Contateli voi. Trentamila secondo la questura di Roma, più di centomila secondo gli organizzatori. Perché non spiegano, come si fa per i sondaggi, con quali criteri si calcolano le cifre? Comunque, scrive il cronista del Fatto Quotidiano che quando la testa del corteo è arrivata a piazza San Giovanni la coda era ancora alla partenza, in piazza della Repubblica. Quello che segue è un report sintetico e molto personale dell’amico Massimo Marnetto. Ancor più personale è , subito dopo, il suo auspicio di un passaggio di consegne da Letta a Landini per una nuova sinistra. A seguire nella rassegna di oggi, bello e poetico il “Polemos” domenicale di Antonio Cipriani. Chiude un saggio di Domenico Gallo per “Costituente Terra”, sulla politica suicida che ostacola l’avvio del negoziato. È un po’ lungo ma ne suggerisco la lettura integrale (nandocan)
Lungo il corteo
di Massimo Marnetto
Arrivo un po’ prima e già Piazza della Repubblica è piena. Mi fermo davanti al gruppo di ucraini, giallo e azzurro ovunque e le donne con un cerchietto di fiori in testa. ”Sembra un miracolo tutta questa gente per la pace”, mi dice in inglese un’accompagnatrice di un gruppo di ragazzi. Le chiedo se i giovani si sono ambientati. ”Fanno fatica, non capiscono l’italiano, ma capiscono i sorrisi. E quelli sono medicine forti”. Mi sposto e una ragazza cerca di vendermi il giornalino Rivoluzione.
Più in là c’è il gruppo degli iracheni con i cartelli ”Donna, Vita, Libertà!”. Attacco bottone con un ragazzo, orgoglioso di come i suoi amici scendono in piazza sapendo che possono morire. ”Qui in Italia sento tanta solidarietà, ma abbiamo addosso la paura di essere seguiti, spiati… non riesco mai a dormire bene… ma quel velo non è un’oppressione solo per le donne, ma per tutti, è il segno della teocrazia, un peso che senti dentro, sempre”.
Parte il corteo (”…vuoi comprare La Comune?”). Mi sposto verso la testa per vedere i gruppi con i loro striscioni. La temperatura è calata. Vengono da tutta Italia, molti dal sindacato, volontariato, Anpi, mondo cattolico, ong. Mi colpisce una persona matura con un grave problema alle gambe, che marcia insieme ai suoi compagni trascinando i piedi, ma loro vanno tutti piano per lui.
C’è un gruppo di percussionisti che tiene alto il morale con un ritmo così incalzante, che molti ballano. Lasciamo Via Cavour, mi giro e il corteo è ancora compatto fino alla stazione. Arrivo al grande striscione arcobaleno lungo più di dieci metri. A tenerlo sono ragazzi e persone mature di parecchie ong.
Ad uno di loro chiedo come vede la soluzione delle navi che non possono sbarcare. ”E’ un casino. Se non li tiri su dalle loro carrette, quelli fanno naufragio. Ormai i pescatori girano alla larga per non avere guai. Poi quando ce li hai a bordo, iniziano i problemi per il porto sicuro mentre devi soccorrere chi ha la dissenteria, la febbre o urla in crisi di panico per l’eccesso di sofferenza. Finché c’è la Convenzione di Dublino non se n’esce”. Gli rimprovero amichevolmente che però non hanno fatto nemmeno uno striscione sul problema. Sorride e mi indica una scritta incastonata nel grande nastro arcobaleno: ”LA MIGLIOR DIFESA E’ L’ATTRACCO”.
Passaggio
La manifestazione di Roma per la pace è stata anche un congresso del popolo della sinistra, per chiedere il passaggio di consegne da Letta a Landini. Sono contrario ai linciaggi, compreso quello che ha subito Letta. Ma devo dire che ormai una cosa è chiara: o Landini prende in mano un rinnovato PD e si allea con Conte capo di un rinnovato M5S o avremo un ventennio di destra, fiancheggiatore di evasori, corruttori e lobbisti.
