Reader’s – 31 ottobre 2022 rassegna web

La morte del giornalismo (spiegata bene).

Così Michele Arnese, informatore economico già direttore di Formiche.net e oggi di Start magazine, una carriera in giornali più noti come Il Borghese, Il Giornale, il Mondo, MF/Milano Finanza e Il Foglio, commenta ironicamente su Twitter due frasi di Maurizio Molinari, direttore di Repubblica. Eccole:

“I lettori quando vengono sul sito e scelgono certi argomenti è come se ti dicessero cosa vogliono. Sono indicazioni su cui lavorare per produrre storie in linea con i loro gusti”.

Non voglio entrare nel merito di quella che pare un’ accusa di scarsa attitudine professionale rivolta da un direttore all’altro*, tanto più che nessuno dei due pare imputabile di eccessiva indipendenza di giudizio nei confronti dell’establishment. Vorrei però riflettere su quanto può esservi di veritiero e quanto di errato ( o addirittura ipocrita) nelle loro osservazioni .

Perché è chiaro a tutti che l’informazione trattata come prodotto commerciale qualsiasi, affidata alla legge della domanda e dell’offerta, non è certo una novità. La cosiddetta “linea editoriale” trasmessa da un editore alla redazione giornalistica, attraverso la “dittatura”, mai messa in dubbio, del direttore di testata, è sempre stata la remunerazione dell’investimento, rappresentato dal sostegno e dalla difesa di interessi economico finanziari, ideologici o partitici.

Decenni di professione mi dicono che sarà la remunerazione di quegli interessi, misurata anche (ma non solo) con la tiratura o con l’auditel, a orientare nella scelta degli argomenti. Molto più che la loro rilevanza oggettiva.

Se così stanno le cose, si può davvero dire che siano i lettori/spettatori a selezionare fatti e notizie oltre che il modo di rappresentarli? Oppure è chi dispone la merce in vetrina ad orientare la scelta? Sempre con il criterio del minor costo possibile per il maggior profitto?

Seguire o inseguire i gusti del pubblico, come piace a Molinari e fa invece scrivere ad Arnese di morte del giornalismo, comunque non sarà mai un fine ma solo un mezzo. E a meno che non si tenda a svolgere disinteressatamente un servizio pubblico, si tratterà di un’esca per agganciare il lettore o il telespettatore. Soltanto uno Statuto dell’impresa giornalistica che precisi diritti e doveri per tutti gli informatori potrebbe impedirlo. Se ne è parlato spesso sia nell’Ordine che nel sindacato. La storia invece sta andando nella direzione opposta, se è vero che perfino una legge professionale in vigore, vecchia di sessant’anni, non viene rispettata.

* * *

* Intervistato da “Prima Comunicazione”, Molinari ha detto tra l’altro: “il nostro obiettivo è di agire in tempo reale, più volte al giorno, utilizzando i dati che raccogliamo sui nostri siti, sulle app, sui motori di ricerca e sui social. Se usi bene in tempo reale il Seo, il giornale diventa responsive, dinamico. Il momento in cui raccogli i dati del traffico e li metti a disposizione della redazione si accorcia. 

Prima  Cosa vuol dire essere responsive?

M. Molinari – Il digitale si basa sulla conversazione con il lettore. I lettori, quando vengono sul sito e scelgono certi argomenti, è come se ti dicessero cosa vogliono. Sono indicazioni su cui lavorare per produrre storie in linea con i loro gusti”.


C’era una volta “Repubblica”

di Giovanni Lamagna

“La Repubblica” è diventata già da tempo, da alcuni decenni oramai e progressivamente sempre di più, uno dei giornali del mainstream.

Nata per fare concorrenza al “Corriere della sera ” (storicamente il giornale della borghesia conservatrice, in modo particolare di quella settentrionale) con un’impostazione quindi decisamente progressista, sia pure liberaldemocratica, si è col tempo sempre più spostata a destra, sposando nei fatti la stessa linea politica editoriale del suo storico concorrente.

Questa a mio avviso è la prima ragione “del calo di vendite in edicola”, denunciato oggi dalla stessa Assemblea dei giornalisti di Repubblica.

Tanti lettori di sinistra della prima ora del giornale, riformisti ma allo stesso tempo radicali, si sono sentiti traditi dal vistoso cambio di linea politico editoriale che Repubblica ha avuto nel corso degli ultimi decenni, praticamente a partire dalla direzione di Ezio Mauro, che fece seguito a quella del fondatore Eugenio Scalfari.

Ed hanno quindi cominciato a comprare altri giornali, abbandonando in numero sempre maggiore quello a cui erano tanto affezionati, avendo cominciato a leggerlo dal lontano gennaio del 1976.


Meglio accendere una candela…

Lula conquista il suo terzo mandato

di Massimo Marnetto

Si stanno spaccando le democrazie. Ad iniziare dagli Usa, con Trump. Dopo le votazioni, le parti contrapposte non si rinsaldano più nel nome dell’unità nazionale, ma la delegittimazione reciproca usata in campagna elettorale permane. Con eccessi che arrivano fino all’assalto a Capitol Hill. Idem in Brasile: gli insulti tra Bolsonaro e Lula non promettono certo che il presidente uscente vorrà fare gli auguri a Lula*.

E in Italia? Anche noi siamo a rischio spaccatura. L’ombra del fascismo che ancora avvolge la destra al Governo agisce da anticoagulante. Ma per non esasperare il conflitto sociale, occorre costruire un progetto di sinistra per il Paese, fondato sulla credibilità di obiettivi e leader. ”Meglio accendere una candela, che continuare a maledire il buio”(proverbio).

*Come si prevedeva, rifiuta non soltanto gli auguri ma perfino di riconoscerne la vittoria


  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)
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