Reader’s – 30 luglio 2022 – (Rassegna web)

La politica che si affaccia oltre la guerra: forzature e lacerazione nascoste

Ennio Remondino su Remocontro

Troppa esibizione può far male alla credibilità della politica. Tra errore e vanità, il grande sforzo comunicativo del presidente ucraino Zelensky negli Stati Uniti attraverso la sua signora, diventa inciampo. Le polemiche per il servizio fotografico a Zelensky e alla moglie Olena Zelenska su ‘Vogue’. Ma a Kiev molto altro e molto peggio.

Con Vogue, elegantemente alla guerra

Martedì il celebre magazine di moda Vogue ha pubblicato un lungo servizio dedicato alla first lady ucraina Olena Zelenska, moglie del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Il servizio nell’edizione statunitense e quella ucraina, poi tradotto anche su Vogue Italia con il titolo “Il volto del coraggio”. Ma il fatto che Zelensky e la moglie abbiano concesso una lunga intervista a una rivista di moda è stato molto criticato da chi la ritiene una scelta inopportuna e una strategia comunicativa discutibile, visto che l’Ucraina è alle prese con un conflitto che dura ormai da più di cinque mesi.

In Ucraina guerra politica interna

«Intrighi, defezioni e tradimenti: dietro le purghe di Zelensky la trama di un golpe incompiuto» il titolo decisamente audace della sempre prudente agenzia Ansa, che quindi qualcosa deve dire o far intendere oltre. Il lungo rosario di licenziamenti, sospensioni e arresti che, dal 24 febbraio, ha sforbiciato i vertici degli apparati statali ucraini. «La trama di un golpe incompiuto e, insieme, l’ordito di un radicale riassetto del potere. Sempre più saldo nelle mani del presidente Zelensky, sempre meno accessibile ai suoi oppositori politici le cui reazioni potrebbero presto sorprendere».

Intrighi, defezioni e tradimenti

Una comunicazione del governo di Kiev stringata, avara, fatta di severità e numeri: 651 procedimenti penali di alto tradimento e attività di collaborazione di dipendenti di procure e altre forze dell’ordine. «Ho deciso di rimuovere il procuratore generale e di rimuovere il capo del servizio di sicurezza dell’Ucraina», l’allora clamorosa dichiarazione di Zelensky. Che alcuni giorni dopo aveva licenziato il capo dei servizi segreti a Kharkiv Roman Dudin.

Annotazioni internazionali

  • Ma già il 14 giugno era stato licenziato il capo dell’amministrazione militare di Chernivtsi, oltre al capo dell’agenzia dei Progetti per le infrastrutture Kryvoruchko Olena. (Adnkronos)
  • Le ‘purghe’ di Zelensky non hanno risparmiato nemmeno il mondo della diplomazia: il 25 giugno il presidente ucraino aveva rimosso dal loro posto gli ambasciatori di Georgia, Slovacchia, Portogallo, Iran, Libano. (EuropaToday).
  • Vengono da livelli e aree diversi, ma le ragioni sono simili: i risultati non soddisfacenti del loro lavoro», ha chiarito Zelensky. Andrea Marinelli e Guido Olimpio. « (Corriere della Sera).

‘Dopo le epurazioni Zelensky blinda l’apparato’

L’apparato statale ucraino si allinea sempre di più al suo leader e i fedelissimi di Zelensky vengono nominati a capo delle istituzioni fondamentali della repubblica. Dopo il Procuratore generale, Andriy Kostin, è stata la volta della giudice della Corte costituzionale, Olga Sovgyria, e del Procuratore capo anticorruzione, Klymenko, scrive Sabato Angieri sul Manifesto. Perplessità sul piano interno e internazionale. «Klymenko avrà come compito quello di supervisionare tutti i casi perseguiti dall’Ufficio nazionale anticorruzione dell’Ucraina (Nabu), in un Paese che è ai primi posti negli indici mondiali di corruzione redatti da Transparency International».

