Reader’s – 30 gennaio 2023. Rassegna web

A chi mi chiede se voterò alle primarie rispondo di sì, anche se non ho più rinnovato la tessera da quando Matteo Renzi decise di mobilitare il partito per quell’obbrobrio di riforma costituzionale che era il progetto Renzi-Boschi. Per Elly Schlein, naturalmente, come l’amico Cipriani, l’unica che mi pare dia qualche garanzia di fare finalmente del PD un partito di sinistra, che vuol dire dalla parte dei lavoratori per una giustizia sociale, fiscale e ambientale. Sperando di non avere l’ennesima delusione (nandocan)

Della famiglia democratica

Antonio Cipriani su Remocontro

Nei giorni scorsi mi è arrivato, da parte di una amica che stimo davvero tanto, l’appello della comunità democratica della Provincia di Siena per Elly Schlein. Troppa stima per la mittente della mail per cestinare l’appello così come avrei fatto se me l’avesse mandato chiunque altro. Così, con pazienza mi sono messo a leggere il testo. E ho fatto bene, perché l’appello è bello e gentile, parla di noi, di tutti noi nel modo giusto che vorremmo sentire. È scritto da quel che resta dell’attivismo democratico.

Siamo persone attive nei territori, dove il nostro impegno si lega con la vita reale delle persone, insieme alle quali costruiamo il futuro. Un modello, quello della Provincia di Siena, che ha resistito anche quando la politica nazionale ha trascurato il legame con le persone e le comunità, lasciando che quello spazio vuoto venisse occupato da nuovi interlocutori, accendendo un conflitto con chi dalla Sinistra si era sempre sentito rappresentato”.

E ancora: “…vogliamo rilanciare la nostra sfida più grande: cambiare il modello di sviluppo neoliberalista che si è dimostrato insostenibile per le persone e per il pianeta. Un modello che si nutre e amplifica le disuguaglianze, consumando in maniera incontrollata e incontrollabile le risorse naturali. E vogliamo farlo unendo le lotte per il lavoro, la giustizia sociale e ambientale, nel segno dell’intersezionalità, del welfare universalistico in una visione condivisa progressista, ambientalista e femminista”.

Nell’appello si parla del senso della famiglia democratica, di quelle donne e quegli uomini che a sinistra sperano un mondo migliore. Continuano a battersi nelle strade, nelle associazioni, fuori dal Palazzo, con o senza tessere, perché non si ceda di fronte alla plastica certificazione dell’ingiustizia. Perché l’indifferenza torni ad essere un reato contro i nostri figli.

Una famiglia in crisi, certo, che si arrabbia di fronte all’incoerenza di chi l’ha rappresentata, che vive quest’epoca con sofferenza e che nonostante sia più utile occuparsi del privato, del piccolo vantaggio personale e invece è ancora qui a cantare bandiera rossa, a cercare ragioni per votare, per tornare a votare, per partecipare, per fare politica.

A questa famiglia, giovani e meno giovani democratici del territorio, amministratori o sostenitori, attivisti, vignaioli, iscritti o no, viene chiesto un impegno: scrivere una nuova pagina di storia. Che ci salvi. Dice l’appello: “La riempiremo con nuovo linguaggio per dare risposte ad una società sempre più dinamica e complessa che non può essere interpretata solo dall’esperienza degli amministratori locali, ma necessita della partecipazione di tutte e di tutti, delle iscritte e delle iscritte, della comunità democratica che sta al di fuori dei confini tradizionali dei partiti, in modo plurale e paritario”. E conclude così: “Una nuova sinistra è possibile. Un nuovo modello di sviluppo è possibile. Un nuovo Partito Democratico è possibile”.

E Elly Schlein? Essì, questo bel testo con passaggi davvero condivisibili, con una visione della società non schiacciata sulle privatizzazioni, sulla colonizzazione che questo territorio rischia di subire, sulla possibile fine del patto di comunità che ha reso la campagna senese un luogo unico, è un appello per sostenere nelle primarie Elly.

Viene citata cinque volte. Ogni volta per dire che con lei vorremmo si portasse avanti questa politica. Legittimo. Ma la scelta politica dei democratici di questo territorio è di per se stessa un valore. Chiunque vinca le primarie. È un valore e una risorsa perché vuol dire che la rotta si deve invertire dal basso, non serve la faccia giusta per farlo, serve questo spirito che sia così potente da imporsi a chiunque dei candidati. Mica siamo alle primarie di un partito proprietario, a sinistra dovrebbero valere le idee non le facce. Giusto? Mi sembra di cogliere questo nel testo.

Quindi mi piacerebbe leggere: siamo e saremo questo, qualunque cosa decida la sfida tra i candidati. E forse non serve neanche leggerlo da qualche parte, basta esserlo. Riunire la famiglia, riscoprire la bellezza di un sentire comune, agire per l’alternativa e per la giustizia, senza mai far prevalere sulla bilancia della politica il vantaggio miope dell’essere sempre e comunque governativi, anche quando implica stare dalla parte sbagliata, pagando prezzi altissimi in termini di coerenza.

Mi chiede il barbiere se sono iscritto: no. Mi dice se intendo farlo: no. Se ho a cuore questa famiglia: sì, certo. E se voterò alle primarie: sì, ho a cuore questa famiglia… Ma non eri anarchico? Sono anarchico, sentimentale.


La Shoah spiegata a scuola

Anna Falcone su Facebook

Il prof entra in aula: “Chi non è di Ravenna si metta da questa parte”.

Gli studenti lo guardano con sospetto, chi non è nato nella città romagnola, e sono poco meno della metà, si sposta ciondolando senza capire le motivazioni.

“Bene, volevo dirvi che d’ora in poi non potrete più fare lezione in questa classe, non potrete più venire a scuola”.

Facce allibite, “Prof, ma è serio?”, “Dai, è uno scherzo”.

“Sono serissimo, ora toglietevi orologi, braccialetti, collanine e appoggiateli su quel banco. Voi che avete gli occhiali, via anche quelli”.

“Ma non ci vediamo!”.

“È così. Le cinture anche, ragazzi. E le scarpe, non vi servono più. Ragazze, tiratevi indietro i capelli, legateli, nascondeteli come se non li aveste più”.

Una ragazza tornando verso il gruppo dei “non nati a Ravenna” senza scarpe dice: “Non mi sento più io”. Chi ammette di essere in imbarazzo, chi sogghigna. Poi cala il silenzio. Gli studenti ravennati, a bassa voce, uno con l’altro commentano: “Ma dai, ma perché?”.

Quelli che non sono nati a Ravenna vengono spostati verso le finestre, fa freddo dagli spifferi, gli altri possono stare al caldo accanto ai termosifoni.

Il professore si ferma: “Chi di voi ha capito?”

Tutti hanno capito: “Ci ha fatto vivere cosa hanno provato gli ebrei quando sono stati separati dai loro compagni, quando sono stati deportati”.

“E voi come vi siete sentiti?”

“A disagio, gli altri mi vedevano come io non voglio essere vista”. E ancora: “Ma senza occhiali non vedevo nulla”. Tutti concordano: non è giusto, ovvio. Eppure è stato.

L’insegnante ha continuato, rivolgendosi al gruppo dei nati a Ravenna: “E voi, perché siete stati zitti?”.

“Perché lei è il prof”.

“Ma se l’autorità commette qualcosa di atroce voi NON DOVETE TACERE. Succedeva cosi anche con le leggi razziali: alcuni avevano paura di esporsi pur riconoscendo che non erano giuste, altri hanno reagito con un atteggiamento superficiale”.

Lezione conclusa.

Accadeva 4 anni fa. La Shoah spiegata agli studenti dal prof. di lettere Diego Baroncini, allora trentenne. Grazie

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I giorni della Merla

dai “pensieri di Protagora” (Luca Billi, Bologna)

Francamente non so se questi tre freddissimi giorni di fine gennaio si chiamano così per colpa di un cannone o di una promessa sposa che dovevano attraversare il Po. Comunque, che fosse quel pesante ordigno, chiamato familiarmente dai soldati la Merla, o la giovane rampolla della famiglia Merli – avrà avuto anche un nome questa nostra lontana antenata, ma non lo sappiamo e così è diventata, sbrigativamente, la Merla – destinata a fauste nozze, quel convoglio doveva passare il Po e i giorni migliori per farlo sono proprio questi, quando il grande fiume è ricoperto di ghiaccio.

Almeno così raccontiamo questa storia noi, che viviamo in mezzo a questa nebbiosa pianura. So che da altre parti raccontate altre versioni, ma tutti noi che abbiamo radici contadine guardiamo a questi giorni con speranza, perché se sono davvero così freddi – tanto da far passare un cannone o una sposa sul Po – allora vuol dire che la primavera sta per arrivare e sarà bella e ci sarà un buon raccolto.

Sempre che i soldati non ce lo tolgano – succedeva anche questo ai tempi della Merla, intesa come cannone. E chissà se la Merla, intesa come ragazza da marito, era poi contenta di andare a sposare un uomo che non conosceva e che i suoi genitori avevano scelto per lei: anche questo succedeva ai tempi della Merla.

