Site icon nandocan magazine

Reader’s – 4 settembre 2022 Rassegna web

Lo spettacolo che ha dato, in questi giorni, il centrosinistra è stato imbarazzante, ma bisogna capire il perché. Che ci siano lotte feroci per definire le candidature e i posti migliori in lista, non è una novità: l’elemento nuovo è, appunto, che oggi tutto accade (fin troppo) alla luce del sole, e non nelle segrete e fumose stanze. Ne deriva così un ulteriore discredito per la politica e i partiti”. Tra gli articoli che propone oggi la newsletter di Libertà e Giustizia scelgo questo di Antonio Floridia, docente di istituzioni e processi politici alla facoltà di Scienze politiche “Cesare Alfieri” dell’università di Firenze. Solo perché mi pare il più utile alla consapevolezza di quale risultato politico possiamo ragionevolmente aspettarci oggi da questa legge elettorale e, nella quasi certezza di un esito preoccupante per la democrazia costituzionale, che cosa è possibile fare per contrastarlo. Leggetelo tutto, è un po’ lungo nonostante qualche alleggerimento da parte mia ma ne vale davvero la pena.

Perché votare é importante, nonostante tutto

di Antonio Floridia

La differenza tra ieri e oggi nella selezione delle candidature, il “suicidio politico” del mancato accordo elettorale con i 5 Stelle, ma soprattutto le ragioni per cercare di evitare l’astensionismo a sinistra.

La selezione delle candidature è sempre stata, nella storia dei partiti, un momento molto controverso e delicato: The Secret Garden of Politics è il titolo di un libro di qualche anno fa su questo tema. Così come ricorrente è l’immagine delle filled-smoke rooms, in cui si decidono le sorti di questo o quel candidato.

Lo spettacolo che ha dato, in questi giorni, il centrosinistra è stato imbarazzante, ma bisogna capire il perché. Che ci siano lotte feroci per definire le candidature e i posti migliori in lista, non è una novità: l’elemento nuovo è, appunto, che oggi tutto accade (fin troppo) alla luce del sole, e non nelle segrete e fumose stanze. Ne deriva così un ulteriore discredito per la politica e i partiti.

Al tempo delle preferenze

Il problema non è che siano i vertici dei partiti a decidere: accadeva anche ai tempi delle preferenze, quando spesso le liste erano composte da tre categorie di candidati: a) i “forti” (capicorrente o referenti locali dei capicorrente, nella Dc e nel Psi; o esponenti del gruppo dirigente nazionale nel Pci); b) le “seconde file” o gli “emergenti”, candidati cioè senza concreta possibilità di elezione, ma che volevano contare il proprio pacchetto di preferenze, da far pesare su altri tavoli; e c) i meri “portatori d’acqua”.

Nel Pci accadeva altro: le candidature erano molto discusse nelle sezioni, ma non perché poi decidesse la base; era un’ampia consultazione attraverso cui il gruppo dirigente valutava il grado di consenso e di rappresentatività di una candidatura.

Gli organismi dirigenti decidevano non solo i candidati, ma anche quelli che dovevano essere eletti, grazie a una scientifica distribuzione dei voti di preferenza tra le sezioni. E a posteriori si poteva valutare in che misura un dato candidato avesse preso davvero i voti previsti, o ne avesse raccolti di più. Insomma, in forme diverse,

I deprecati partiti della “prima Repubblica” vedevano certo delle lotte di potere al proprio interno, ma era la politica a prevalere, la ricerca di una più ampia rappresentatività sociale e territoriale, l’idea di promuovere e premiare dirigenti che avevano dato buona prova di sé, ecc.

Oggi il vero dramma è il vuoto della politica

Oggi, il vero dramma è il vuoto della politica: tutto si riduce ai meccanismi di autoriproduzione del ceto politico, e i partiti diventano meri strumenti per “transitare” nelle istituzioni. Scorrendo alcune cronache locali, in questi giorni, accade di leggere, pressappoco, e senza che ciò susciti una particolare riprovazione, frasi come “il tizio si era fatto eleggere segretario, l’anno corso, proprio perché così sarebbe stato candidato quest’anno”. Ma tant’è, ora comincia una nuova fase. Naturalmente, l’attenzione si sposta sui sondaggi e sui possibili effetti delle scelte che le varie forze politiche hanno compiuto in queste settimane.

