Pakkia
di Massimo Marnetto
Meloni – Ursula, sono venuta qui a Bruxelles per dirti forte e chiaro che la pacchia è finita!
Von der Leyen – Pakkia?.. Non capisco Giorgia?
M – Nel senso che la pacchia è finita pe’ noi: prima, quando stavamo all’opposizione, bastava fa’ le promesse e quella era una vera pacchia. Mo, che stamo al Governo dovemo trova’ i soldi pe’ tajà le tasse, sennò questi ce se magnano.
VdL – Ma scusa, avete oltre 100 miliardi di evasione fiscale. Perché i soldi per la pakkia non li prendete dagli evasori?
M – Aaah Ursulaaa… Quelli c’hanno votato. Che famo, prima strizzamo l’occhio coll’aumento del contante, i condoni, le tregue fiscali… e poi je damo ‘na mazzata? No, i soldi ce li deve da’ l’Europa dei burocrati e dei poteri forti, in cui l’Italia deve tornare con orgoglio ad avere un ruolo…
VdL – Giorgia, l’orgoglio non funziona per chiedere…
M – C’hai ragione. E’ l’abitudine. Noi de destra mettemo l’orgoglio dapperttutto. Va be’, levamo l’orgoglio, ma datece la possibilità de fa’ sto scostamento o qui tra quarche mese, me scostano a me.
VdL – Ah ah ah!.. Sei molto più simpatica di Mario! Io piace Italia: spaghetti, mandolino, mamma mia!.. Tu vuoi i soldi di garanzia degli europei per non chiederli agli evasori italiani? Ah ah ah!.. molto pittoresco. Torna presto a Bruxelles, mi ha fatto piacere conoscerti.
Quali danni
di Raniero La Valle
La luna di miele è finita. Non si nega a nessun governo, in democrazia, anche se il meno desiderato, il meno amato, figurarsi se l’idillio doveva essere negato a una donna, tanto più a una donna che per la prima volta diventava la “signora Presidente del Consiglio”.
Nella sua presentazione alle Camere era piaciuta, per quel suo piglio tra popolaresco e familiare, gli occhi rivolti in su come a sfidare l’emiciclo, ma anche come prova di voler prendere sul serio e rispettare quel consesso, cioè la democrazia: un bell’atteggiamento, non come quello di Renzi, che quando andò a presentarsi al Senato, gli disse che quello era l’ultimo discorso di investitura che avrebbe ascoltato, perché lui l’avrebbe sciolto.
Ma poi sono venuti i primi provvedimenti: non leggi ma decreti legge, non decisioni, ma messaggi, non premesse all’azione, ma elenco di omissioni: no alla condanna del fascismo, no all’all’obbligo vaccinale per i medici, no al tetto antievasione per l’uso del contante, no alla revoca del regalo sanguinoso di armi a Zelensky, il grande officiante dell’immolazione del suo popolo.
E, di male in peggio, le briglie sciolte a Salvini, il blocco dei porti, i naufraghi meglio morti che salvati, le adunate annunziate e i raduni puniti, nuovi reati previsti ed espropri pecuniari inflitti come multe per instaurare un controllo di polizia sulle manifestazioni del pensiero e l’esercizio dei diritti dei cittadini.
Dunque cambia il punto di vista sull’esordio del governo Meloni. All’inizio si trattava di guardare al passato, di vedere come si sarebbe affrancato dalle origini fasciste, come si sarebbe legittimato liberandosi dei cadaveri nell’armadio. Ma ora si tratta di guardare al futuro, di pensare a quali danni può produrre a lungo termine, a come potrà corrompere il pensiero comune, alterare la cultura del Paese.
Un disegno allarmante del mondo che verrà, se il modello del governo Meloni dovesse affermarsi come programmatico e normativo per tutti, è venuto da un’analisi che il vecchio giornale della borghesia lombarda ha fatto della novità arrecata da questa nuova destra al potere.
Dal combinato disposto di un articolo di Maurizio Ferrera e Danilo Taino sul “Corriere della Sera” risulta la “visione” che dal governo di Giorgia Meloni dovrebbe espandersi a rappresentare il nuovo “conservatorismo che serve” all’Europa e al mondo.
