Reader’s 7 novembre 2022 rassegna web

Assassinii travisati

di Raniero La Valle

Sabato 5 ci sono state le manifestazioni. Ci sono andati in centomila. A Roma e in Bahrein, per la pace, a Milano per la guerra.

Il cardinale Zuppi per la pace: “Caino vide nel fratello Abele solo un nemico”, Francesco: “Amare tutti, amare i nemici”; Letta e Micromega per la guerra: “Solidarietà con l’Ucraina, Putin go home”, “Si alle armi, coerenti alle nostre posizioni dal 24 febbraio”. Interdette le bandiere di partito, cioè interdetto il discernimento delle ragioni, se ci sono, delle due parti.

Sabato c’è stato anche il blocco delle navi delle ONG,

Sabato c’è stato anche il blocco delle navi delle ONG, il divieto di sbarco, fuori dai porti negati.
C’è dunque una divergenza tra chi decide che la gente deve morire e chi pensa di salvarla, di preservarne la vita. Nel vocabolario la prima posizione si chiama assassinio, la seconda soccorso. Scongiurare la guerra significa buongoverno, sacrificare tutto alla vittoria significa terrore.

Se è un assassinio lasciare in mezzo al mare…

Se è un assassinio lasciare uomini, donne, bambini (quelli accompagnati , vispi e senza dissenteria) in mezzo al mare perché vadano alla deriva e muoiano non subito ma in differita, gli assassini sono travisati , perché si mascherano con la buona azione di farsi carico delle emergenze sanitarie, di minori, donne incinte, donne con bambini piccoli, gente con la febbre”, e che gli altri si perdano.

Se è un assassinio mandare armi e sempre più armi perché i Russi siano scannati non meno degli Ucraini, gli assassini sono travisati perché si mischiano con il popolo della pace e con le sue bandiere.

Se la guerra è essa stessa un crimine…

Se la guerra, quella che una volta era dichiarata in buona e debita forma, è ordinata all’annientamento del nemico che va “debellato”, allora c’è una guerra che non mira all’annientamento dell’Ucraina ma è stata motivata dalla sua negata neutralità, e c’è una guerra che mira all’annientamento della Russia, a metterla “in condizioni di non poter mai più combattere” e a ridurla “con sanzioni mai viste prima” allo stato di paria. Se la guerra è essa stessa un crimine, non essere equidistanti significa cercare i criminali di guerra sia ad Est che ad Ovest, compresa la NATO.

Se la difesa dei confini della Patria….

Se la difesa dei confini della Patria consiste nello sbarrare porti e coste contro Saraceni che non ci sono e naufraghi senz’armi, questa è una ragione di irreparabile rottura tra un Paese che ieri nella Resistenza ha lottato per un mondo accogliente per tutti e un governo dell’altro ieri che si mette in stato d’assedio sul mare, anche se la sua Presidente non ha simpatia per il regime dei Tribunali speciali per la difesa dello Stato che pregava Dio di “stramaledire gli Inglesi”.

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Le ultime forniture di armi occidentali all’Ucraina

da Remocontro

Nuovi invii di armi alle forze armate ucraine decisi o presi in esame da diverse nazioni occidentali negli ultimi giorni, inclusa l’Italia. Il 4 novembre gli Stati Uniti hanno stanziato nuovi aiuti militari per 400 milioni di dollari. E dove non ci sono direttamente le armi, i soldi per comprarle altrove. Come i missili da difesa aerea Hawk da impiegare sui lanciatori offerti dalla Spagna o i 45 carri armati T-72B ammodernati ex esercito della Repubblica Ceca, e persino 40 motovedette fluviali blindate

Il bricolage dell’armamento

Il 28 ottobre gli USA avevano deciso un ulteriore aiuto a Kiev per 275 milioni di dollari di cui Analisi Difesa fornisce il dettaglio. Noi sintetizziamo citando quello che da non militari ci sembra più rilevante. Lanciarazzi campali multipli High Mobility Artillery Rocket Systems (HIMARS) in numero non precisato; 1.300 armi anticarro; 125 veicoli 4×4 High Mobility Multipurpose Wheeled Vehicles; Armi leggere con oltre 2.750.000 munizioni; 4 antenne per comunicazioni satellitari. Finora per la difesa aerea gli Stati Uniti hanno fornito a Kiev 1.400 missili portatili Stinger e sistemi di disturbo elettronico anti-drone.

