Reader’s – 5 settembre 2022 – rassegna web

Gas e petrolio, il «prezzo politico» della guerra. Alberto Negri (su Remocontro).

Finora ci avevano detto e ripetuto che soltanto i mercati potevano decidere i prezzi, con il dogma inviolabile della domanda e dell’offerta. Vuoi vedere che si erano sbagliati?” Alberto Negri, netto e severo come sempre, sul Manifesto pone un bel quesito di fondo. Perché gas e petrolio russi possono avere un prezzo «politico», e non altri beni primari, visto che nel mondo si muore ancora di fame? Sanzioni a chi non applica le sanzioni ma con sconto per amici e clienti. Doppio standard e nessuna vergogna

Per gas e petrolio russi, «prezzo politico»

Con la guerra in Ucraina scatenata da Putin scopriamo che gas e petrolio russi possono avere un prezzo «politico», così almeno sembra da quanto deciso al G-7 e dal dibattito in corso a Bruxelles. E perché soltanto calmierare le materie prime energetiche russe? Perché non estenderlo ad altri beni primari, visto che nel mondo si muore ancora di fame? Finora ci avevano detto e ripetuto che soltanto i mercati potevano decidere i prezzi, con il dogma inviolabile della domanda e dell’offerta.

Vuoi vedere che ci eravamo sbagliati?

In realtà non è così. Non ci siamo sbagliati. Si possono toccare soltanto gas e petrolio dei russi non quello, per esempio, degli americani o delle monarchie arabe assolute del Golfo. Certo in questo caso si vuole sanzionare Mosca e limitare le entrate delle sue esportazioni per colpire la capacità dell’autocrate Putindi continuare la guerra in Ucraina. Ma nessuno oserebbe calmierare il petrolio saudita che è in guerra in Yemen e anche il maggiore acquirente di armi americane e occidentali.

Improvvisamente pacifisti?

Non saremo diventati improvvisamente “pacifisti”? Ma diminuire la capacità di spesa bellica degli stati potrebbe essere un inizio per limitare la corsa agli armamenti, che è esattamente il contrario di quello che sta avvenendo oggi, anzi la Nato ci chiede di aumentare la spesa militare proprio mentre le bollette dell’energia vanno alle stelle per famiglie e imprese.

Sabotatori dell’industria armiera nazionale

Guai, poi, a chi possa essere tentato di esporre pensieri simili dalle nostre parti: verrebbe immediatamente additato come un sabotatore della nostra industria militare che comunque ha migliaia di dipendenti. E a proposito della nostra industria bellica e dei “valori” occidentali che ci vengono continuamente sbandierati: nessuno di chi ha governato in questi anni e da chi sta al comando in Europa è venuta neppure per sbaglio l’idea di congelare le forniture di armi all’Egitto del dittatore Al Sisi il cui apparato di sicurezza ha massacrato Giulio Regeni e ogni oppositore democratico. Anzi non sia mai, perché il generale-presidente privato delle nostre armi si rivolgerebbe ai concorrenti e tra questi anche la Russia. Per di più l’Egitto è anche un fornitore di gas, quindi non si tocca.

Dittatori a cattiveria variabile

Però qualche domandina su come mai finiamo in mano ai dittatori come Putin e Al Sisi o ai monarchi del Golfo – riciclati ormai dentro al Patto di Abramo con Israele– dobbiamo farcela. Nel 2020 il consumo di gas in Europa era di 380 miliardi di metri cubi, e 145 venivano dalla Russia. Ci rifornivamo dai russi perché era più comodo il trasporto con le pipeline e il gas di Mosca costava meno. Lo facevano tutti, dalla Germaniaall’Italia, ai Paesi dell’Est Europa. Una dipendenza così evidente che era diventata un dato di fatto che non andava giù soprattutto agli americani che infatti sono stati quelli che, prima della guerra, avevano minacciato di sanzionare il Nord Stream 2 tedesco.

Interessi Usa e G7

Non solo gli americani hanno il loro gas da vendere ma controllare le rotte delle forniture energetiche mondiali resta un obiettivo strategico di Washington irrinunciabile. Per questo non se ne andranno mai dal Golfo, dove passa il 40% del petrolio mondiale, dove tengono la flotta e le basi militari. Se andiamo a scavare sulle proposte annunciate dal G-7 e dalla Ue in realtà ci accorgiamo che il tetto ai prezzi energetici ha delle conseguenze strategiche assai rilevanti: la maggiore è che il conflitto invece di essere contenuto rischia di allargarsi.

Coalizione dei ‘volenterosi’ anti russa

Cosa vogliono i Sette Grandi? Il G-7 intende applicare“urgentemente” un tetto al prezzo di acquisto del petrolio russo – settore dove Mosca guadagna tre volte di più che dall’export di gas – e incoraggia un’ “ampia coalizione” di Paesi a partecipare all’iniziativa, volta a limitare la capacità di Mosca di finanziare la sua invasione dell’Ucraina. Ma come ottenere che questa “coalizione di volonterosi” anti-russa funzioni? Con le sanzioni cosiddette secondarie. Ovvero verranno sanzionati e puniti i Paesi e gli operatori che acquisteranno petrolio da Mosca con una quotazione superiore al tetto stabilito.