Oligarchi e amici nati come?

La corruzione alimenta il conflitto e l’insicurezza a livello globale, effetti evidenti nel caso di Russia Ucraina. Recentemente Transparency International ha riferito di una fondazione statale tedesca controllata segretamente dalla compagnia russa del gas Gazprom e che agisce a sostegno del gasdotto Nord Stream 2. 

«La corruzione uccide e i governi di tutto il mondo hanno la responsabilità di affrontare le cause profonde di tali conflitti».


Una campagna elettorale per vecchi

Alessandro Gilioli su L’Essenziale

La fascia di potenziali elettori tra i 18 e i 30 anni in Italia è composta da 7,7 milioni di persone, un gruppo in cui l’astensionismo va dal 30 per cento delle politiche del 2018 al 50 per cento delle europee 2019 (prendendo quindi in considerazione le ultime consultazioni che hanno coinvolto l’intero corpo elettorale, referendum a parte). Questo significa che gli under 30 che andranno alle urne a settembre sono calcolabili tra i 2,3 e i 3,8 milioni. Vista la tendenza, forse di meno e difficilmente di più.

La fascia di potenziali elettori over 55 è invece composta da 24,7 milioni di persone. Il tasso di astensionismo di questo gruppo anagrafico è, mediamente, di 15 punti percentuali inferiore a quello degli under 35, quindi è ipotizzabile che alle prossime elezioni saranno circa 11-12 milioni i “seniores” che andranno a votare. 

In altre parole, anche se con un certo margine di approssimazione, è probabile che il 25 settembre si presenteranno alle urne almeno tre elettori con più di 55 anni per ogni elettore con meno di 35.

La promessa di pensioni migliori è considerata molto rilevante per la fascia anziana degli elettori

Questa forbice spiega facilmente la partenza della campagna elettorale delle destre, tutta incentrata sul tema delle pensioni. Silvio Berlusconi promette una “minima” di mille euro, Matteo Salvini s’impegna per riformare la legge Fornero facendo scendere a 41 gli anni di anzianità necessari per ritirarsi dal lavoro, indipendentemente dall’età. 

Ma c’è di più, ed è il cosiddetto pull factor, cioè l’elemento che secondo gli studiosi di flussi elettorali può attirare alle urne. La promessa di pensioni migliori è considerata molto rilevante per la fascia anziana, incerta tra andare a votare e astenersi. Per contro, si è molto indebolito uno dei maggiori pull factor giovanili del 2018, cioè il Movimento 5 stelle. 

Sarà quindi una campagna elettorale indirizzata più agli anziani che ai giovani. Il che significa, tra l’altro, che sarà ancora molto importante il ruolo della televisione e molto minore quello di internet e dei social network, a parte Facebook.

Ma significa anche un’altra cosa: che in assenza di maggiori entrate dalla fiscalità generale (dato l’impegno della destra a non alzare le tasse), se le promesse sulle pensioni di Berlusconi e Salvini fossero mantenute si tradurrebbero in un dislocamento di risorse verso la fascia di popolazione anziana – i cosiddetti boomers – prelevandole dai servizi e dai sussidi per tutti, giovani inclusi. 

E in coda a tutto questo ha spazio anche una considerazione più strettamente politica. Negli Stati Uniti e in Francia, Bernie Sanders e Jean-Luc Mélenchon sono riusciti a mobilitare la fascia di elettori giovani, così come Podemos in Spagna. In Italia, al momento, non sembra che ci sia alcuna forza di sinistra o di centrosinistra né capace né intenzionata a fare altrettanto.