Il pericolo dei due terzi dei seggi al centro destra

Com’è noto, è venuta meno, irresponsabilmente, la possibilità che tutte le forze del centro, del centrosinistra e della sinistra, riuscissero a concordare dei candidati comuni per evitare che la destra possa arrivare a conquistare la quasi totalità dei 147 collegi uninominali della Camera e dei 74 del Senato, e quindi anche sfiorare o superare quella quota dei due terzi che rende possibili modifiche costituzionali senza il ricorso al referendum.

Tanto fantascientifica quella prospettiva non è

…..E il problema non è solo quello della “difesa” della Costituzione, ma di una distorsione profonda della rappresentanza, di un controllo assoluto del parlamento da parte della destra, con riflessi inquietanti su alcuni passaggi istituzionali, come l’elezione dei giudici della Corte costituzionale. …..

Insomma, se anche la fatidica soglia dei due terzi non fosse raggiunta (ma si può sempre mettere nel conto un qualche “aiutino” dal “centro”) lo scenario che si prospetta è davvero inquietante. Soprattutto perché il Pd ha acquisito, negli ultimi dieci anni, sempre più un ruolo di partito-istituzione, partito dell’establishment, vocato al governo e al “senso di responsabilità nazionale”: saprà ora imparare a fare il mestiere dell’opposizione? O imploderà definitivamente, una volta venuto meno il collante del potere? Per non parlare, poi, di tutto il resto della sinistra radicale, che vive nella contemplazione delle proprie micro-identità.

Enrico Letta

A questo punto, sottolineata ancora una volta la scelta sciagurata di non avere provato nemmeno a fare un accordo elettorale (non politico), che per avere un senso doveva comprendere il Movimento 5 Stelle – e ribadita la responsabilità che pesa innanzitutto sul Pd, se non altro perché è il partito più forte di quest’area –, la domanda che ci resta, a questo punto, è la seguente:

Come possiamo limitare i danni? Votare, votare, votare!

I vincoli che pone il “rosatellum” (l’impossibilità del voto disgiunto) lasciano pochi margini di scelta all’elettore: se anche si votasse solo il candidato uninominale, questi voti sono comunque ripartiti pro-quota alle liste di sostegno. E se a un elettore piace il candidato X, è costretto a votare il partito Y, che invece mai e poi mai vorrebbe votare. E allora? La competizione si sposta sul proporzionale, dove vengono comunque assegnati i 5/8 dei seggi.

Qui l’unico antidoto, per limitare la valanga della destra, è quello di votare, votare, votare…combattere l’astensionismo: che oggi è sempre più spesso intermittente e asimmetrico, ovvero riguarda settori di volta in volta diversi dell’elettorato, e che oggi potrebbe colpire pesantemente proprio a sinistra, per il messaggio di divisione, di sfiducia, di resa preventiva, di smobilitazione, che il mancato accordo elettorale ha trasmesso.

Si voti, dunque, per qualsivoglia tra le liste delle “non-destre”, ma si voti; sperando che tutte riescano a superare la soglia del 3%. È questo, oramai, il solo “voto utile”, non quello che il Pd cerca di motivare per sé con la gara a essere “primo partito”: “primato” del tutto ininfluente.

In particolare, si deve sperare che il Movimento 5 Stelle, innanzitutto, riesca a recuperare una parte almeno di tutti quegli elettori che nel 2018 gli regalarono quasi il 33% dei voti. Una metà di quegli elettori, che veniva da destra, a destra è ritornata già alle europee del 2019; ma il resto, che veniva da sinistra, corre il rischio di rifugiarsi nell’astensione.