Dal gennaio 2021 gli Stati Uniti hanno fornito aiuti militari all’Ucraina per 18,9 miliardi di dollari di cui 18,3 dopo il 214 febbraio 2022, quando ha preso il via l’offensiva russa.

Bulgaria tra armi e gas

Il 3 novembre la Bulgaria ha deciso che inizierà a fornire armi e munizioni all’Ucraina dopo il voto del parlamento. Nel marzo scorso l’allora premier Kiril Petkov aveva escluso la possibilità di inviare aiuti militari all’Ucraina, in una conferenza stampa congiunta a Sofia con il segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin, in visita in Bulgaria. Secondo indiscrezioni stampa, Austin aveva chiesto a Sofia di inviare in Ucraina le batterie di S-300 da difesa aerea, compatibili con quelle dello stesso tipo in servizio in Ucraina o donate da altre nazioni dell’ex blocco sovietico. Sofia aveva finora sostenuto di non voler inviare armamenti e munizioni ma solo aiuti umanitari.

Triangolazioni

Ma Mosca ha accusato il governo bulgaro di aver fornito ingenti quantitativi di armi e munizioni a Polonia e Repubblica Ceca che le hanno poi girate all’Ucraina. La Bulgaria ha di recente firmato nuovi contratti con Gazprom per forniture di gas. Ora a rischio.

Svizzera, no alle armi via Germania

Il 3 novembre la Svizzera ha negato alla Germania il permesso di inviare all’Ucraina munizioni di fabbricazione elvetica per i cannoni da difesa aerea dei semoventi Gepard che Berlino ha consegnato a Kiev. «Non è ancora opportuno rispondere favorevolmente alla richiesta della Germania di inviare materiale bellico svizzero in Ucraina» in nome della legge sulla neutralità e della legislazione svizzera sul materiale bellico, ha spiegato Guy Parmelin, ministro dell’Economia, in una lettera al Ministro della Difesa tedesco, Christine Lambrecht.

Collaudo armi sulla pelle dell’Ucraina

«La guerra in Ucraina offre un campo per i test in combattimento. Abbiamo otto diversi sistemi di artiglieria da 155 mm sul campo … quindi è come una competizione tra sistemi per vedere quale si rivela più efficace». Il cinico ‘Stranamore’, è il ministro della Difesa ucraino Oleksiy Reznikov che parla al magazine statunitense Politico. «Sono ottimista sul fatto che sia in futuro possibile ricevere carri armati Abrams e anche caccia come F-16, F-15 o Gripen». Guerra continua.

Il futuro della guerra

Oltre al collaudo armi sulla pelle degli ucraini e dei cattivissimi russi, progetti di guerra di lunga durata. Sempre il ministro, «Un sistema di riparazione e manutenzione più sofisticato che potrebbe essere organizzato in Polonia, Slovacchia o Romania, per esempio». Reznikov ha suggerito di formare joint venture con Polonia, Regno Unito e Germania per sviluppare armi e attrezzature che potrebbero essere costruite in Ucraina, in particolare i sistemi di difesa aerea.

«Dobbiamo sviluppare un’industria UAV non solo per i droni aerei, ma anche terrestri e navali perché è il futuro della guerra».


Lo sbarco negato è tortura

di Massimo Marnetto

Un migrante africano nel suo lungo viaggio patisce privazioni, violenze e l’intensa paura di morire affogato. Quando la nave che lo ha salvato arriva in porto, ha la certezza che il suo incubo sia finito. Non sbarcare a pochi metri dalla salvezza e ritornare in mare è un trauma psichico equivalente alla tortura (art. 613 bis, c.p.). Per questo, penso che gli sbarchi selettivi siano illegali e disumani.