Il Presidente della Camera Roberto Fico tra i non candidabili

La politica deve essere una professione, ma…..

di Massimo Marnetto

Dopo due mandati, a casa. Quello di Grillo sembra un buon principio: rotazione contro incrostazione. Io non sono d’accordo, perché per fare politica ci vuole una lunga formazione e quando i neo parlamentari l’hanno acquisita, mandarli via è uno spreco di conoscenza. Detto più chiaramente: la politica deve essere una professione. Ma con dei criteri di valutazione a fine mandato (presenze in aula, proposte di legge, semplificazione normativa, partecipazione a organismi multilaterali, ecc.).

Insomma, la necessità di alzare la qualità dei politici c’è, ma non è con la precarizzazione dei due mandati che si risolve. Ci vorrebbero dei partiti capaci di selezionare la propria classe dirigente facendo emergere chi fa interventi interessanti o si è distinto sul campo con iniziative di lotta e tutela. Non ricompensando i fedeli al capo corrente.

Ma qui entriamo in ballo noi elettori: se il partito che preferiamo presenta nel collegio un mediocre, dobbiamo sentirci liberi di votare una persona più credibile di una forza affine. Se non la fanno loro la selezione, iniziamo a farla noi.

Giuseppe Conte ringrazia ed elogia su Facebook gli eletti che lasciano per la regola dei due mandati

“Alle prossime elezioni politiche non troverete, tra i candidati del M5S, chi ha già svolto due mandati. Non cambia, quindi, la regola che il Movimento si è imposto dalla prima ora come forma di garanzia affinché gli eletti possano dedicarsi al bene del Paese, senza lasciarsi distrarre dai propri destini personali.

Il mio pensiero è oggi rivolto a tutti coloro che nel corso dei due mandati hanno lottato contro tutto e tutti per vincere le battaglie del M5S. Sono partiti dai banchetti nelle loro città per chiedere giustizia sociale, legalità, tutela ambientale. Hanno sopportato sacrifici e subito attacchi e offese di ogni tipo per portare a termine gli impegni assunti con i cittadini: il reddito di cittadinanza, la legge anticorruzione, il decreto dignità, il superbonus che abbatte l’inquinamento e rilancia l’economia, il taglio dei parlamentari e dei privilegi della politica. E tante altre misure.

Lasciando il seggio non potranno più fregiarsi del titolo formale di “onorevoli”. Ma per noi, per la parte sana del Paese, saranno più che “onorevoli”. Stanno compiendo una rivoluzione che nessuna forza politica ha mai avuto il coraggio neppure di pensare. Stanno dicendo che per fare politica non serve necessariamente una poltrona. Stanno dicendo che la politica è dappertutto. Ovunque ci siano le urgenze e i bisogni dei cittadini, soprattutto di quelli che non hanno privilegi, che non sono affiliati alle cordate politiche e ai potentati economici.

Il patrimonio di competenze ed esperienze con loro maturate non andrà disperso. Continueranno a portare avanti, insieme a noi, le battaglie del Movimento. Abbiamo bisogno della loro esperienza, della loro competenza, della loro inguaribile passione.

Ora avanti, tutti insieme: ci aspetta una campagna elettorale molto dura. Ci hanno spinto fuori dal Palazzo. E lo hanno fatto con astuzia, tentando pure di attribuircene la colpa. Avanti tutti insieme per continuare a cambiare l’Italia. I cittadini onesti, i cittadini invisibili hanno ancora bisogno di noi”.


