Reader’s – 6 ottobre 2022. Rassegna web

Lucidità

di Massimo Marnetto

Può scandalizzare, ma è ora di pensare a sanzioni per Zelensky, se non revoca il suo decreto ostativo alle trattative di pace. Lo dico da favorevole della prima ora all’invio di armi alla Resistenza ucraina; e da oppositore alla soluzione della resa salva-vite a scapito della libertà. Zelensky ha il diritto di liberare i territori invasi, ma non di ostacolare la pace.  

Capisco che per gli ucraini non è facile gestire la propria rivalsa dopo aver visto bombardare ospedali, asili, palazzi civili e seppellito migliaia di corpi dilaniati. Ma proprio perché non si può pretendere lucidità da chi sta vivendo un trauma, devono essere i Paesi europei ad aiutare Zelensky – anche minacciando di sospendere gli aiuti – a perseguire una pace onorevole.

Con questo richiamo la UE potrebbe anche avvicinare Putin ad una trattativa, accreditandosi non come chi cavalca il conflitto per indebolire Mosca, ma come un attore equilibrato, che vuole riaffermare il diritto internazionale violato dall’invasione.


Guerre diversamente armate sul Baltico. Polonia-Germania, non solo risarcimenti di guerra

di Ennio Remondino

La Polonia chiede alla Germania un risarcimento di 1,3 trilioni di dollari per l’occupazione nazista durante la seconda guerra mondiale. Tragedia antica e vecchia polemica di ritorno, con la Germania ora in particolare difficoltà economica e con gravi problemi sul fronte energetico. Distrutti gli oleodotti sottomarini Nord Stream, quel poco di gas che ancora arriva in Europa dalla Russia passa via terra per Ucraina e Polonia.
Contemporaneamente e silenziosamente la Polonia chiede agli Stati Uniti di ospitare anche lei le bombe nucleari americane in Europa, scudo missilistico Aegis Ashore.

The proliferation of ballistic missiles: an increasing threat to NATO.

Guerre diversamente armate sul Baltico

I primi dubbi geostrategici o semplicemente politici li pone Limes. La Germania ha rigettato le richieste di risarcimento (1,3 trilioni di dollari) del governo di Varsavia per l’occupazione nazista della Polonia durante la seconda guerra mondiale. In una conferenza congiunta col collega polacco Zbigniew Rau, il ministro degli Esteri Annalena Baerbock ha affermato che dal punto di vista del governo tedesco «la questione è chiusa». Ma il leader del partito di maggioranza Diritto e Giustizia e vice premier Jarosław Kaczyński, ala destra della destra nazional bigotta polacca, insiste: «La prima risposta tedesca è un tentativo di costruire una barricata; ora dovremo forzare questa barricata. Solleveremo la questione sia in Germania sia in un forum internazionale su scala globale, poiché questa risposta è insoddisfacente e completamente infondata».

Colpire quando l’avversario è più debole

Oltre la cronaca di Mirko Mussetti, sempre Limes, osserva come la Polonia stia sfruttando il momento di grave affanno economico (inflazione oltre il 10 per cento e rischio recessione) ed energetico (sabotaggi ai due Nord Stream) della Germania «per spuntare dividendi geopolitici e avvalorare il proprio imprescindibile ruolo di perno della Nato». E qui siamo ad una prima importante considerazione geostrategica. La partita in corso all’interno dell’alleanza militare Nato oltre l’unanimismo costretto della guerra in corso in Ucraina.

Gasdotti della discordia e dei sospetti

«Sebbene il mandante e l’esecutore non siano stati accertati, gli attacchi coordinati ai due gasdotti del consorzio Nord Stream nel Baltico aumentano sensibilmente il peso negoziale di Varsavia». Soprattutto nei confronti di Berlino, che di punto in bianco si ritrova a dover diversificare le forniture di gas per sostenere il proprio apparato industriale alle porte dell’inverno, costretta a litigare da subito sol resto dell’Europa comunitaria, Italia compresa.