Un “europeismo conservatore” che richiami i valori della tradizione e una visione spirituale della vita, attento a conservare nel tempo le norme e i legami che fondano l’identità collettiva,
Contro le “rotture” promosse da ideologie rivali: quindi l’enfasi sulla famiglia, la nazione, su una morale diffidente del nuovo e del diverso; “un effetto di sistema” nel privilegiare l’asse destra-sinistra rispetto alle altre contrapposizioni (verosimilmente a cominciare da quelle di classe); abbandono del sovranismo pur se una visione conservatrice dell’integrazione europea sarebbe più attenta verso politiche di difesa e di controllo dell’immigrazione che verso la cultura o il welfare.
Sul piano internazionale un “Occidente globale” che, al di là di Europa e Stati Uniti comprenda Giappone, Corea del Sud, Australia, Taiwan e si contrapponga alla Russia (“un fascismo vecchio ridicolmente camuffato da elezioni vinte sempre da Putin”) e alla Cina (“Stato di diritto inesistente, dirigismo economico del Partito”):
Se queste due autocrazie dovessero affermarsi “il mondo che conosciamo ne sarebbe sconvolto”, dice il giornale; una realtà dunque che “le democrazie a libero mercato non possono spazzare sotto il tappeto”. Invece, magari per fare affari, come la Germania, hanno voglia di non vedere i rischi posti da questi due “gemelli del totalitarismo” (dovrebbero piuttosto distruggerli?).
Un mondo da brivido. Perciò il governo Meloni dovrebbe essere fatto cadere e questo modello essere scongiurato il più presto possibile.
Nel sito pubblichiamo un articolo di Domenico Gallo sul rifiuto ucraino del negoziato per l’uscita dalla guerra.
Con i più cari saluti,
www.chiesadituttichiesadeipoveri.it
La guerra in Ucraina s’è impantanata, è ora che i due nemici lo riconoscano
da Sbilanciamoci , Francesco Palmas (Avvenire)
Gli scontri, i raid, i cannoneggiamenti e gli attacchi missilistici non sono decisivi, hanno magari un valore propagantistico ma non risolutivo. Da Avvenire.
Chi sta vincendo in Ucraina? Nessuno. Dopo otto mesi e mezzo di guerra, i russi hanno in pugno solo il 17,3% del Paese. Ma, dall’inizio della controffensiva ucraina, non hanno ceduto che lo 0,42% di quanto conquistato dal 24 febbraio scorso. Purtroppo per Kiev, lo slancio settembrino si è esaurito.
L’autunno ha imposto i suoi ritmi. Le piogge incessanti stanno intridendo il terreno, ovunque melmoso. E la storia racconta che da Napoleone in poi la mota è sempre stata il maggior alleato dei russi. Svantaggia chi abbonda in mezzi ruotati e punta tutto sulla manovra veloce.
Il giorno prima

Nel pomeriggio del 1° novembre 1975 Pasolini rilasciò a Furio Colombo un’intervista di cui pensò anche il titolo: “Siamo tutti in pericolo”. Avrebbe dovuto rivederla il giorno dopo, ma il destino volle diversamente.
- Perché pensi che per te certe cose siano talmente più chiare?
- Non vorrei parlare più di me, forse ho detto fin troppo. Lo sanno tutti che io le mie esperienze le pago di persona. Ma ci sono anche i miei libri e i miei film. Forse sono io che sbaglio. Ma io continuo a dire che siamo tutti in pericolo.
- Pasolini, se tu vedi la vita così – non so se accetti questa domanda – come pensi di evitare il pericolo e il rischio?
È diventato tardi, Pasolini non ha acceso la luce e diventa difficile prendere appunti. Rivediamo insieme i miei. Poi lui mi chiede di lasciargli le domande.
📰 L’intervista, uscita poi l’8 novembre 1975 su “La Stampa-Tuttolibri”, fu riproposta con una premessa di Furio Colombo su “l’Unità” del 9 maggio 2005. Il testo è leggibile anche nel volume ‘Saggi sulla politica e sulla società’ a cura di W.Siti e S. De Laude, “Meridiani” Mondadori, Milano 1999, pp. 1723-1730)
📷 Pier Paolo Pasolini nella sua casa di Sabaudia, ottobre 1975 © Dino Pedriali/Tutti i diritti riservati
➡ https://bit.ly/3D8pJ1L
Buona lettura!