Sardegna

Lui è #OvidioMarras. Gli dicevano guarda Ovidio che la tua terra te la paghiamo a peso d’oro. Costruiremo a #Tuerredda hotel a 5 stelle con lussuose suite per gente ricca, ne faremo una nuova #PortoCervo, dicci tu la cifra e noi te la diamo. Ma Ovidio, pastore sardo, quasi 90 anni di vita e di orgoglio, ha risposto che lui a Porto Cervo non è mai andato, e per la verità nemmeno sa dov’è. Ha aggiunto: guardate che io non vendo, questa è la terra di mio padre e del padre di mio padre e me la tengo e voi qui intorno non avete diritto di costruire. Ovidio ha fatto causa, da solo, contro megagruppi immobiliari rappresentati da stuoli di avvocati. Lo prendevano in giro come un vecchio scemo tignoso fuori dal tempo che si era messo contro poteri troppo forti, contro chi voleva gettare su uno degli angoli più belli e incontaminati della Sardegna una colata di cemento di 910 mila metri quadri, più o meno come un palazzo di dieci piani.
Invece Ovidio ha vinto. Ha vinto, da solo, e definitivamente. Ha vinto in Cassazione. Non potranno costruire, E quanto di già costruito andrà buttato giù. La sua terra è salva, è la terra da dove il padre ogni giorno partiva con le bestie per il pascolo, al sole, sotto l’orgoglioso e puro vento, e a sera tornava, per un pezzo di formaggio e un tozzo di pane. Direi che con Ovidio ha vinto una certa preziosa idea di dignità, addirittura – pensate – più preziosa del denaro.
Testo e foto di: Massimiliano Smeriglio


La democratica Pelosi a Taiwan a rischio guerra con la Cina? Politica Usa in confusione

di Piero Orteca su Remocontro

Le guerre dei despoti e quelle democratiche e ideologiche.

La Speaker della Camera statunitense andrà in Asia: potrebbe fare visita a Taiwan e si alza ancora la tensione Usa-Cina. Pechino ha minacciato di scortare il suo aereo con caccia militari lontano da casa loro. Kissinger: «Le relazioni tra Cina e Stati Uniti non dovrebbero essere messe in mano ai militari, in particolare quando c’è già un confronto con la Russia. La diplomazia avrebbe dovuto evitare di arrivare a questo punto, anche se ora immagino che sia difficile annullare la missione».

Se la Superpotenza va in confusione

La confusione in politica estera a far da specchio alle folli oscillazioni dell’economia americana. Le incertezze dell’Amministrazione Biden fanno male agli alleati, perché trasmettono un senso di precarietà e di insicurezza della nazione-guida dell’Occidente, in un momento storico di estrema delicatezza. Non è un problema ideologico o di schieramenti. Ma di persone. Semplicemente, l’attuale governance della Casa Bianca non è all’altezza della situazione. L’incapacità di affrontare le crisi, senza alimentare processi di escalation, sembra una degenerazione strutturale della “squadra” di Biden. Oggi, parliamo del rapporto con la Cina, divenuto un vero tormentone.

Nancy ‘Mostra bandiera’ per cosa?

A Pechino (e in molte altre capitali del pianeta) stanno disperatamente cercando di capire se, a Washington, si siano rimangiati tutto quello che finora hanno detto e scritto su Taiwan. Se lo chiedono l’austera BBC e, tra le righe, anche diversi giornali americani, un po’ colti di sorpresa dalle notizie di questi ultimi giorni. Si tratta di questo: la “Speaker”, la Presidente della Camera Usa, la democratica Nancy Pelosi, terza carica dello Stato, ha annunciato che la prossima settimana si recherà a Taiwan. Una visita “per mostrare la bandiera”, fare capire ai cinesi che gli americani sono pronti a tutto per difendere l’isola e per ricordare al mondo che i diritti umani vanno difesi a qualunque costo (un’altra guerra?).

La Cina che ‘non gradisce’ ora si arrabbia

I cinesi hanno reagito in maniera furibonda e hanno accusato gli Stati Uniti di provocazione. In effetti, vista la tensione che si è accumulata negli ultimi sei mesi nel Mar cinese meridionale, forse la signora Pelosi (82 anni), avrebbe potuto scegliere un altro periodo per il suo viaggio. Addirittura, il Ministero della Difesa cinese è arrivato a minacciare “una reazione armata”.

Anche Biden ha capito la diversa portata dell’avvertimento cinese e ha detto ai giornalisti che, su consiglio del Pentagono, “avrebbe sconsigliato il viaggio alla signora Pelosi”.