Ciò detto, va superato il Trattato di Dublino. I Paesi con frontiere liquide e approdi più vicini alle rotte di migranti devono salvarli, ma contando sulla tutela di un sistema di distribuzione degli oneri di sbarco e accoglienza. Per esempio, con l’indicazione per ogni Stato rivierasco di un porto-POS (Place-Of-Safety), che a rotazione accolga gli sbarchi; e la distribuzione dei migranti verso i Paesi non rivieraschi, secondo quote predefinite e dinamiche rispetto agli ingressi già concessi. E qui – chi si lamenta dell’invasione in Italia rispetto ad altri Paesi europei – avrebbe delle sorprese.


Freud, la psicanalisi e il sentimento religioso

di Giovanni Lamagna

Io condivido pienamente e sottoscrivo in buona sostanza le tesi di Freud sulla religione e sull’antropologia dell’uomo religioso che appaiono prive di sfumature: la religione è una nevrosi dell’umanità, o, addirittura, un suo delirio…E’ un’illusione destinata fatalmente a dileguarsi con il progresso della scienza;l’uomo religioso è il prodotto di una regressione, il suo Dio non sarebbe altro se non il prolungamento dell’idealizzazione infantile del padre che non vuole estinguersi…

“La credenza religiosa serve a sopportare questa vita e il suo dolore promettendone un’altra – una vita eterna – finalmente liberata dalla sofferenza e dalla mancanza che invece ci affliggono…L’uomo religioso è dunque un uomo in fuga, incapace di assumere responsabilmente il carattere irrevocabilmente finito e precario della sua esistenza.” (da “La legge della parola” di Massimo Recalcati, Einaudi; 2022; pag. V dell’Introduzione)

Non condivido, invece, per niente il giudizio di Freud sull’inutilità totale del sentimento religioso e, quindi, sulla necessità che esso venga storicamente del tutto superato, se l’uomo vuole uscire dallo stato di “minorità” kantiana, di “nevrosi”, di “delirio”, di “illusione”, da cui pure il sentimento religioso indubbiamente, almeno in parte, nasce.

Credo, infatti, che questo sentimento, le ragioni da cui esso nasce ed è motivato, siano anche altre, oltre a quelle indicate così bene e così lucidamente dal padre della psicoanalisi.

Una tensione ad andare oltre se stesso

C’è, infatti, nell’uomo – e ben radicata – una tensione a trascendersi, ad andare oltre sé stesso, che non possono ridursi soltanto alla paura della sofferenza (soprattutto alla suprema paura che è l’angoscia di morire) e al desiderio di sfuggire alla precarietà che affligge la sua vita.

C’è nell’uomo un desiderio di realizzare i doni (per usare un linguaggio evangelico, i “talenti”) che la vita gli ha messo a disposizione, una tensione a realizzare una comunione con il Tutto, in primo luogo con gli altri suoi simili, che non possono essere spiegati, a mio avviso, solo col sentimento della paura e della precarietà e, quindi, con la spinta a fuggire, a evadere, ad alienarsi in un altro “mondo dietro al mondo”, per usare un’espressione di Nietzsche, anche questa citata da Recalcati.

Tensione, desiderio, che certo non possono essere identificati sic et simpliciter col sentimento, spesso rozzo e primitivo, dal quale sono nate le religioni. Rispetto al quale valgono, dunque, tutte le critiche e i giudizi drastici con i quali le bolla Freud.

Ma sicuramente hanno una qualche affinità, hanno (almeno in parte) una radice comune con i sentimenti e le aspirazioni da cui storicamente sono nate le religioni, non sono proprio del tutto un’altra cosa.

Una dimensione regressiva e una progressiva

Per cui il mio giudizio sulla religione (o, meglio, su quello che io definisco come “sentimento religioso”) coincide solo in parte con quello di Freud. Ne coglie e critica (come lui) la dimensione regressiva, che indubbiamente va superata, se l’uomo vuole andare avanti sul piano della evoluzione emotiva, psicologica, intellettuale, culturale in senso lato.

Ma allo stesso tempo ne recupera, invece, e sostiene come perennemente valida la dimensione progressiva, che consiste, a mio avviso, nella spinta continua alla ricerca, che spinge l’uomo a trascendere sé stesso. E che, lungi dall’essere “destinata fatalmente a dileguarsi con il progresso della scienza”, è proprio ciò che, invece, sostiene e motiva il progresso delle scienze.

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  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)
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