Le ragioni della responsabilità
è il titolo della lettera aperta indirizzata dall’associazione di cui faccio parte, “Libertà e Giustizia”, al segretario del PD Enrico Letta per indurlo a riflettere sulle sue responsabilità in questa decisiva vigilia elettorale, non solo di fronte al suo partito ma a tutto il Paese (Fernando Cancedda).
Gentile Segretario del Partito Democratico,
Le scriviamo queste righe presumendo di interpretare i sentimenti di tante cittadine e cittadini che probabilmente non sono mai stati scelti per partecipare alle vostre agorà e che vivono con crescente disagio la situazione che si è creata. Molti di loro pagano già concretamente i drammatici effetti delle diseguaglianze diffuse e temono che ciò che li aspetta non sia un’inversione di tendenza, ma un aggravamento. È al loro disincanto che inasprisce l’astensionismo che sarebbe corretto guardare, molto più che agli elettori di Forza Italia.
Le scriviamo perché il Suo partito ha in questa tornata elettorale una responsabilità che trascende i limiti consueti della convenienza di parte: senza il Suo partito non è possibile costruire un argine consistente a un possibile governo di destra, che se si insediasse con la larga maggioranza parlamentare che si paventa, potrebbe, se lo volesse, stravolgere i fondamenti costituzionali della Repubblica.
Per questo riteniamo che il Suo compito sia in questo momento quello di fare di tutto affinché si produca un’alleanza credibilmente alternativa alla destra, capace di rispondere alla gigantesca crisi di fiducia nei confronti della politica e quindi in grado di contendere il successo elettorale.
Lei ha certamente tutto il diritto di organizzare una proposta politica alle Sue condizioni, ma ha il dovere di trovare il punto di mediazione tra l’inevitabile convenienza per il Suo partito e una responsabilità supplementare per l’intero Paese, senza la quale il rischio di consegnarsi alla destra resterebbe intatto.
Mentre appartiene al legittimo esercizio delle valutazioni politiche scegliere di interrompere l’alleanza politica con il M5S, potrebbe non essere responsabile politicamente ignorare le proposte per accordi di natura elettorale con il M5S volti a limitare i danni di una pessima legge elettorale (non averla cambiata a tempo dovuto è un altro imperdonabile indice di irresponsabilità di quanti oggi si lamentano del suo mantenimento in vigore). Sarebbe oltretutto non conveniente per il Partito democratico, che senza l’accordo con il M5S rischia di mancare l’obiettivo di contendere il successo elettorale alla destra.
Le ventilate ipotesi di alleanze con personalità e partiti che rappresentano una lunga e mai rinnegata storia di demolizione dei diritti sociali, di ostilità per il ruolo e la funzione del settore pubblico e di ripetuti attacchi alla Costituzione, rischiano di apparire così incoerenti da minare ogni credibilità alla proposta d’insieme.
È incomprensibile perché si consideri ciò che ha fatto il M5S imperdonabile, mentre si guarda con favore ai fuoriusciti da Forza Italia, partito del quale essi hanno condiviso quasi trent’anni di nefandezze. Se l’intento è sedurre gli elettori di Forza Italia, l’effetto sarà solo quello di accentuare la sfiducia e il disorientamento dei tanti cittadini delusi dall’incoerenza della politica.
Infine, la responsabilità politica impone che il PD si distingua nettamente dalle posizioni della destra in tema di assetto istituzionale del Paese, dichiarando subito e in maniera esplicita il proprio impegno, quale che sia l’esito delle elezioni, a difendere la Costituzione da ogni progetto di trasformazione che punti a indebolire ulteriormente la forma di governo parlamentare.
Libertà e Giustizia
(28 luglio 2022)
Un libro come bandiera

Antonio Cipriani su Remocontro
Come attivisti (librai, giornalisti, insegnanti, viandanti, vignaioli, artisti…) pensiamo che i libri siano fondamentali. Lo sono. Non tutti, ovviamente. Anzi, potremmo dire che la maggior parte dei libri editati, magnificati dai salottini dell’amichettismo, scritti da personaggi mediatici sotto forma di saggi sapienti vergati da terzi, o spinti da un marketing furioso, sono evitabili. Fanno numero, fanno tendenza, fanno vivere alcune catene editoriali che gestiscono buona parte del mercato in ogni sua declinazione, ma non fanno cultura, la deprimono.
