Reader’s – 31 maggio 2022 rassegna web

Biden in Medio Oriente

Biden, scrive Piero Orteca su Remocontro, entro un mesesi recherà in visita di Stato in Israele e, in un prossimo futuro, forse anche in Arabia Saudita. O, per essere più franchi e dire le cose come stanno, è obbligato ad andarci. Perché la conduzione che ha fatto delle relazioni internazionali, in questa regione bollente del pianeta, è stata quanto meno pessima, non solo per gli Stati Uniti, ma per l’Occidente nel suo complesso.

“Nel pubblicare ieri la notizia, il quotidiano di Gerusalemme “Haaretz” ha fatto un’analisi spietata del background politico che ha portato al viaggio del Presidente Usa. Il titolo già spiega tutto: “Biden arriva in un Medio Oriente che cambia e che potrebbe non volerlo”. Pur avendo cominciato il suo mandato “con l’obiettivo di disimpegnarsi dal Medio Oriente”,l….In questo momento, la Casa Bianca ha un disperato bisogno di ricostruire buone relazioni con tutti i Paesi della regione. Anche se Biden, su pressione del blocco progressista del suo partito, ha attaccato violentemente, più volte, per la questione dei diritti umani, l’Arabia Saudita. Né più amichevole, pare si sia dimostrato, dicono spifferi di corridoio, con l’Egitto di El-Sissi e col Bahrain.

Blinken allarmatissimo

Il Dipartimento di Stato (Antony Blinken) è stato uno dei più ferventi sostenitori del viaggio di Biden in Medio Oriente. Blinken é allarmatissimo. Alcuni mesi fa aveva spedito a Riad la sua vice, Victoria Nuland, che non è stata nemmeno ricevuta. Mentre, quando Biden ha chiamato il principe, bin Saleman si è rifiutato di parlargli.

Come si vede, una situazione già particolarmente compromessa, che ora si cerca di rattoppare con un obiettivo: convincere l’Opec ad aumentare la produzione giornaliera di petrolio. Per calmierare i prezzi e inguaiare la Russia. Ma, in questo momento, sembra complicato….È la solita palla al piede dei Democratici americani in politica estera: non sanno cosa sia la “realpolitik” e, spesso, chiudono gli occhi e corrono appresso ai loro ideali. Scatenando tutte le guerre di questo mondo.

Difendono la democrazia? Certo. Ma non si chiedono (e non verificano) se il Paese che li ha votati la pensi come loro. Chiamatela pure “autocrazia della democrazia”, se vi pare. Biden, in Medio Oriente, nel Golfo Persico e persino nei rapporti con Stati storicamente “satelliti” di quell’area, ha cambiato politica almeno tre volte in un anno. Confondendo tutto e tutti….

Prima ha fatto la guerra agli ayatollah e poi li ha blanditi, facendo offerte sproporzionate in relazione all’accordo sul nucleare di Vienna. Con i sauditi ha usato due pesi e due misure e con i palestinesi, si è praticamente girato dall’altro lato. Spendendo qualche parola solo sulla Cisgiordania e ignorando sistematicamente la Striscia di Gaza.

Ma forse la sintesi migliore di tutto questo, la fornisce ancora una volta “Haaretz”, con l’intervista al politologo americano Aaron David Miller il cui titolo, riferito a Biden, e quasi un epitaffio: “Biden voleva isolare i sauditi e invece ora gli deve baciare l’anello”.


C’era una volta una Nato: oggi c’è chi ne conta almeno cinque

Il titolo di Limes già dice tutto. Nel Vecchio Continente l’Alleanza Atlantica è classificabile in base all’avversione a Mosca e alla vicinanza a Kiev. Ma l’America fa molta confusione: non vuole sacrificare all’unità dell’Ucraina e assieme l’unità del suo impero europeo. Col rischio che sia l’Occidente a pagare maggior pegno politico per l’azione armata della Russia.

C’era una volta una Nato

Inizia come un favola Luca Caracciolo. «C’era una Nato e oggi ne contiamo almeno cinque, più il capogruppo americano con il pallido vicino canadese». Sommerse ma identificabili già prima dell’invasione russa dell’Ucraina. Emerse e a tutti visibili al quarto mese di guerra. In ordine di avversione a Mosca e vicinanza a Kiev.

