Reader’s – 4 / 5 febbraio 2023. Rassegna web

Il molisano Michele Prospero, ordinario di Filosofia del diritto all’Università “La Sapienza” di Roma, pur essendo relativamente giovane (63 anni) è, tra gli intellettuali marxisti più noti, un avversario accanito di quelle che chiama le “soluzioni nuoviste” per la sinistra italiana, a cominciare da Conte e i Cinque Stelle. Non sorprende che tra le candidature di Elly Schlein e Gianni Cuperlo, scelga decisamente quest’ultimo. Collaboratore del “Riformista”, dedica molti dei suoi articoli a fare le pulci al PD anche con una certa efficacia. Quello di ieri era dedicato al presidenzialismo e, pur non condividendo spesso le sue posizioni, ho pensato di pubblicarne i passaggi più significativi come contributo al dibattito su un tema politico di grande attualità.(nandocan)

Quando Conte, Prodi e Letta erano per il presidenzialismo: la riforma va fatta senza tatticismi

di Michele Prospero

Il presidenzialismo è destinato a polarizzare le culture politiche. In attesa di uno scontro frontale, per la difesa della Costituzione, o per la sua eversione formale da troppo tempo rimandata, già si affilano le armi. Per la destra il capo solo che comanda, sciolto dai lacciuoli procedurali, è una prioritaria questione di identità. E rappresenta soprattutto un’occasione storica per rompere con l’onda divenuta anomala dell’antifascismo. Le opposizioni sono contrarie a quella che denunciano come una pericolosa deriva plebiscitaria.

Lo sono, però, più per una questione tattica che per una coerente cultura delle regole. La sinistra non è stata sempre lineare nel tema delle grandi riforme istituzionali. E se oggi contrasta una mutazione della forma di governo targata Meloni-Salvini, lo fa soprattutto per ragioni contingenti.

Conte e il presidenzialismo

Giuseppe Conte, che già nel 2019 vagheggiava “una legislatura costituente”, sognava il presidenzialismo per determinare un cambio “di sistema” in vista della stabilità e governabilità (intervistato da La7, nel giugno del 2021, diceva: “Tra le prime cose che farò se mi insedierò come leader io proporrò agli altri leader di ragionare su una riforma costituzionale che possa rafforzare il nostro sistema”. “Se proporrò il presidenzialismo? Non me lo faccia anticipare”. “Qui c’è un problema di sistema”), e invidiava l’esempio straniero di “capi di Stato e di governo che rimangono in carica per decenni” (La Stampa, novembre 2021)…..

Romano Prodi e il governo forte

….. In un recente colloquio con La Stampa (26 gennaio) Romano Prodi sceglie la parte giusta della contesa (“sono un anti-presidenzialista totale”), ma si concede delle amnesie che non sono tollerabili in un confronto delle idee. Il “parlamentarista convinto”, che a ragione guarda “con molta preoccupazione” alle pericolose riforme della destra, omette un elemento importante della sua recente parabola politica…. Secondo Prodi, che era stato appena travolto dalla carica dei 101, era indispensabile “un forte accentramento di potere nelle mani del vincitore delle elezioni, almeno come ora avviene nel caso dei sindaci o, ancora di più, nella persona del presidente della Repubblica, come in Francia”. Alle obiezioni circa i pericoli di una verticalizzazione del potere personale il leader ferito ribatteva senza remore: “Non solo questo non mi fa paura ma penso che sia l’unica via di salvezza per un Paese che, come l’Italia, ha bisogno di prendere, nel rispetto della volontà degli elettori, le decisioni necessarie per farla uscire dalla ormai troppo lunga paralisi”.

Rosy Bindi, Parisi e Letta

Mentre Rosy Bindi si dichiarò “addolorata in modo particolare” per la fuga prodiana in un territorio ostile al paradigma parlamentare del cattolicesimo democratico (Dossetti, Elia, Ruffilli), il politologo Parisi rilanciò lo stampino semipresidenzialista come una condizione essenziale per il mantenimento del paradiso bipolare distrutto dagli elettori. Lo stesso presidente del Consiglio dell’epoca, Letta, appoggiò i tentativi di svolta costituzionale (“assegnare l’elezione del presidente della Repubblica a mille persone non è più possibile”). Anche se si era espresso a favore del modello francese in maniera – secondo i prodiani – sin troppo felpata, Letta ammirava i muscoli del presidente eletto direttamente dal popolo.

D’Alema, Zanda, Cuperlo, Schlein

Nel dibattito di allora a segnare una certa distanza dal semipresidenzialismo di Prodi figuravano D’Alema, Zanda e Cuperlo. Proprio contro quest’ultimo, all’epoca candidato alle primarie in competizione con Renzi, si scagliò l’area prodiana squadrandolo come un vetusto garante degli equilibri del passato. Elly Schlein, che contro i franchi tiratori del Professore aveva occupato le sedi del Pd, disse che “la vera sfida è tra Renzi e Civati perché sanno parlare non soltanto alla platea degli iscritti ma a tutti gli elettori” e “Cuperlo è in totale continuità con il gruppo dirigente che ha portato questo partito al disastro”.