Adesso che il Po non ghiaccia più, che i cannoni possono andare di qua e di là tutti i giorni dell’anno, grazie ai ponti, che le ragazze possono sposarsi con chi vogliono, tranne che con un’altra ragazza (perché questo non sta bene), che guardiamo le previsioni del tempo sui nostri telefonini, grazie ai satelliti, ricordiamoci di quei tempi lontani.

Sperando che la prossima sia una bella primavera.


Gattopard

di Massimo Marnetto

Alla richiesta di Leopard, l’Italia risponde con il Gattopard, il primo carro dotato di tecnologia ibrida bellico-pacifista, che mette d’accordo tutti i partiti. Il mezzo è mandolino-dotato per consentire di lanciare raffiche di serenate demotivanti anche per gli assalitori più convinti. La maxi-pentola e il giga-scolapasta in dotazione consentono di organizzare una spaghettata strategica in caso di accerchiamento, per un intero battaglione. 

Se il nemico non si arrende con le buone, un sofisticato sistema di insipienza artificiale può emettere puntate di Porta a Porta ad effetto narcolessia fulminante anche per i nemici più agguerriti. In casi estremi, i Gattopard possono diffondere il brano ‘’‘O mercenario innammurato’’ del neomelodico Peppiniello Lacrima, appositamente studiato per provocare in pochi istanti uno shock sentimentale nei feroci assalitori della Wagner. ‘’Questo è solo l’antipasto – ha dichiarato con tono di sfida il Ministro Crosetto – non costringeteci ad usare gli ologrammi sonori di Pupo’’. Ma qui è prontamente intervenuta la Meloni per scongiurare l’escalation.


La “donna sexy”

di Giovanni Lamagna

La donna che si abbiglia, si muove, gesticola, parla in un certo modo, ovverossia la donna seducente, provocante, in altre parole la donna che, nel linguaggio oramai diventato comune, anche se decisamente frivolo e banale, viene definita “sexy”, è la donna che non si adatta semplicemente a recepire il desiderio dell’uomo e a corrispondervi.

Non si limita cioè (nel migliore dei casi) a condividere il desiderio del maschio, quando esso si manifesta; come se lei non ne potesse provare uno autonomo e goderne pienamente in quanto soggetto e non solo oggetto di desiderio.

Ma è la donna che non ha inibizioni nell’affermare autonomamente il proprio desiderio, anche prima che si manifesti quello del maschio; ovviamente dopo averlo in primo luogo riconosciuto dentro di sé e non averlo rimosso.

Come, invece, purtroppo avviene spesso nel caso delle donne (non solo delle donne, ma soprattutto nel caso delle donne), sotto il peso di antiche, anzi ataviche convenzioni, che le volevano (ma ancora oggi, in molte realtà sociali, continuano a volerle) non solo pudiche, ma anche, in molti casi, ritrose, reticenti, dunque, in qualche modo, respingenti (almeno in un primo momento) nei confronti del desiderio maschile.

E’, in altre parole, la donna adulta, matura, autonoma, culturalmente e psicologicamente evoluta, disinibita, che sa affermare sé stessa, che non abbisogna in prima istanza del desiderio del maschio e non si nasconde dietro di esso per manifestare il proprio, quasi a non volersene assumere la responsabilità piena, ovverossia in prima persona.

E’ la donna che cerca l’uomo, per soddisfare il proprio desiderio, come questi cerca la donna; su un piano, dunque, di assoluta parità e reciprocità, senza alcuna asimmetria; e non ha paura, né tantomeno vergogna, di comportarsi in questo modo; anzi mostra una spavalderia, che per alcuni è sfrontatezza, per alcuni altri (ancora oggi, perlomeno in alcune realtà geografiche e in alcuni ambienti culturali) è addirittura volgarità; per qualche altro ancora denota “facili costumi”.

E’ la donna che, ad esempio, non delega al maschio la conduzione (tempi, modi, luoghi, posizioni…) dell’atto sessuale – come avviene invece, ancora oggi, nella maggior parte dei rapporti sessuali – ma se ne fa pienamente attrice, anzi protagonista, allo stesso, identico, modo del maschio.

Per questo è una donna che attrae, che occupa indubitabilmente l’immaginario e provoca il desiderio (quantomeno quello inconscio) della maggioranza, se non della quasi totalità dei maschi, ma allo stesso tempo li intimidisce, anzi in molti casi li intimorisce e, in non poche situazioni, fa loro addirittura paura.

Mentre, al contrario, provoca l’invidia, la gelosia e, quindi, l’aggressività (latente e in molti casi del tutto manifesta) di molte donne, che non hanno (purtroppo per loro!) raggiunta la sua stessa libertà culturale e psicologica, ancora schiave di vecchi e arretrati modelli di femminilità.


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