Schlein
In più di sessant’ anni che mi ostino a votare a sinistra, non è stato difficile notare che l’autolesionismo è stato e continua ad essere la causa principale dei suoi insuccessi. E ogni volta che una donna o un uomo politico di buona volontà prova a mettere il compito di rappresentare e difendere gli interessi dei deboli e meno fortunati (quelli di cui scrive Prunetti in un articolo che segue) al disopra della carriera personale o anche delle fortune elettorali del partito, si trova a fare i conti con il boicottaggio, non solo mediatico, di chi preferisce mantenerlo nel ruolo accomodante di “oppositore di sua maestà”. Paradossalmente, come Matteo Renzi, più gradito alla Confindustria che ai sindacati.
Fino a quando però, come è accaduto al PD (e per questo oggi ipocritamente criticato dalla stampa mainstream) da partito delle periferie si è ritrovato ad essere “il partito della ZTL”. Ecco perché, a meno di una conversione miracolosa dell’attuale gruppo dirigente come della residua base di iscritti, pare improbabile che la candidatura di Elly Schlein prevalga all’interno del partito su quella degli ex renziani Bonaccini e Nardella. Ma chissà, se riuscisse a classificarsi seconda, potrebbe ancora sperare di vincere alle primarie e con una “squadra” rinnovata provare a riportare a sinistra il consenso perduto di almeno un terzo degli italiani. E questo é anche l’augurio di nandocan.
Elly
di Massimo Marnetto
All’indomani della mia delusione per il caso Soumahoro, un amico mi ha rimproverato di credere alle favole. Ma la speranza ha sempre una componente di ingenuità. Chi la sopprime, vive in una bolla di esperta rassegnazione. Così, ho accolto con gioia anche Elly Schlein, la giovane candidata alla guida del PD, che vuole riportarlo a sinistra. Mettendo al centro giustizia sociale, ambientale e partecipazione. Vasto programma: era dai tempi di Bersani Segretario che non si sentivano pronunciare questi obiettivi.
In caso di vittoria, Elly promette di non cacciare nessuno, ma accusa Renzi (e i renziani) di aver provocato solo macerie. Un chiarimento che riavvicinerebbe tanti ex elettori in diaspora. Riuscirà nell’impresa? E’ difficile, ma non impossibile. Però il rischio maggiore che corre è la ”vittoria digestiva”, ovvero il successo alle primarie e un partito che le riconosce la Segreteria, per poi metabolizzarla nell’isolamento. Pensieri cinici che scaccio, perché ho bisogno di speranza (e ingenuità).
«NON È UN PRANZO DI GALA»: INDAGINE…
.. sulla letteratura working class – di Alberto Prunetti.
recensione (e nota filmica) di Francesco Masala

Il libro (edito da minimum fax, 15 euro) spiega cos’è la letteratura working class, nella quale la classe lavoratrice – quella dei lavori umili e malpagati – non solo è oggetto delle narrazioni, ma anche il soggetto che narra (almeno come provenienza).
Molte volte sono i primi che hanno “studiato” cioè al contrario dei loro padri sono andati a scuola o anche all’università – come Alberto Prunetti, Francesco Guccini nell’Avvelenata, e tanti dagli anni ’60 – a raccontarsi e sentirsi orgogliosi della loro famiglia working class.
Studiare era possibile con borse, case dello studente, pasti in mensa a 350 lire, finanziati con l’accumulazione di risorse del miracolo economico, prodotto dallo sfruttamento dei lavoratori, che poi – grazie alle dure lotte operaie – sopratutto dagli anni sessanta agli anni ottanta, ha migliorato le condizioni economiche dei lavoratori e delle loro famiglie.
Alberto Prunetti affronta poi il problema delle case editrici e dell’industria culturale, che contribuiscono a formare l’immaginario delle persone. In quelle stanze la working class è vista come oggetto delle storie, magari un po’ strappalacrime. Raramente c’è il punto di vista dei lavoratori e delle lavoratrici… d’altronde chi lavora in quelle stanze, se pure per caso è di provenienza working class, si è “intellettualizzato” abbastanza per essere accettato e spesso si vergogna delle sue origini e le rinnega.
In questo prezioso libro Prunetti descrive lo stato della letteratura working class in Italia, in Francia e in Gran Bretagna. La Gran Bretagna è la maestra della letteratura working class, l’autore lo dimostra con ricchezza di argomenti e titoli di romanzi di lingua inglese. E anche la Francia ha tanto da insegnare a chi volesse imparare qualcosa di come la working class si racconta.
Prunetti racconta di un recente viaggio a Bristol, città nella quale ha pulito cessi (scusate, era un toilet cleaner) qualche decennio prima. Altre due cose sono importanti nel libro: la visione di un documentario di Jean-Gabriel Périot, intitolato Retour à Reims (Fragments) – qui trovate una recensione del film – e il ritratto coinvolgente di Joseph Ponthus, morto a soli 42 anni, autore di Alla linea, un libro impossibile da non leggere.