Farne a meno è una possibilità. Soprattutto in una situazione in cui continuano a esistere meravigliose e attive librerie che non si fanno occupare militarmente dai “consigli degli acquisti” che somigliano sempre di più a un accanimento terapeutico, ma vivono di senso critico e pensiero indipendente, proponendo e sostenendo la piccola e media editoria, autori splendidi e non sempre sotto i riflettori mediatici. Pensando che esista un mondo oltre quei dieci volumi che occupano la maggior parte delle vetrine: un mondo dove è possibile trovare gioielli editoriali, perle raffinate, storie che commuovono, esaltano, fanno pensare, creano spirito critico.
Non si tratta di essere resistenti, ma di essere attivisti. Resistere alla furia ottusa culturalmente del tempo va bene, ma va meglio spostare l’attenzione, mettere insieme teste, libertà, spazi e tempo per costruire un’alternativa possibile. Piccola? Non importa il valore del mercato, il successo, la catasta dei libri in esposizione, il rito del firma copie seriale; quello che conta è il rapporto fertile tra il libro e la comunità dei lettori, la possibilità che una persona possa trovare tra le pagine di una storia uno spunto per uno studio, per un viaggio, per emozionarsi e sorridere, per raccontarlo a un’altra persona.
Per questo, anche per questo, è importante continuare a cercare nuove idee, modalità non banali per stare insieme convivialmente, per diffondere libri, cultura del territorio, sapienza e cura. Non servono format visti e rivisti, adatti per un salone del libro e non per una comunità vera che vive in un piccolo paese; non servono presentazioni mordi e fuggi frontali. Occorre fare di più, rendere fertile il terreno della conoscenza, mettere in connessione mondi diversi: chi legge tanto, tantissimo, e chi legge un libro al mese o chi sta scoprendo il gusto della lettura e della conversazione libera e democratica.
Ognuno ha la sua sensibilità. Nessuno deve sentirsi escluso.
Questo testo l’ho scritto anche come libraio, come essere umano che ama i libri. L’ho scritto perché siamo felici che il nostro piccolo Comune, San Quirico d’Orcia, sia candidato a capitale del libro, per promuovere la piccola e media editoria, per sostenere la cultura come bene comune. Oggi il paese rappresenta la Toscana e domani chissà. Perché sono le piccole grandi utopie che cambiano il mondo, che ci aiutano a fare del pensiero un’azione.
Ognuno ha il suo ruolo nella rivoluzione. Partecipando, proponendo, mettendo il cuore e la passione in un’idea di bellezza. Non temere il proprio tempo, oscuro, è una questione di spazio. Riprendersi lo spazio pubblico, indipendente, comunitario, non mediatico, è il primo passo per tornare a costruire un futuro democratico e giusto per tutti.


Alika
di Massimo Marnetto
Alika Ogorchukwu – il mendicante ucciso in strada – è morto per videomissione di soccorso. La variante dell’indifferenza di chi preferisce filmare un reato, piuttosto che intervenire a difesa della vittima. Di solito – a fronte di una lite violenta – si attiva una mobilitazione dei presenti per evitare il peggio. Ora, anche questo gesto di solidarietà collettiva si sta perdendo, tanto più se la videoindifferanza si somma a un razzismo diffuso e alimentato dagli xenofobi, pronto a pensare che un bianco che massacra un nero abbia le sue ragioni.
La politica – neanche a sinistra – vede il progressivo degrado indotto da questo mix di paura e intolleranza. Condanna l’accaduto, ma non si interroga su forme più avanzate di integrazione. Basate magari su contratti ad hoc per portare – nel breve periodo, in 48 ore – i migranti ospitati verso attività di utilità sociali (pulizia sentieri, giardini, verniciatura cancellate, ecc.); e nel lungo, alla formazione e inserimento nelle attività più ”scoperte”. Un migrante che taglia una siepe in un parco scioglie la diffidenza; se rimane separato dalla collettività, la amplifica.