Anche Veltroni apriva al semipresidenzialismo

In risposta al tentativo bersaniano, ormai naufragato, di ricostruire la forma-partito, Prodi a fine anno si ripresentò inaspettatamente per votare alle primarie. Anche Veltroni, in nome della purezza renziana (per lui il sindaco toscano incarnava la migliore “espressione della sinistra moderna”), si infastidiva per “la sarabanda di adesioni” che, dopo il fresco sostegno al fiorentino da parte di Bassolino e Franceschini, risuonava per tutta Italia. E, in nome della “società che si è fatta veloce”, rigettava l’idea di un partito strutturato (“i partiti forti non esistono in nessuna parte del mondo”), maltrattava la forma di governo disegnata dai costituenti come capolavoro di “lentezza e farraginosità” e apriva al semipresidenzialismo per restituire ai cittadini “molti degli scettri confiscati dai partiti”. Veltroni scolpiva questa sua ricetta istituzionale in un libro uscito proprio in quei mesi del 2013, E se noi domani. L’Italia e la sinistra che vorrei.

Le “suggestioni nuoviste”

Se il Pd intende davvero contrastare i rischi di un presidenzialismo agognato dalla destra come occasione storica di rivincita e cesura della continuità repubblicana, dovrebbe fare i conti una volta per tutte con le suggestioni nuoviste.

I disturbi della memoria, che inducono Prodi a rivendicare un “totale” anti-presidenzialismo, non aiutano alla chiarezza. Non serve una strumentale polemica contro l’elezione diretta del capo dello Stato solo perché arma ideologica della destra radicale. È necessaria, piuttosto, una forte e costruttiva cultura della rappresentanza e del parlamentarismo per correggere scorciatoie che la stessa sinistra ha enfatizzato e impedire una catastrofica torsione delle istituzioni repubblicane. Il Pd dovrebbe ripensare se stesso, il proprio modello di organizzazione, in coerenza con la struttura mediata della democrazia italiana.

La resistenza alle velleità della destra di travolgere il fondamento parlamentare della Repubblica, per essere realmente convincente, deve accompagnarsi ad una ricostruzione della cultura politica, ad una riprogettazione del soggetto politico.

Il “partito lieve”

Quello che Veltroni chiamava “il partito lieve” non poteva che evolvere verso una formazione civica, priva di radicamento, nervatura organizzativa, legame con i ceti operai e popolari. La difesa dell’architettura costituzionale, per essere efficace, deve marciare insieme alla ricostruzione del partito. Nel vuoto della soggettività politica organizzata, nell’evanescenza del sindacato, nel deserto del dibattito pubblico umiliato dalla deriva nichilistica e grottesca della telepolitica delle reti statali, la repubblica si ritrova pericolosamente senza un solido fondamento. Non si smaschera il volto illiberale della destra con questi partiti e con culture politiche che all’analisi preferiscono l’arte leggera della rimozione e del ritocco delle vicende personali.

Michele Prospero


È il Pentagono che ora prova a dire alla Casa Bianca di darsi una calmata sull’Ucraina

da Remocontro

La Rand Corporation: «Ora l’escalation nuoce agli Usa». L’ultimo rapporto del think-tank legato al Pentagono. La guerra non può essere vinta e se dura è dannosa per Washington e i suoi alleati. Serve trovare compromessi, come per la Crimea, per minimizzare i rischi.

La Rand Corporation-Pentagono

Un rapporto appena pubblicato dalla Rand Corporation conclude che la guerra in Ucraina non può essere vinta e considera che la fine del conflitto sia nel miglior interesse degli Stati uniti. Il rapporto del think-tank valuta il protrarsi della guerra come «dannoso» per gli Usa ed i suoi alleati, mentre l’indebolimento della Russia è già stato «sufficientemente ottenuto».

Evitare la guerra lunga

Gli autori del rapporto sono chiari, riferisce Luca Celada sul Manifesto: «Evitare la guerra lunga: policy americana e la traiettoria del conflitto russo-ucraino», perché gli analisti considerano «altamente improbabile lo scenario ottimista di una Russia castigata ed espulsa dal territorio ucraino che rinunci a future rivendicazioni e possa addirittura risarcire i danni.

Interessi americani a guerra breve

Il report elenca una serie di interessi prioritari americani che rendono la cessazione delle ostilità l’opzione più ragionevole per l’amministrazione Biden. Fra queste evitare un conflitto nucleare (negli anni della guerra fredda la Rand fu un principale centro di studi sulla deterrenza nucleare e formulò la dottrina della distruzione reciproca assicurata), il contenimento dei costi energetici e dei loro effetti (stima potenziali 150.000 morti in eccesso in Europa questo inverno) ed evitare di rinsaldare i rapporti fra Russia e Cina.

Risolutezza russa

Il rapporto sottolinea che la mobilitazione attuata da Putin, la risolutezza russa hanno permesso alle forze di occupazione di riprendersi dalla controffensiva di Kharkiv. L’escalation dei bombardamenti e le operazioni terra fanno presuppore, scrivono gli analisti Rand, nella miglior delle ipotesi uno stallo prolungato. Se le forniture occidentali di armi rendono improbabile uno sfondamento russo, il potenziale militare della superpotenza di Putin rende altrettanto poco plausibile la capacità ucraina di espellere l’invasore dal territorio nazionale.

Diritto ucraino alla difesa

Pur riconoscendo agli Ucraini il diritto morale di difesa il rapporto nota che sul rispristino dei confini a quelli pre-febbraio 2022 o addirittura pre-2014, gli interessi americani ed ucraini non necessariamente coincidono. Gli autori affermano anzi che tentare di riconquistare la Crimea avrebbe «l’effetto di prolungare il conflitto e dunque aumentarne proporzionalmente i rischi».

Pragmatismo

Il sorprendente pragmatismo delle valutazioni. «La Rand elaborò per il 2019-2012 una strategia di lungo periodo proprio per la crisi Ucraina, fatta di sanzioni alla Russia da colpire nei suoi punti ‘vulnerabili’, di proteste, di aiuti ‘letali’ a Kiev, di protagonismo della Nato». Ora, riesaminasti i fatti e in controtendenza rispetto alla linea ufficiale della Casa bianca, avendo l’autorevolezza di un istituto direttamente finanziato dal Pentagono, può permettersi di rovesciare il suo giudizio.

Quando aveva avvertito sul Vietnam

Utile ricordare che la Rand è nota, oltre per il peso nel formulare policy militare, anche per un passato di rapporti che hanno inciso sulla politica nazionale. Nel 1971 uno di questi, le ‘Pentagon Papers’ che ripercorreva la storia dell’escalation americana in Vietnam (e concludeva che la guerra non era vincibile per gli Stati uniti) venne reso pubblico dall’analista dissidente Daniel Ellsberg e pubblicato dal New York Times. Due anni dopo venivano firmati gli accordi di pace di Parigi, sottolinea ancora Celada.

L’apparato bellico americano

Il rapporto è indizio di una crescente tendenza ‘possibilista’ all’interno dell’apparato bellico americano. A dicembre aveva cominciato l’ex capo di stato maggiore ammiraglio Michael Glen Mullen affermando in un’intervista alla Abc che «sarebbe stato opportuno fare tutto il possibile per arrivare ad un tavolo di trattativa». Il 21 gennaio era stato l’attuale capo di stato maggiore, generale Mark Milley a ribadire che «l’espulsione delle forze russe da ogni metro di Ucraina occupata sarebbe stata molto difficile».

Rischio guerra di logoramento

Inoltre vi sarebbe crescente preoccupazione fra gli alti gradi sui rischi sempre più credibili di una guerra che non accenna a finire. Un precedente rapporto Rand, ad esempio, pubblicato a dicembre, intitolato ‘Responding to a Russian Attack on Nato During the Ukraine War’, prendeva in dettagliato esame modalità e conseguenze di quattro plausibili scenari di espansione del conflitto a paesi Nato.

Scenari di espansione del conflitto

Crepe nella linea Biden caratterizzata dall’incapacità di alternative all’escalation militare. Dopo la sofferta vicenda delle forniture di carri armati, fra poco dovrebbe venire approvato un nuovo pacchetto da 2 miliardi di dollari (supplemento ai 45 miliardi stanziati dal Congresso a dicembre) che potrebbe comprendere missili media gittata fino a 150 km (a portata di depositi russi in Crimea). Zelensky sta già pensando ad aerei militari come un prossimo passo. Ma a questo riguardo le voci dicono che l’incontro avvenuto il 18 gennaio a Kiev fra Zelesnky ed il capo della Cia William Burns, potrebbe aver avuto proprio l’obbiettivo di ridimensionare le aspettative del presidente Ucraino.

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Tags: diplomazia guerra Pentagono


Sentimento religioso, laici e “credenti”

di Giovanni Lamagna

Considerare la religione come un evento puramente intimo e personale è sicuramente un’offesa al sentimento religioso.

Che i laici pretendano questo modus vivendi dagli uomini di religione è puro arbitrio, se non addirittura violenza.

E’ lecito, invece, chiedere ai credenti che essi rinuncino alla pretesa (anche questa violenta) di imporre ai non credenti la loro morale.

Come se essa fosse LA MORALE, l’unica morale possibile e praticabile.


  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)
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