So perfettamente che il Segretario della Cgil non vuole cambiare lavoro, ma tutte le persone a Piazza San Giovanni chiedono una rappresentanza credibile non solo per avviare serie trattative di pace in Ucraina, ma per avere come riferimento chi sa cos’è la lotta per la giustizia sociale. E quindi ha esperienza per ottenere attenzione per gli ultimi, lavoro vero, legalità, tutela ambientale. Non con un congresso a marzo, ma ora. Perché è adesso che sofferenza e speranza scandiscono l’urgenza.
La mano che pensa ci dà una mano

Antonio Cipriani su Remocontro
“Io penso effettivamente con la penna, perché la mia testa spesso non sa nulla di ciò che la mia mano scrive”.
Quando appare questa perfetta condizione nell’anima arriva una libertà fiammeggiante e il tempo diventa sublime. Si prende le sue contraddizioni, erra e nell’errare spalanca nuovi orizzonti. Il tempo diventa una questione di spazio. La mano detta e ogni supposizione e pregiudizio inciampano sulla poesia. Su quel poiesis che crea e non subisce forme preconfezionate. *
Invertire la rotta è rivoluzione. Non correre sull’autostrada dei saperi che desertifica il paesaggio culturale serve a dare una speranza alle nostre comunità, a dare un futuro di libertà vera e non virtuale e costellata da schiavitù più o meno palesi. E per invertire la rotta occorre la semplicità, la gentilezza, il camminare lentamente, la poesia per l’appunto, il fare del pensiero un’azione e non un’obbedienza più o meno celata dal conformismo, il ricordare. Riportare al cuore.
Ricordare che possediamo la vita, solo quella. Che possediamo la più antica delle invenzioni: la mano. E che dobbiamo tornare alla sapienza delle mani. Alla delicatezza del tocco, all’arte che esprimono le nostre mani. Scrive il filosofo Lucio Saviani, in un libro intitolato “Mani”, che la mano unisce le cose visibili e le cose invisibili. E trovo questa frase bellissima. La mano è gesto, è amore, disegna architetture nell’aria, cesella metallo, indica al pennello il giusto tocco divino, scolpisce il celato della pietra, tesse, cuce, carezza, raccoglie l’uva, disegna. Unisce mondi e crea saperi e pensiero filosofico. Nel tempo del virtuale e della bruttezza come codice politico e ideologico, la mano che pensa ci dà una mano. **
Le parole che questa mano traccia sul foglio bianco, garbato e ruvido, sono anarchiche, belle, viaggiano accanto al mio desiderio. Si schiudono come fiori al passaggio del pensiero, hanno profumo e scavano il loro segno unico. Uso la matita per costruire mappe e costellazioni di idee, per dare profondità all’azione; uso la stilografica per la leggerezza. Abbiamo le mani per fare questo. Per sovvertire luoghi e tempi comuni, per riprendere il filo interrotto e cogliere la mancanza delle stelle come ferita e non come vantaggio per far finta che tutto vada come deve andare. ***
NOTE
* Domanda di un lettore: ma di questi tempi di fascismo più o meno accettato come dogma democratico, ti pare giusto parlare dell’anima e della poesia?
“Sì, e se proseguirai nella lettura saprai che Polemos è spinto da una volontà politica furibonda”.
** Domanda numero 2: non hai mai la sensazione che il potere se ne freghi di tutto questo?
“No, non la sensazione, la certezza. Il campo da gioco di questa democrazia si basa su regole che non mettono in dubbio l’esistenza del campo da gioco come elemento neutro. Invece non lo è”.
*** Domanda del barbiere anarchico, alchimista rurale: non pensi che di tutti questi ragionamenti poetici e filosofici, in tempi di oscurità e di plagio, se ne possa tranquillamente fare a meno?
Domanda e risposta sono liberamente ispirate dall’autore della prima frase virgolettata che apre questo Polemos, il filosofo Ludwig Wittgenstein.
Come e quando la guerra finirà
Il Presidente ucraino Zelensky ci ha fatto sapere che: “”Solo quando la bandiera ucraina sventolerà di nuovo sulla Crimea liberata il mondo potrà sentirsi sicuro e dire che la guerra è finita.”

Domenico Gallo su “Costituente Terra”
Ormai abbiamo superato gli otto mesi di guerra, senza che vi sia stato un solo giorno di tregua. Se alla controffensiva ucraina la Russia ha risposto mobilitando da trecentomila a un milione di coscritti e riprendendo bombardamenti in larga scala su Kiev ed altre città, diretti soprattutto contro le infrastrutture elettriche. L’Ucraina, dopo il ponte di Kerch, il 29 ottobre ha colpito un’altra volta in Crimea, con l’attacco alla base della flotta russa a Sebastopoli.
Si è trattato dell’attacco più massiccio dall’inizio del conflitto, portato con armi particolarmente sofisticate, come i droni subacquei (forniti dalla Royal Navy), che ha provocato danni a quattro unità, compresa la nave ammiraglia. I russi hanno reagito sospendendo l’unico accordo negoziato con Kiev durante il conflitto, quello relativo alla creazione di un canale sicuro per l’esportazione del grano via mare.
E’ evidente pertanto che il conflitto sta virando verso un’escalation incontrollabile, capace di provocare sofferenze inaudite alle popolazioni coinvolte e di avvicinare lo scontro diretto fra la NATO e la Federazione russa. In questi giorni, grazie alla crescente insofferenza dell’opinione pubblica europea ed italiana e ai ripetuti appelli del Papa, tutti invocano – a parole – la pace ma nessuno ci lascia intravedere come e quando questa guerra finirà.
Intervenendo alle assise “il grido della pace” convocate dalla Comunità di Sant’Egidio, il Presidente francese, Emanuel Macron ha dichiarato che “la pace è possibile” ma sarà “quando e quella che loro decideranno (riferendosi agli ucraini) e che rispetterà i diritti del popolo sovrano (..) Non lasciamo che la pace oggi sia catturata dal potere russo. Oggi la pace non può essere la consacrazione della legge del più forte, né il cessate il fuoco che definirebbe uno stato di fatto”.
Dal momento che – secondo la dottrina NATO-UE – dovranno essere gli ucraini a decidere quando e quale pace sarà possibile, è al Presidente Zelensky che dobbiamo guardare per capire quale sia la sua disponibilità a porre termine al conflitto. Ebbene Zelensky ce lo ha fatto sapere il 25 ottobre rivolgendosi ai partecipanti al vertice interparlamentare della “piattaforma di Crimea” svoltosi a Zagabria con la partecipazione di una quarantina di delegazioni, inclusa la speaker della Camera dei Rappresentanti del Congresso americano, Nancy Pelosi.
Il Presidente dell’Ucraina si è espresso così: “Solo quando la bandiera ucraina sventolerà di nuovo sulla Crimea liberata il mondo potrà sentirsi sicuro e dire che la guerra è finita.” Orbene è fin troppo chiaro che per il Governo ucraino la guerra non deve limitarsi alla difesa, vale a dire a respingere le truppe d’invasione della Federazione russa ma deve spingersi oltre e ribaltare uno status quo consolidato dal 2014, consentendo alle forze armate ucraine di prendere possesso di un territorio che costituisce una Repubblica autonoma inserita nella Federazione russa.
La penisola di Crimea fa parte della Russia da oltre 200 anni, nel 1954 Kruscev la “donò” all’Ucraina, ma si trattava di una mera unificazione amministrativa poiché l’Ucraina continuava a far parte dell’URSS. Nel 2014, dopo il traumatico cambio del regime politico a Kiev, il Consiglio Supremo della Repubblica di Crimea votò all’unanimità la dichiarazione d’indipendenza dall’Ucraina e chiese l’annessione alla Russia.
- La differenzaÈ infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
- ScendereMi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
- La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con IsraeleLa feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
- Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
- PazzoGuardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati. E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)