Germania ‘effetto Gazprom’ raziona luce e acqua calda. L’Italia-cicala ha un piano?

*da Remocontro
Germania-formica laboriosa e Italia-cicala perditempo? Docce gelate, piscine fredde, palazzi spenti. A Berlino lo chiamano ‘effetto Gazprom’. Luci sempre più fioche e tensioni sociali sempre più forti. Illuminazione ridotta in molte città, docce all’alba e un piano draconiano per l’inverno con termosifoni a 17 gradi.
‘Priorità sovrastrutture critiche’ e linguaggio di guerra. «È necessario fin da ora risparmiare in vista dell’inverno», si legge su un volantino. Germania del 2022 e non del 1922.

La crisi Ucraina spegne la luce alla Germania
Sul Financial Times un allarmato servizio sulle restrizioni energetiche già in vigore in Germania. A Berlino è stata tolta l’illuminazione notturna da circa 200 edifici storici. Hannover spegnerà anche le fontane. Il buio della crisi del gas come plateale seguito della guerra che si continua a combattere 1.500 km più a est. La reazione è tutta in stile tedesco, questa volta come virtù. «Risparmiare ogni singolo watt utile a superare la riduzione dal 40 al 20% delle forniture di Gazprom». E può anche diventare peggio. Ancora meno gas e più tensioni sociali l’allarme di ‘Money’: «La pace sociale nel Paese oggi è in grave pericolo».
‘Ogni kilowattora conta’
La città di Hannover ha annunciato la chiusura dell’acqua calda nelle sedi sportive per risparmiare almeno il 15% del consumo energetico. Gli edifici municipali potranno godere del riscaldamento solo dall’1 ottobre a 31 marzo e non oltre i 20°C e verranno vietati i condizionatori mobili. «La situazione è imprevedibile», ha commentato il sindaco della città, Belit Onay, citato dal Guardian. «Ogni kilowattora conta– ha spiegato – e la protezione delle infrastrutture critiche (le industrie), deve essere una priorità». Linguaggio di guerra.
‘Priorità sovrastrutture critiche’
«È necessario fin da ora risparmiare in vista dell’inverno», si legge su un volantino. Germania del 2022 e non del 1922. Ma in Germania già si ragiona come se quella che comincerà fra pochi mesi sarà una stagione da guerra più che fredda. Il tutto in un contesto che ha visto la guerra in Ucraina far aumentare i prezzi dell’energia per i consumatori tedeschi fra il 71% e il 200%. Un costo annuale fra i 1.000 e i 2.700 euro in più per un nucleo familiare di un singolo e di oltre 3.800 euro per quattro persone rispetto al 2021. Insomma, la Germania è già in emergenza. E sta operando a tutti i livelli come se la chiusura di Nordstream dovesse essere definitiva.
Germania allarmista o Italia cicala?
Dobbiamo pensare che siano i tedeschi sempre attenti e portati alla precauzione o noi italiani improvvidi e con governo da ‘affari correnti’ a rischio un brusco impatto con la realtà, appena riusciremo ad uscire da una estate rovente? In Italia, sappiamo, si sta litigando elettoralmente su chi sia stato più amico di Putin tra il ‘lettone’ a Berlusconi e gli ’aiutini’ a Salvini. I nostri servizi segreti provano a dire che a loro non risulta che a votare contro Draghi sia stato Putin, ma, da qui a settembre, ‘sparata libera’. Mosca educata : «Politici e media italiani giocano la carta russa durante la campagna elettorale».
Alberto Negri e il ‘fronte Libia’
Libia: la crisi energetica si allarga. Inutili o dannosi gli alleati dell’Italia. «Dalla Libia per il caos politico arrivano in Italia sempre meno gas e petrolio. Ma qui gli alleati europei e americani dell’Italia sono inutili o dannosi. Il 5 agosto a Sochi si incontrano Putin e Erdogan: sul tavolo anche la spartizione dell’influenza in Libia dove l’Eni ha pozzi di petrolio e un gasdotto vitale. Il tutto nell’indifferenza occidentale».
- La differenzaÈ infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
- ScendereMi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
- La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con IsraeleLa feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
- Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
- PazzoGuardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati. E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)