Nei collegi uninominali, solo in alcuni casi, laddove ci sono situazioni davvero incerte, potrebbe essere “utile” un voto alla coalizione Pd-Si-Verdi, quando potrebbe avere qualche chance di successo: ma questi casi sono davvero pochi; e, soprattutto, agli occhi della gran parte degli elettori, sono ben difficilmente identificabili.

Solo se le “non-destre”, al proporzionale, ottengono un buon risultato, si potrà forse evitare una possibile super-maggioranza della destra.

Con questi nuovi mega-collegi, mediamente da quattrocentomila (alla Camera) e ottocentomila (al Senato) abitanti, collegi che non sono mai stati sperimentati prima, è davvero difficile (se non per una minoranza di elettori colti e informati) sapere cosa e dove è “utile” votare”.

La maggior parte degli elettori usa “scorciatoie cognitive” per decidere il proprio voto: guarda solo al simbolo del partito, e – oggi sempre più – anche al nome del leader; ed è così che si spiega la volatilità delle “passioni” personalistiche: Renzi (ma solo alle europee del 2014), poi Salvini e ora, a quanto sembra, Giorgia Meloni.

Insomma, tempi burrascosi ci aspettano: mi auguro di sbagliarmi, ma temo che sarà difficile fermare questa deriva. E ricostruire, dopo una brutta sconfitta, dopo una sconfitta non dignitosa, sarà ancora più difficile, per la sinistra italiana.

www.terzogiornale.it, 22 agosto 2022


Giovanni Lamagna interviene oggi, sul suo Diario politico, giunto al 352.mo “capitolo”, sulle accuse alla Meloni di fascismo presunto e sui rischi reali di autoritarismo alle viste.

di Giovanni Lamagna, a proposito delle recenti contestazioni rivolte a Giorgia Meloni sulle sue (presunte) simpatie fasciste, vorrei proporre alcune riflessioni spero non del tutto scontate e banali.

1. Io penso sia realistico supporre, vista la sua storia, che la Meloni queste simpatie in cuor suo le nutra, anche se probabilmente non le confesserebbe esplicitamente manco sotto tortura, per ragioni di opportunità o, meglio, opportunismo politico.

2. Altrettanto realistico credo sia supporre che la Meloni non nutra nostalgia del fascismo storico, quello che fece dell’Italia una dittatura tra il 1922 (anno della marcia su Roma) e il 1943 (anno dell’arresto di Mussolini).

3. Si può benissimo avere simpatia per un certo Movimento passato alla Storia, senza alcun proposito di riproporlo tale e quale nel presente; perché di quel movimento si può assumere lo spirito di fondo, senza rivendicarne anche le forme esteriori.

4. E, tuttavia, mi chiedo: quale senso concreto, cioè politico, abbia rivolgere tali accuse, a causa di mancate dichiarazioni di dissociazione (per non parlare di quelle di condanna) esplicite? Giorgia Meloni potrebbe anche farle tali dichiarazioni, per ragioni di opportunismo elettorale, ma esse basterebbero a tranquillizzare politici, opinionisti ed elettori che le si oppongono? A mio avviso no, non dovrebbero bastare!

5. Inoltre il problema è essenzialmente Giorgia Meloni (della quale con buone ragioni si sospettano simpatie vetero e, soprattutto, neo-fasciste) o quella vasta porzione di popolo italiano, che oggi (almeno stando ai sondaggi) nutre simpatia per lei e sarebbe disposta a votarla il prossimo 25 settembre? I conti bisogna farli con la Meloni o con il suo attuale potenziale elettorato, senza il quale Giorgia Meloni non conterebbe assolutamente nulla? Credo che la risposta a queste domande sia scontata.

6. Ne consegue che allora le vere domande da porsi non sono quelle relative alle (presunte o reali) simpatie o nostalgie fasciste di Giorgia Meloni, ma quelle relative a cosa è successo in questi ultimi decenni in Italia, che ha reso possibile che una quota molto consistente e forse addirittura maggioritaria della popolazione rinnegasse lo spirito della Costituzione italiana del 1948.