L’alternativa Jamal-Europe

L’alternativa a Nord Stream è il tubo Jamal-Europe che passa proprio per la Polonia. Le autorità di Varsavia non ne parlano, ma hanno di fatto la possibilità di negare l’approvvigionamento gasiero a Berlino o di aumentare considerevolmente le royalties per il suo transito. Ed era proprio per evitare quei pedaggi e quei possibili ricatti politico economici che le cancellerie tedesche approvarono a suo tempo le interconnessioni energetiche dirette con la Federazione Russa, principale spauracchio polacco.

Anche il Baltic Pipe contro

«La contestuale attivazione del Baltic Pipe che porta gas norvegese sulle coste della Pomerania polacca dona un’ulteriore leva politica al governo sovranista di Mateusz Morawiecki, desideroso di rivalsa verso i nemici storici della Polonia: Russia e, appunto, Germania». Limes, sui fatti, rileva come il nuovo ruolo di ‘hub energetico’ che sta assumendo Varsavia le permette di alzare le richieste – il caso di un tardivo risarcimento di guerra – o addirittura e peggio, «di cercare di spostare il baricentro decisionale dell’Europa più a est».

Polonia nuova potenza

Con ulteriori e non eccessivamente onerosi investimenti, la Polonia potrebbe decidere di rifornire di gas, anziché la Germania, i paesi baltici attualmente dipendenti dalle fonti energetiche provenienti dalla Russia. Recidendo dunque l’ultimo potente legame tra le capitali dei paesi B9 (fronte est della Nato) e Mosca. Ciò potrebbe danneggiare l’apparato industriale della locomotiva d’Europa, ma una Germania rimpicciolita economicamente non pare turbare i sonni delle élite polacche. Per le quali la potenza teutonica resta un vicino scomodo subito dopo quello russo, attualmente messo all’angolo.

Polonia americana e nucleare

E quei scatta una notizia chiave sino a ieri sottaciuta da gran parte della cosiddetta ‘Grande Stampa’. ll presidente della Polonia Andrzej Duda ha rivelato che il governo di Varsavia ha avviato negoziati con Washington per entrare nel programma di condivisione nucleare della Nato. Dunque aggiungendo il paese ospite dello scudo missilistico Aegis Ashore ai paesi già destinatari delle bombe nucleari americane in Europa: Belgio, Paesi Bassi, Germania, Italia e Turchia.

Partenariato strategico con gli Stati Uniti

«La capacità di doppio impiego difensivo-offensivo dei lanciatori verticali Mk-41 installati nella base di Redzikowo (gli altri sono nella base di Deveselu in Romania) si tramuterebbe per la Russia in quella minaccia esistenziale che il presidente Vladimir Putin paventa da anni. Gli ordigni atomici potrebbero essere ospitati anche nella base aerea di Łask a pertinenza Usa, destinata a ospitare cacciabombardieri a capacità nucleare F-35 Lightning II».


Pacifismo ucciso in guerra e Papa Francesco lasciato solo

Michele Marsonet su Remocontro

Tra Putin che minaccia l’uso di armi nucleari in Ucraina, Zelesky che vieta per legge di parlare di accordi di pace con Mosca, e il silenzio assordante dell’Occidente a comando Usa in guerra di fatto, c’è un capo di Stato, Stato piccolo piccolo, ma di enorme portata morale, che ancora parla di pace come obbligo morale. Certo, lui è Papa. Quando altri papi e qualche patriarca cristiano ancora oggi sono arrivati e dire che certe guerre erano benedette da Dio.

Politica impotente ed escalation militare

I discorsi di Papa Francesco sulla guerra possono sembrare, di primo acchito, quanto mai inattuali. Tuttavia il pontefice non si stanca di richiamare tutti i contendenti al loro senso di responsabilità, facendo notare che l’escalation in atto non riguarda solo Ucraina e Federazione Russa, bensì l’intera umanità.
Il motivo è semplice. Il pericolo di un conflitto nucleare, innescato dall’uso di bombe atomiche tattiche da parte dei russi, non è affatto scongiurato. Al contrario, le difficoltà che l’esercito di Mosca incontra potrebbero far prevalere nelle fazioni più estremiste del Cremlino la tentazione di usare tali armi per vincere una guerra che, allo stato dei fatti, appare perduta.

Russia nella confusione di confini e futuro

Si rammenti, al riguardo, che gli ucraini continuano ad avanzare anche nelle regioni che la Russia ha ufficialmente annesso, e che fonti del Cremlino ormai ammettono di non essere in grado di precisare quali siano, ora, i reali confini della Federazione.
D’altro canto Zelensky non intende fermare le sue truppe proprio mentre stanno avanzando. E’ evidente, a questo punto, che il leader di Kiev, a dispetto delle numerose opinioni contrarie, è convinto che Putin stia solo bluffando. Il generale americano Petraeus, dal canto suo, ha detto con estrema chiarezza che, in caso di attacco atomico da parte di Mosca, la Nato renderebbe pan per focaccia annientando con le atomiche l’esercito di Putin.

Minaccia atomica bluff o disastro?

Nessuno dei contendenti, insomma, pare disposto a cedere, e gli arsenali nucleari russo e americano sono così ben forniti da far apparire le reciproche minacce reali e plausibili.
Proprio per questo Papa Bergoglio non si stanca di invocare la pace. Durante l’ultimo Angelus in Piazza San Pietro ha capovolto l’ordine del discorso, parlando subito di Ucraina e “supplicando” Putin di porre termine all’invasione e Zelensky di aprirsi a proposte di pace.

La solitudine di Francesco

Si dirà che questo è, in fondo, ciò che un pontefice deve fare. Anche Benedetto XV, durante la prima guerra mondiale, aveva invitato tutti i contendenti a fermare la “inutile strage”. C’è però qualcosa nell’atteggiamento di Francesco che impressiona molto, ed è la sua solitudine estrema. Già manifestata quando, in piena pandemia, celebrò da solo la messa in una Piazza San Pietro deserta. Anche durante l’ultimo Angelus il suo viso denotava una solitudine pesante, forse temendo che le sue parole non venissero ascoltate dai destinatari.

Il miracolo sperato anche dai non credenti

Su questo Papa molti hanno espresso considerazioni ironiche. Non è chiaramente un teologo come Ratzinger, e spesso usa espressioni semplici nei suoi discorsi. Nessuno può tuttavia negare che abbia uno spiccato senso pastorale, che lo porta a cercare il dialogo con tutti. Ma possiede anche una spiritualità profonda, che lo porta a preferire gli umili agli esperti di teologia.

Riuscirà nel miracolo di evitare un’altra “inutile strage” solo con le sue parole di pace? Molti ne dubitano anche se, a ben guardare, in una situazione come l’attuale è questa l’ultima speranza che ci resta.


La sosta

Perdonami, Luca, ma questa é troppo bella! Te la pubblico senza permesso.

di Luca Brienza (da Facebook)

Parcheggio nelle strisce blu davanti al Tribunale di Tivoli, città da sessantamila abitanti. Non è abilitato il pagamento tramite Easypark. Nemmeno con Telepass. Vado al totem e ho solo due euro ma devo fermarmi almeno tre ore. C’è scritto che posso pagare col bancomat. Bingo! Infilo la tessera, completo la procedura e niente. Non funziona nemmeno così. Dietro di me, l’ausiliario del traffico mi guarda, mentre passeggia svagato, avanti e indietro. Richiamo la sua attenzione e gli spiego quanto sta accadendo:

– Embè! Nun ce l’ha le monete? –

– E no. Mi dica lei, piuttosto, se è civile, nel duemilaventidue, che in un comune come Tivoli sia possibile pagare la sosta solo con le monete? –

– Mica la obbliga qualcuno a parcheggiare qui! –

Mi parte l’embolo e faccio una piazzata. Di quelle brutte. Di quelle mie, per chi le conosce…

Il tale mi guarda con occhio da pesce (il più sereno dei pesci) e se ne va.

– Vabbe’ però, se ve arzate così, la mattina, fateve ‘na camomilla –

E niente, ha vinto lui. Ha vinto tutto. È il Roger Federer degli ausiliari.

Adesso vado a prelevare al bancomat, spiccio i soldi con un caffè (facendomi maledire dal barista) e vado a integrare il pagamento: mi ci manca solo la multa…


  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)
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