Sanzioni a far crescere i nemici

Questo significa mettere in atto sanzioni economiche e finanziarie del genere di quelle applicate oggi all’Iran che è stato di fatto isolato dal sistema bancario occidentale. Ora siccome tra i maggiori acquirenti di petrolio russo ci sono cinesi e indiani appare chiaro che le onde sismiche del conflitto ucraino siano destinate ad ampliarsi. Senza contare che nel cosiddetto campo occidentale e della Nato ci sono già due anomalie, quella della Turchia e di Israele che non applicano sanzioni alla Russia di Putin.

Le disparità a convenienza

Da Mosca Erdogan importa gas, petrolio e anche sistemi d’arma, ma nessuno osa toccarlo perché il Sultano delle Nato, che si propone costantemente da mediatore con Putin pur vendendo i suoi droni a Kiev, è diventato il vero guardiano del Mediterraneo orientale dove decide, con mosse provocatorie, anche dove si tira fuori il gas offshore. Senza contare i ricatti sui curdi e le continue violazioni dei diritti umani e civili, su cui Finlandia e Svezia dovrebbero passare sopra per avere il suo via libera a entrare nella Nato.


Non penso che le considerazioni di Alberto Negri su un conflitto “che invece di essere contenuto rischia di allargarsi” possano mai convincere Massimo Marnetto che, come ogni attivista militante, non suole soffermarsi troppo sulla complessità delle vicende umane o politiche.

Pacifismo peloso

“Resistenza è sofferenza – scrive stamani nella sua nota quotidiana – Da sempre chi si batte per la libertà non ha vita facile. Capisco le difficoltà di aziende e famiglie per le conseguenze delle sanzioni alla Russia e i contraccolpi sull’energia, ma questo è inevitabile. Difendere la libertà dell’Ucraina dalla violenza russa costa sacrifici, ma non dobbiamo mai dimenticare che sono un millesimo di quelli che patisce una nazione invasa e martoriata dalle bombe di Putin anche sulle case dei civili”.

Insomma, ci fa intendere chiaramente, è doveroso schierarsi. Senza se e senza ma. O con Zelensky o con Putin e Salvini. “Se invece sostituiamo il valore (libertà) con l’interesse (convenienza), allora salta la motivazione solidale a favore degli ucraini. Certo che non conviene aiutare gli ucraini, come va dicendo Salvini. Ma allora smettiamo di riempirci la bocca con proclami a favore della libertà e della solidarietà a Kiev. E proclamiamo l’indifferenza al suo destino come nuovo principio dominante. Un po’ peloso, ma buono per il pacifismo totale e per il riscaldamento invernale”.


Un progetto politico per un’Europa di pace

“Si può aprire una riflessione aperta sul movimento per la pace senza la preclusione di uno slogan (pro o contro)? – scriveva ieri sul Manifesto Emanuele Giordana (Per un’Europa di pace, un progetto politico oltre le pratiche) – Si può tentare di decifrare un conflitto complesso, ridotto alla contrapposizione tra invasori e invasi, buoni e cattivi, armati e disarmati?

“A tentare di rispondere in profondità è stato ieri, forse per la prima volta, un incontro nazionale che ha provato a scandagliare il tema della guerra ucraina, ma senza declinarlo da un solo punto di vista, benché le organizzazioni promotrici, soprattutto Opal e Rete Io accolgo di Brescia, siano chiaramente dalla parte del movimento per la pace.

SCELTA NON SCONTATA e che ha visto anche aperte provocazioni sulla scelta etica che riguarda l’invio di armi, sull’autonomia dell’Europa, sulla ricerca che indaga la strada del fantomatico esercito europeo.

Ospitato dal Comune di Brescia e moderato da Camilla Bianchi del Coordinamento Enti Locali per la Pace, il convegno «Guerra in Ucraina: dentro il conflitto, oltre il conflitto. Per un’Europa di Pace» ha aperto i suoi lavori con le analisi di Mirko Mussetti di Limes (le “ragioni” della Russia), di Fabrizio Coticchia (Univ. Di Genova) e di Matteo Villa (Ispi) che non ha esitato a provocare la platea sul che fare quando un popolo – di cui si riconosce e si sostiene il diritto a difendersi – chiede poi l’atto concreto del sostegno militare.

Gli ha risposto in un certo senso Martina Pignatti (Un Ponte per) ricordando che ci sono altri tipi di azione oltre all’apparente asettico invio di bombe e fucili. “Eppure – dice l’esponente del Movimento Nonviolento – è l’unica voce che mette davvero in crisi la preparazione della guerra. Ecco perché è bene isolarlo, ridicolizzarlo, evitare di presentare un pacifista come candidato alle elezioni». Un tema, quello della prevenzione, ricorrente in diversi interventi.

“Il problema del movimento pacifista – dice in conclusione
della giornata Francesco Vignarca di Rete Pace e Disarmo – è quello troppo spesso di fermarsi alle pratiche. Le campagne vanno be- nissimo… ma bisogna anche fermarsi a pensare, a riflettere col- lettivamente.

La guerra è complessa, la pace lo è ancora di più e quindi ci vuole un progetto politico e quindi stimoli, ragionamenti, prospettive diverse perché non possono bastare le banalizzazioni, da questa o quell’altra parte. Se il movimento per la pace può essere credibile deve essere serio, approfondire e soprattutto aprirsi al più largo campo europeo come il sottotitolo del Convegno suggerisce».


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