L’apertura domenicale ad Antonio Cipriani, che racconta dei luoghi d’incontro come la sua libreria-vineria dove si può ancora continuare a “coltivare” cultura e politica (nandocan)
Sulla soglia per non temere il proprio tempo
di Antonio Cipriani
Questa settimana parlo di attivismo, di quel “fare del pensiero un’azione” con cura e attenzione, nel segno della politica (da non perdere mai di vista) e di quel coltivare cultura che rende fertile il territorio dove abitiamo, dove si muove, lavora, gioisce, fatica la nostra comunità di donne e uomini.
Fuori dagli schemi mediatici, spesso ho raccontano queste azioni minime, alcune semplici, legate a un’idea di misura e di scambio. E oggi parlo di un qualcosa che collettivamente stiamo portando avanti dalle nostre parti, in un piccolo paese che si chiama San Quirico d’Orcia: la soglia come luogo d’incontro. Nel nostro caso la soglia di una libreria vineria, ma anche qualunque altra soglia che consenta lo scambio tra idee e differenze. La soglia di casa, quella simbolica dell’aia di un podere o di un sentiero di campagna.
Da noi la soglia è quel limes fertile tra un luogo dove si vendono libri e vini, un avamposto culturale, e la strada che attraversa il paese, lo proietta metaforicamente nel resto del mondo, facendosi Francigena per viandanti e salotto per famiglie, luogo di gioco per bimbi e di incontro per continuare a essere vivi e non passivamente spettatori attoniti davanti agli schermi dell’epoca.
La strada con la sua vi umanità bella
Quello che passa con l’aria distratta, l’altro che trascina un trolley; la ragazzina che spalanca lo sguardo al mondo, quella che lo pianta sul telefonino. Chi si lascia ispirare e chi si fa guidare dall’algoritmo. Chi fotografa i dettagli e chi passa veloce e non si ferma neanche ad ascoltare Amandine Beyer che suona su quella stessa strada. Sulla soglia di mondi diversi. Mondi distanti, epici, gentili, che si osservano o si respingono.
Il limes è questo cercarsi e respingersi. Trovarsi e perdersi. Passare veloce come in una competizione, perdersi nella deriva delle emozioni, catturando quel pizzico di verità e poesia che sembra introvabile nell’insieme delle fatiche e delle sovrabbondanze della vita. Non ha regole, non ha tour operator che possano orientarlo, né indicazioni. È l’incontro. Quello che avviene nello stare insieme, quello mancato, quello rimandato o fuggente. Qualcosa che trama. Che coltiva. Che genera stupore e ricordo. Gioia e memoria.
Tutto quello che è schematico scorre in un’altra dimensione. Serve per fare mille selfie tutti uguali, per accalcarsi nell’immaginario pop che non prevede altra partecipazione se non l’adesione totale e passiva: rumorosa, chiassosa, alterata o danzante, ma passiva a un sistema che non ha niente a che fare col popolare. Con la cultura popolare che invece genera passioni e attiva memoria, non la cancella sotto le luci stroboscopiche del successo.
Quest’anno torniamo sulla soglia per fare ancora una redazione aperta. Per sedere e conversare. Parlare e ascoltare. Con ordine e disciplina, ha suggerito un’amica argentina che ha immediatamente colto il significato. Nel momento in cui ognuno si accalca per rivendicare l’individualismo dell’io e la costruzione di una rete di plaudenti, la soglia (o il limes) rivendica il meticciato dei saperi, la reciprocità, la capacità di ascoltare il diverso da sé, senza pregiudizio, senza giudizio. Nell’ascolto che genera pensiero critico, che stimola domande e non fa scattare automatiche risposte.
Ricordandoci che non temere il proprio tempo è un problema di spazio.
Non dobbiamo temere questo tempo oscuro fatto di certezze assolute, di imposizioni galanti e feroci, di impossibilità culturali e sociali. Non dobbiamo temere il tempo mediatico, occorre rovesciarne il senso, riprendersi lo spazio per farlo. Non temere le piccole azioni sovversive che appaiono inutili. Saranno queste inutilità sulla soglia a restituirci voce e speranza.
Storie, da un viaggio a Siracusa
di Massimo Marnetto
Il teatrino dell’Opera dei Pupi è pieno. Tra poco, entreranno in scena le marionette della premiata ditta Vaccaro-Mauceri, che da anni cura l’allestimento di spettacoli con storie cavalleresche piene di cavalieri cristiani, saraceni, maghe e draghi. Tutte marionette con armature lucenti e abiti bellissimi, comandate con ferri da abili artisti. Affianco a me ho una madre e la figlia americane. Attacco bottone, la madre mi dice che suo padre era originario della Sicilia, che lei non capisce l’italiano, ma che ha sempre sentito parlare delle storie dei ”pupi” e venire a Siracusa per vederle è come ricucire un pezzo della sua identità familiare. In effetti, noto che più della metà della sala è piena di famiglie che parlano americano e persino gli autori prima dell’inizio, fanno un riassunto della storia in inglese.
Entra in scena il Cavalier Gradasso che vuole conquistare tutto, ma Rinaldo frena la sua ingordigia di potere. Mi viene in mente Putin, ma scaccio il malopensiero. I bambini nelle prime file commentano ad alta voce, danno suggerimenti, si spaventano quando la luce si abbassa e la voce fuori campo diventa cavernosa. Io mi diverto come un matto, e torno bambino quando ogni domenica – se ero stato buono – venivo portato al Gianicolo per vedere il teatrino con Pulcinella che corteggiava la sua bella, ma finiva sempre per prendere una caterva di mazzate dal diavolo. Che appariva alle sue spalle, ma lui non lo vedeva e noi bambini là sotto disperati a urlargli che ce l’aveva dietro già col bastone alzato.