Cinque o più anime a frantumarsi

  • «Avanguardia anti-russa nei Tre Mari, Regno Unito, Euroquad, infine Turchia e Ungheria come soliste». Andiamo nel dettaglio per capire meglio.
  • L’avanguardia antirussa, estesa lungo l’asse dei Tre Mari: Artico, Baltico e Nero. Perno centrale la Polonia. Ali nordiche Estonia, Lettonia, Lituania, con la Scandinavia allargata – Svezia e Finlandia sono in procinto di aggiungersi a Norvegia e Danimarca.
  • Ali balcanico-eusine, Bulgaria e Romania. Obiettivo minimo finale, ridurre la Russia a Stato paria. Espulso per sempre dall’equazione di potenza paneuropea.
  • Ma c’è chi spera di più, perché ama talmente la Russia da volerne una dozzina. Frutto di micidiale sequenza: caduta di Putin, crollo del regime, disintegrazione della Federazione Russa.
  • C’è poi il Regno Unito (finché tale resta), non brillantissimo secondo dell’ex colonia americana cui presume di dover spiegare il mondo. E che quando vede russo vede rosso. 
  • Però Londra è sufficientemente pragmatica da potersi esibire nelle più ardite piroette, sapendo che alla fine si ritroverà abbracciata a Washington.

Una ‘quasi squadra’ a due solisti

«Giriamo pagina, perché gli altri quattro attori – una quasi squadra e due solisti – coltivano diversa priorità: salvare l’Ucraina senza rompere con la Russia. Anche per timore che la Russia si rompa in frammenti potenzialmente incendiari, di cui alcuni nucleari. O un minuto prima scateni rappresaglia atomica».

Euroquad

Euroquad, percorso dalla guerra alla tregua come proposto dall’Italia, verso un futuro ordine paneuropeo. Russia inclusa. «Entusiasticamente sostenuto da Macron. Decisiva la Germania, per almeno due motivi: è potenza di mezzo, storicamente oscillante fra Occidente e Oriente, legata alla Russia soprattutto per via energetica; ed è a sua volta divisa fra Bundesrepublik originaria, avversa a Putin e abbastanza esplicita nel sostegno a Zelensky, ed ex DDR, ovvero gli avanzi di Prussia e Sassonia da sempre vicini alla Russia in tutte le sue forme».

Turchia, potenza autocentrica

Impero in ambiziosa ricostruzione, dai Balcani alla Siria, dall’Asia centro-occidentale all’Africa, con perno sulla Tripolitania. Parola d’ordine, non puntare tutto su un solo schieramento, ma solo sui propri interessi. Per ora, unico paese ad aver posto un provvisorio veto all’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato. «Per dare via libera, attende adeguate remunerazioni, soprattutto in armi americane di punta (F-35 o almeno F-16). A Washington Erdoğan non accende passioni, ma impone rispetto».

Infine la piccola Ungheria

Tradotto nel teatro di guerra, la ‘Transcarpazia ucraina’, dove vive una esigua minoranza magiara, (provvisoriamente amministrata da Kiev). Orbán è il grande sabotatore delle sanzioni contro la Russia. «Sufficientemente ingombrante da esasperare americani, britannici e baltici. E altrettanto da consentire ad altri euroatlantici di mandarlo avanti perché a loro viene da ridere».

I delusi ucraini

Fra i responsabili di Kiev………il malumore nei confronti della Nato è esplicito. Tante belle parole (troppe quelle di Zelensky) e poco altro. Tutto il resto, armi e addestratori in testa, arriva da accordi di Kiev con singoli paesi atlantici.

Washington ‘senza tregua’

Per Washington Kiev è importante, la sua causa è giusta, «Ma gli apparati americani non sono disposti a sacrificare l’unità del loro informale impero europeo all’unità dell’Ucraina. Aprendo varchi alla penetrazione cinese oltre che russa nel Vecchio Continente». Col rischio di troppi europei ‘in libera uscita’.


Svastiche ucraine

Che la “de-nazificazione” non possa rappresentare un alibi per un’invasione è talmente ovvio che non si comprenderebbe neppure l’idea di Marnetto di farne oggi l’oggetto della sua nota quotidiana. Tanto che lui stesso ha avvertito la necessità di una precisazione. Perché, come scrive Massimo, “si è parlato molto del Battaglione Azov per la sua chiara connotazione nazista. Ed è vero anche che “i tatuaggi di svastiche e altri simboli hitleriani svelati sul corpo dei soldati arresi lo comprovano”. Ma “la lotta alle frange estremiste di una democrazia è una questione interna. Altrimenti un domani Putin potrebbe invadere anche l’Italia per ”liberarla” da Casa Pound.

“Sembra ovvio che l’antinazismo – come la democrazia – non si esporta, eppure ci sono tante persone che concedono alla Russia le attenuanti della disinfestazione hitleriana dalle squadracce ucraine che hanno martoriato per anni i russofoni, per guardare con molta comprensione la sua invasione. Non sono putiniani, ma ignorano una legge fondamentale della logica: se le premesse sono false, tutto il ragionamento che ne consegue è privo di validità”.


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