La Schlein, il PD e la Sinistra
di Gianni Ercole (FB)
La Schlein per il PD mi sembra che basti e avanzi… Magari la base militante la preferisse a Bonaccini &c.
Se ci fosse a sinistra un vero partito plurale, unitario e molto identitario, in grado di costruire alleanze anche con il PD, allora sì che potrebbe iniziare una nuova stagione politica capace di aggregazioni progressiste utili ad una inversione di tendenza storica per il nostro Paese.
Quali altre aspettative si possono avere da una nuova segreteria del PD? Credo realisticamente che oltre a frenare la deriva centrodestrista tipo Renzi e Calenda non è che ci si possa aspettare molto di più. Non credo che possano esprimere segretari più idonei a questo obiettivo rispetto alla Schlein.
Se ci si aspetta un leader di sinistra per il PD capace di far riprendere a quel partito una identità di sinistra vuol dire che siamo fuori dalla realtà.
Queste aspettative in genere vengono espresse tra elettori e militanti della sinistra radicale che non essendo capaci, nella galassia di partitini e gruppi sparsi, di costruire un partito autenticamente plurale e unitario sperano che il PD ci salvi…. lasciamo perdere.. la Schlein va benissimo.
C’è poi chi ritenendo il PD irrecuperabile spera nel suo scioglimento e quindi di recuperarne il bacino elettorale. Il suo elettorato solo in piccola parte andrebbe a partiti di sinistra. La maggior parte dei suoi elettori in assenza del PD si rivolgerebbero al centro di Renzi, Calenda e gli orfani eredi di Berlusconi stabilizzando così il centrodestra.
Lo scioglimento del PD non favorirebbe un processo di aggregazione della Sinistra ma della destra. Credo sia meglio che si riprenda con la guida della Schlein ma per la sinistra sarebbe l’ultima occasione di fare le cose sul serio e contendere al PD la rappresentanza popolare. Insomma le sorti della sinistra dipendono solo dalla sinistra e non dal PD.
Trappolone Ucraina: perché è così difficile far finire la guerra

di Michele Marsonet ( da Remocontro)
Si sente spesso dire, negli ultimi tempi, che il conflitto in Ucraina potrebbe terminare presto se solo venisse privilegiata la strada diplomatica rispetto a quella bellica. Indubbiamente è vero, ma occorre prima accertare quali siano gli spazi effettivi per la diplomazia.
Kiev non può vincere e Mosca non può perdere
In realtà siamo in presenza di un muro contro muro. Sul versante di Mosca Putin non può assolutamente accettare una sconfitta, poiché questo implicherebbe non soltanto la sua fine politica, ma anche la probabile implosione della Federazione Russa (che, tra l’altro, avrebbe conseguenze gravi anche per i Paesi occidentali).
Per quanto riguarda l’Ucraina, Zelensky potrebbe cedere territori solo se fosse costretto a farlo. Per esempio se gli Usa decidessero di diminuire in modo drastico il loro impegno per motivi economici e per placare i crescenti malumori del Congresso. In quel caso, tuttavia, lo stesso presidente ucraino dovrebbe affrontare l’ira dei settori ultranazionalisti divenuti sempre più potenti a Kiev.
Tanti generali, piccola politica mentre la guerra cambia
Che non esista una facile via d’uscita l’hanno capito tutti, i due contendenti e le nazioni e alleanze che li appoggiano. Naturalmente il problema principale è che, da un lato, nessuno si attendeva che gli ucraini (pur sempre con il supporto occidentale) fossero capaci di sviluppare una resistenza così efficace. Dall’altro l’esercito di Mosca ha dimostrato debolezze insospettabili, poiché molti erano ancora fermi alla potenza dell’Armata Rossa della vecchia Urss.
Vi sono però altri fattori da tenere in considerazione. Innanzitutto il fatto che, negli ultimi decenni, la guerra è molto cambiata. Più che scontro tra eserciti regolari in cui il più forte prevaleva e il più debole riconosceva la sconfitta, ora è più difficile individuare vincitori e vinti. I primi si proclamano tali senza esserlo, i secondi non riconoscono la vittoria degli avversari.