Il libro si conclude con una ricca e necessaria bibliografia (*). Una lettura che non annoia mai, un saggio che fila come un romanzo. Ricordo una storia vera, ma non ritrovo chi e quando: ai tempi dei governi del criminale di guerra Tony Blair, abusivamente laburista, quando furono introdotte (o aumentate) di molto le tasse universitarie, un ministro – o parlamentare, non ricordo più – laburista si dimise perché disse che lui, figlio di operaio, aveva potuto studiare solo grazie alla gratuità dell’istruzione universitaria, e non poteva votare una schifezza così. Un vero politico working class, no?
(*) La bibliografia è ricchissima, eppure mi viene in mente un libro che Alberto Prunetti non cita, Padre padrone di Gavino Ledda: chissà se ci sta bene nella sua lista. E un poeta operaio cinese, QUI le poesie di Xu Lizhi (1990-2014)
NOTA FILMICA
Tralasciando molto cinema inglese e francese (solo per non appesantire la lista), ecco nove film, più uno, working class (in varie accezioni) che arrivano dagli Usa… ma non solo:
Tuta blu, di Paul Schrader
Killer of sheep, di Charles Burnett
El Norte, di Gregory Nava
Oltre il giardino, di Hal Ashby
Wanda, di Barbara Loden
Il sale della Terra, di Herbert J. Biberman
La gabbia dorata, di Diego Quemada-Díez
Matewan, di John Sayles
Nomadland, di Chloe Zao
The spirit of ’45, di Ken Loach
Odi et amo.
di Giovanni Lamagna
La natura umana è caratterizzata da una strutturale e radicale ambivalenza. L’uomo ha un disperato bisogno dell’Altro, per vincere (o, quantomeno, illudersi di vincere) la propria radicale e strutturale solitudine. Potremmo anche dire, quindi, che l’uomo ha un disperato bisogno d’amore. Dell’amore che riceve, ma anche dell’amore che dà.
Senza amore l’uomo muore. Spiritualmente sempre; in certi casi, perfino fisicamente. Allo stesso tempo l’uomo vive l’Altro come limite, come barriera, come ostacolo alla sua ingordigia, alla sua ambizione di essere come Dio, al suo desiderio di sconfinamento e onnipotenza. E, quindi, l’uomo – allo stesso tempo che ama – odia pure.
Il suo amore è, dunque, sempre viziato, ambiguo, ambivalente, contraddittorio. Non è mai puro, diritto, univoco, senza macchie. Lo colse bene Gaio Valerio Catullo, quando, quasi ventuno secoli fa, scrisse il famoso carme 85:
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et excrucior.
Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia.
Non lo so, ma sento che ciò accade, e ne sono tormentato
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A sua volta, l’odio in fondo è sempre il segno di una dipendenza, di un bisogno mai del tutto soddisfatto, impossibile da soddisfare pienamente: quello di inglobare l’altro, di assimilarlo a noi.
Io ti odio perché la tua presenza mi dice nei fatti che io non sono Tutto, che io manco di qualcosa, che tu sei una parte di me che mi manca, che è insuperabilmente, irrimediabilmente e irrecuperabilmente separata da me.
La tua presenza/esistenza non conforta solo la mia solitudine, come in certi momenti felici accade. Ma la conferma, la sancisce; e in maniera radicale, strutturale. Questa ambivalenza radicale e strutturale si manifesta a volte, in tutta la sua massima evidenza e con esplosiva violenza, nell’assassinio della persona che si dice di amare.
Più spesso femminicidio che omicidio. Come a confermare l’antico mito, secondo il quale Eva sarebbe stata creata manipolando una costola di Adamo. Eva, quindi, prima della sua creazione, sarebbe stata una sola cosa con Adamo.
Mentre, dal momento della sua creazione, non lo sarà più; e non lo sarà più per sempre. Nessun amore potrà mai colmare questa distanza, suturare questa separazione. E per questo (forse) l’amore è sempre venato dall’odio. O, quantomeno, da una quota parte di aggressività, se non proprio di odio.
- Sulla valutazione dei magistratiSi vuole introdurre la valutazione della Magistratura? Bene, allora li si faccia anche per gli altri poteri dello Stato. Per il Parlamento vedrei bene l’adozione del ‘’criterio di laboriosità’’: un quinto degli onorevoli e senatori più assenteisti nel biennio vengono sostituiti con elezioni suppletive programmate.
- ‘Peggio del presente, a Gaza, c’è solo il futuro’: Eric SalernoAltri ostaggi sono tornati a casa, tutti sembra, in relativamente buone condizioni di salute anche se traumatizzati dal rapimento e dalla prigionia nelle mani degli uomini di Hamas. In Israele manifestazioni di giusta felicità miste a paura per quello che è accaduto il 7 ottobre e per quello che potrebbe ancora succedere. Centinaia di video passano di mano in mano. In Israele e fuori.
- La differenzaÈ infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
- ScendereMi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
- La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con IsraeleLa feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington