanco che va dormire la sera e
si risveglia fresco e riposato la mattina dopo,
al tempo che guarisce molte ferite, corporali e spirituali.
Queste sono le resurrezioni in cui credo!


  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)

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