Guerra permanente asimmetrica e ibrida
La guerra tende invece a diventare permanente, e da parecchio tempo nessuna grande potenza ha davvero vinto un conflitto. Sono cambiate le regole. La guerra è diventata ibrida o, per usare un termine filosofico, “post.moderna”. I più deboli, anche se sembrano sconfitti, hanno capito la tattica della “guerra asimmetrica” e continuano a combattere usando strumenti come droni, satelliti etc.
Kiev e Mosca, nonostante l’apparente sproporzione delle forze, stanno proprio combattendo un conflitto di questo tipo dove una differenza tra i due schieramenti risulta essenziale. Mentre gli ucraini combattono con grande determinazione (memori, forse, dei tempi sovietici), i russi non appaiono altrettanto determinati. Si vede, infatti, che i soldati non capiscono perché siano impegnati a combattere proprio lì. Senza contare l’opposizione interna che si fa sempre più sentire.
Solo due strade per uscirne
Il conflitto assume insomma una forma quasi proteiforme dove, spesso, è difficile comprendere chi prevalga in un certo territorio. Se aggiungiamo che un ruolo sempre maggiore è svolto dai miliziani ceceni di Kadyrov o da quelli (nominalmente) privati della Wagner, il quadro si complica ulteriormente. Ma non è, in fondo, una grande novità, giacché fattori simili erano comparsi anche in altri, recenti, conflitti.
In conclusione, per far finire questa guerra che tanti danni sta causando alle nazioni europee, ci sono solo due strade. Quella della coercizione Usa sull’Ucraina per indurre Kiev a cedere territori. In quel caso, però, occorre attendersi la continuazione della guerra da parte di Kiev sotto forma di guerriglia partigiana, nella quale gli ucraini hanno accumulato notevole esperienza anche ai tempi dell’Unione Sovietica.
Forse ‘la mano de Dios’ di un altro argentino
La seconda – che può far sorridere alcuni – è la strada invocata da Papa Francesco, il quale si è dichiarato disponibile a visitare tanto Mosca quanto Kiev per verificare ogni minimo spiraglio per un accordo. Mi rendo conto che è quasi impossibile, ma perché perdere ogni speranza? La storia ci offre esempi di uomini di pace che riescono a far terminare guerre solo appellandosi a un’autorità morale superiore.
L’Italia non sa spendere i fondi pubblici.
di Massimo Marnetto
Mancano figure tecniche, giuridiche e amministrative presso i vari Enti, capaci di tirar giù un progetto, scrivere un bando di appalto e svolgere le attività di rendicontazione. Pretendere che ogni piccolo Comune si doti di queste costose competenze è impossibile.
Bene. Allora si potrebbero consorziare i piccoli Municipi per avere Unità Specialistiche Territoriali condivise, in grado di fornire loro assistenza per tutti gli adempimenti necessari all’utilizzo dei fondi pubblici.
Non solo, potrebbero persino redigere piani regolatori dove mancano. Non penso alle vecchie Province che qualcuno vorrebbe sconsideratamente riesumare. Ma piuttosto a strutture di alta competenza, per colmare l’incapacità di spesa e nello stesso tempo utilizzare i giovani laureati del posto, prima che se ne vadano.
Intuisco l’obiezione: mancano i soldi. Già, dimentico sempre che siamo un Paese in rosso fisso, perché tuteliamo l’evasione fiscale.
Morte graduale…..morte desiderata…
di Giovanni Lamagna
La morte, come dice Montaigne, tranne rari casi, non ci coglie mai d’improvviso, cioè nel pieno delle nostre forze.
In genere è l’atto finale, la conclusione di un più o meno graduale lento declino, di un progressivo logoramento del nostro fisico.
Per cui non uccide mai l’uomo intero che eravamo da giovani e, perfino, nella piena maturità (ovverossia tra i 40 e i 50 anni), ma solo “una metà o un quarto” dell’uomo che fummo da giovani o anche da anziani, prima di giungere cioè (semmai vi giungeremo) alla tarda età.
La morte – in certi casi – potrà giungere persino come consolazione, cioè come conclusione desiderata di una vita capace oramai di offrire solo pene e nessuna o ben poche gioie.
- La differenzaÈ infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
- ScendereMi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
- La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con IsraeleLa feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
- Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
- PazzoGuardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati. E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)