7. Perché una cosa è certa: forse (anzi senza forse) Giorgia Meloni e l’elettorato che oggi è disposta a votarla non hanno nostalgia del fascismo storico e non desiderano instaurare in Italia una dittatura che abbia (anche alla lontana) i tratti di quella del famigerato ventennio; ma sicuramente non hanno simpatia, non hanno nelle loro corde non solo la lettera, ma neanche lo spirito della Costituzione del 1948, ancora formalmente in vigore.

8. Il timore fondato è, dunque, che la vittoria della Destra alle prossime elezioni, con Fratelli d’Italia primo partito, porterà non al ritorno del fascismo in Italia, quale l’abbiamo conosciuto nel secolo scorso, ma ad una modifica sostanziale e radicale degli attuali assetti costituzionali.

9. Contro questi timori ha, però, poco senso inveire; soprattutto quando in tutti questi anni si è fatto poco per difendere lettera e spirito della vecchia Costituzione del ’48; anzi spesso le sono state date picconate anche da parte di schieramenti che non si collocano (almeno formalmente) a destra.

10. Sarebbe meglio riaffermare senza esitazioni e ambiguità (anziché imprecare ad una loro più o meno presunta violazione) valori e principi che della Costituzione del ’48 costituiscono i fondamenti; e, soprattutto, sarebbe meglio portare avanti programmi e iniziative politiche coerenti con quei valori e principi, che andrebbero tutt’al più aggiornati nella forma, non traditi nella sostanza e nello spirito; insomma, sarebbe auspicabile il contrario di quello che ha fatto la maggioranza delle forze politiche italiane (non solo quelle dichiaratamente di Destra) negli ultimi 30/40 anni.


E per sollevare lo spirito nell’augurarvi

Buona Domenica

Grandezza dell’albero in ascolto

è il titolo suggestivo del “Polemos” domenicale di Antonio Cipriani su Remocontro.

La pietra racconta la sua pioggia. A occhi chiusi, picchietta, scivola, prende spazio con le sue geometrie di rigagnoli. Un incanto di armonie.

E anche il suo vento, la pietra racconta. 

Panni stesi tracciano un orizzonte di colori tenui sulle colline che guardano all’Amiata come la più sacra delle montagne, si agitano come bandiere che sventolano alla vita. Una camicia rossa, un paio di jeans, una magliettina dal colore indeciso, stracci da cucina, un paio di calzettoni azzurri. Forse sono solo ricordi di nonni alla finestra, un bucato sui campi di fiori e salvia. Una nenia di voce antica, sussurrata per far prendere sonno al bimbo.

Poi c’è il sole. E per guardare il tramonto occorre strizzare gli occhi e vedere oltre. Oltre le querce, oltre la strada di ghiaia e le campagne stese oziose a disegnare poesia. A tracciare i solchi dell’aratro, della fatica e del dolore. La fatica della terra, maestosa struggente; il dolore del lavoro, della povertà, della paura.

Questa non è una cartolina, è la forma della vita.

Oltre quello che siamo, quello che siamo stati e saremo c’è la memoria, lo spirito del luogo, la furia delle passioni che hanno reso inconfondibile ogni passo. Ricongiungendo lo sguardo alla bellezza, il passo alla lentezza, il sogno alla vita, la carezza del tempo a questo istante preciso in cui ogni elemento si compone come un’opera d’arte e ci dice qualcosa e ci tace tutto il resto. Ci dice di più di quello che siamo e di quello che vediamo. Ci traccia la strada e ce la nasconde. Ciò che tace risuona nel cuore come un cantare gentile; è un nuovo inizio, cenno e mutamento.

La pietra racconta ancora: a guardare bene sono sette i panni stesi al vento, sette le bandiere che sventolano lente e gentili. Sono verticali, come liste. Si muovono oscillando nella totalità dei colori con i quali il sole dipinge il suo arco, mentre la luna lo abbraccia. 

Cantare in verità è un altro respiro. Un respiro a nulla. Un soffiare nel Dio. Un vento. 

(Per lasciar scorrere nei solchi della vita i versi di Rilke nella traduzione sublime di Mario Ajazzi Mancini).


Exit mobile version