Una figuraccia per molti

Ma chi fa la politica estera negli Stati Uniti?’ si chiede persino la BBC. La Presidente della Camera va a Taiwan e la Casa Bianca non ne sa niente? Ma il viaggio, sicuramente, avrebbe dovuto essere “confezionato” d’intesa col Dipartimento di Stato (Antony Blinken) e con il Consiglio per la sicurezza nazionale (Jake Sullivan). Cioè, con coloro che non perdono occasione per correggere “in corsa” e continuamente tutte le dichiarazioni che Biden fa “fuori copione”.

Chi fa politica estera negli Stati Uniti?

Taiwan. Finora quest’area di crisi è stata gestita in un quadro diplomatico particolare: chiamiamolo di “reciproca tolleranza”. Con il diritto internazionale dalla parte di Pechino (che rivendica il possesso di una provincia “separata”), e la geopolitica, invece, dalla parte degli Stati Uniti. Che difendono l’indipendenza “capitalistica” di Formosa, ma che finora l’hanno fatto “in punta di piedi“, perché si tratta di un “diritto” che discende dalla vecchia logica delle sfere d’influenza. Quelle di Mosca rispetto a Ucraina-Nato, ad esempio. Regole non definite ad applicazione alternata, di solito aiutata con la forza e persino con la guerra. Insomma: nessuno ha torto e tutti hanno ragione, fin che uno solo se la prende.

La Cina superpotenza economica

Le cose, però, col tempo si sono modificate. Perché la Cina ha cominciato a fare concorrenza agli Stati Uniti, prima come potenza economica e poi come gigante politico. Trump è stato il primo ad aprire un vero fuoco di sbarramento, alzando i dazi doganali e irrigidendo la politica estera di Washington verso Pechino. Quando è arrivato Biden, nel suo primo discorso, ha addirittura dichiarato una specie di guerra santa economica contro la Cina. E poi ha dato vita a tutta una serie di iniziative e di dichiarazioni ostili che non hanno fatto altro che gettare benzina sul fuoco, facendo peggiorare i rapporti con la dirigenza del colosso asiatico. Ora, per mettere una pezza al buco della “provocazione” rappresentata dal viaggio della Pelosi, Biden ha dovuto incontrare in videoconferenza Xi Jinping.

Xi in video arrabbiatura

Al di là dei report offerti dai giornali americani, il Global Times, la versione internazionale del Quotidiano del Popolo di Pechino, ha fatto un resoconto in cui riporta parole di estrema durezza da parte di Xi. È stato un pegno che Biden ha dovuto pagare alla confusione del “decision making process” della sua politica estera. E qui torniamo a quello che dicevamo prima, cioè a un Presidente che sembra il terminale di scuole di pensiero (strategico, economico, di politica sociale) spesso in contraddizione tra di loro.

Le debolezze di Biden vanno cercate nella scarsa omogeneità dei suoi “advisors” o, peggio, in quelle (vaste) aree del Partito Democratico che hanno già deciso di non ricandidarlo per un secondo mandato.


  • Sulla valutazione dei magistrati
    Si vuole introdurre la valutazione della Magistratura? Bene, allora li si faccia anche per gli altri poteri dello Stato. Per il Parlamento vedrei bene l’adozione del ‘’criterio di laboriosità’’: un quinto degli onorevoli e senatori più assenteisti nel biennio vengono sostituiti con elezioni suppletive programmate.
  • ‘Peggio del presente, a Gaza, c’è solo il futuro’: Eric Salerno
    Altri ostaggi sono tornati a casa, tutti sembra, in relativamente buone condizioni di salute anche se traumatizzati dal rapimento e dalla prigionia nelle mani degli uomini di Hamas. In Israele manifestazioni di giusta felicità miste a paura per quello che è accaduto il 7 ottobre e per quello che potrebbe ancora succedere. Centinaia di video passano di mano in mano. In Israele e fuori.
  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
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