Oggi, si passa ad Edipo Re, nel magnifico teatro greco di Siracusa. Dopo secoli, rimane lo stesso bisogno di ascoltare storie, emozionarci, pensare. Cerchiamo ancora quei dialoghi che ci aiutano a dare un senso alla nostra vita. E questo è un bisogno così diffuso, che nell’antica Grecia le rappresentazioni delle tragedie erano aperte anche agli schiavi e agli stranieri. A nessuno poteva essere negata la medicina per curare la propria ansia di sapersi mortale, randagio, effimero. E ci ritroviamo ancora oggi come allora seduti in un emiciclo, al tramonto, a farci perforare dalle parole di un re e di una madre sventurata, per scoprire che chi vede meglio la via è un cieco.
La grigia normalità di Hong Kong
di Michele Marsonet su Remocontro
Un paese, due sistemi’ era l’impegno: 25 anni fa Hong Kong tornava alla Cina. Dopo aver fatto parte dell’Impero britannico fin dal 1842, il territorio di Hong Kong è ritornato alla Repubblica popolare cinese a partire dal 1° luglio 1997. Il presidente cinese Xi Jinping Xi in visita per la seconda volta nell’ex colonia, il suo primo viaggio fuori dalla Cina continentale dall’inizio della pandemia di Covid.
Oggi un solo Paese e un solo sistema ammesso.

Fa ancora notizia Hong Kong?
A giudicare dai pochi articoli e servizi dedicati alla ex colonia britannica non si direbbe proprio. Negli ultimi anni la città isola era costantemente al centro dell’attenzione grazie alle continue e oceaniche manifestazioni degli attivisti democratici, che sfidavano la polizia locale senza remore.
Ora un silenzio plumbeo è calato su quello che un tempo era un centro non solo commerciale, ma anche culturale tra i più vivaci al mondo. Indubbiamente, dal loro punto di vista, Xi Jinping e il suo gruppo dirigente hanno fatto un ottimo lavoro, spegnendo le proteste senza problemi eccessivi.
E infatti il leader supremo, per dimostrare a tutti che Pechino ha il pieno controllo, ha finalmente interrotto il suo isolamento anti-covid e si è recato in visita nella città, accolto da scolaresche debitamente istruite e sventolanti vessilli cinesi.
Un Paese, un solo sistema
La “normalizzazione” è quindi riuscita in pieno. Anche se, in realtà, Deng Xiaoping, all’atto di restituzione alla Repubblica Popolare, aveva garantito alla città isola una piena autonomia amministrativa fino al 2047, grazie allo slogan “un Paese, due sistemi”.
Era stato pure firmato un trattato ufficiale in questo senso con il Regno Unito, diventato poi carta straccia quando Xi è salito al potere. Il capo supremo ha inteso dare una prova di forza davanti al mondo intero. Già nel 2019, infatti, stabilì che i futuri rappresentanti politici di Hong Kong avrebbero dovuto essere dei “patrioti”, il che significa fedeli al Partito.
Da allora è sparita la sia pur minima parvenza di pluralismo politico e, come accade in tutta la Cina, vengono eletti solo deputati che manifestano la più completa obbedienza alle direttive del centro.
Linea dura a fare paura
Significativo, per esempio, che la contestatissima governatrice Carrie Lam sia stata sostituita da John Lee Ka-Chiu, un poliziotto di carriera che ha avuto un ruolo notevole nella repressione delle manifestazioni democratiche.
Il regime di lui si fida, e anche questo spiega perché Xi ha deciso di visitare personalmente la città. Nel frattempo a Hong Kong, un tempo grande centro internazionale, le autorità scoraggiano l’uso dell’inglese (in pratica parlato da tutti) incoraggiando al contempo la diffusione del mandarino. Anche se, in realtà, gli abitanti parlano il cantonese.
Il ‘Porto profumato’
Si noti anche che, dal punto di vista economico e finanziario, il “porto profumato” ha perduto terreno rispetto a centri considerati più “fedeli”, come per esempio Shenzhen. Non è più, insomma, il grande “hub” finanziario che era una volta. Lo stesso turismo è molto calato poiché la città sta perdendo le caratteristiche “britanniche” che la rendevano unica in Asia.
Errore ‘Zero Covid’
A questo punto Xi Jinping, che intende ottenere un inedito terzo mandato dal prossimo congresso del Partito che si terrà in autunno, potrà vantarsi del successo ottenuto. Sarà però l’unico, poiché l’economia del Dragone sta soffrendo parecchio per i continui “lockdown” totali proclamati a causa della politica “zero Covid”. Mentre non è così sicuro che l’alleanza stretta con Vladimir Putin prima dell’invasione dell’Ucraina sia stata una buona idea.
Malcontento sotterraneo
Nonostante la ferrea censura e il controllo completo dei media continuano a filtrare voci di malcontento sia tra la popolazione sia nello stesso Partito. Tuttavia Xi ha eliminato ogni avversario e si è circondato di fedelissimi, ragion per cui si può prevedere che otterrà l’agognato terzo mandato, in attesa di sciogliere anche il nodo di Taiwan.