Cemento-filia
di Massimo Marnetto
L’abusivismo è l’anima del consenso. Molti elettori – soprattutto a destra (ma non solo) e nel Sud (ma non solo) – votano politici che promettono esenzioni, eccezioni, evasioni; insomma, che favoriscono comportamenti contro l’interesse generale, fatto di sicurezza e bellezza. La frana a Ischia è la conseguenza di questo patto.
Così si costruisce dove non si potrebbe: sotto montagne franose, sul greto dei fiumi, in riva al mare. Il Demanio è demonio, il vincolo è castigo, il divieto è frustrazione, il bello è invenzione. La cemento-filia non tollera limiti; anzi, patisce il rispetto della natura come odio edilizio. E quando succede il crollo, la frana, l’esondazione, tutti danno la colpa agli altri. Poi si seppelliscono i morti, si lava il fango, torna il sole, ci si assolve, si dimentica. E rimangono tare e bare.
No al condono ma sì alla riforma del catasto
di Roberto Seghetti
I miei colleghi giornalisti sembrano avere vista e memoria corta. Perché? Perché dopo Ischia oltre a parlare dell’ultimo condono, firmato dal Conte 1 (ed è giusto che Conte paghi pegno per le proprie contraddizioni e sia messo al centro del dibattito oggi) bisognerebbe ricordare anche l’altra faccia della medaglia, che non riguarda purtroppo solo Conte, Berlusconi, Salvini e Meloni: l’opposizione durissima alla riforma del catasto.
Secondo i dati Istat dell’ultimo rapporto Bes (benessere equo e sostenibile), l’abusivismo edilizio in Italia ha raggiunto la cifra del 19,7%. Nell’arco di dieci anni a partire dal 2005, il numero di costruzioni realizzate illegalmente per 100 costruzioni autorizzate dai Comuni è quasi raddoppiato. Se nel 2005 raggiungeva l’11,9%, nel 2015 toccava il 19,7%.
Ecco: se fai la riforma del catasto fai emergere alla luce tutto l’abusivismo, tutte le case fantasma, e questa emersione obbliga i comuni a non far finta di niente, perché le leggi ci sono, ma ci si gira dall’altra parte.
Il peso del carico residuale
di Nadia Urbinati (da “Libertà e Giustizia”)
La banalità del male prevede almeno il male -o – la radicale disumanità che Hannah Arendt aveva definito e raccontato seguendo il processo al nazista Adolf Eichmann, uno dei maggiori amministratori dell’olocausto, catturato dagli agenti del Mossad in Argentina nel 1960 ed estradato in Israele. Il processo, che si concluse nel 1962 con l’impiccagione, fu seguito dalla stampa internazionale e le sue sedute trasmesse dalla televisione della Repubblica federale tedesca (allora Germania dell’Ovest), dove molto di quel materiale divenne curriculum scolastico.
La banalità del male
Arendt uscì con resoconti periodici sul “New Yorker” e pubblicò “Eichmann in Jerusalem” nel 1962, dove sviluppò l’idea di “banalità del male” – la capacità di inumana crudeltà da parte di ordinarie persone, di funzionari e amministratori, rispetto al male concepito da altri. Non è su un tiranno o una mente malevola soltanto che si edifica un sistema tecnologicamente funzionale di repressione e annientamento.
Secondo Simon Wiesenthal, col processo ad Eichmann il mondo familiarizzò con il concetto di “assassino da scrivania” – per compiere nefandezze uno non deve essere belzebù, è sufficiente che usi un linguaggio anonimo e nel grigiore esegua gli ordini. Da allora, l’attenzione al linguaggio usato nella descrizione e giustificazione di decisioni e lo zelo dei funzionari pubblici nell’obbedire ordini, destano comprensibile sospetto. Lo destano soprattutto se questo grigiore e questa normalizzazione per mezzo della lingua burocratica vengono praticati dalle democrazie costituzionali, con diritti (che non valgono mai solo per i loro cittadini) e con adesioni a convenzioni internazionali per i diritti umani, sui rifugiati, il soccorso dei profughi.
Persone deumanizzate
I recenti casi di respingimento hanno disonorato la Repubblica italiana. E rientrano in questa ombra grigia di inumanità. Il linguaggio usato dal Ministro Piantedosi è questa ombra. Quando persone sono deumanizzate – descritte come “carico residuale” – non ci si accorge di loro, né del male che a loro si fa. E, certo, nemmeno chi perpetra quell’arbitrio si mostra al mondo come inumano perché un “carico residuale” non soffre né respira: come un sacco di patate o uno scarto. Da qui segue l’indicazione di attuare “sbarchi selettivi” – alcuni salvati e altri no, come se chi sta al Viminale sia un Minosse che “giudica e manda secondo ch’avvinghia”.
Salvini il populista era roboante, offensivo e sbracato – ad ogni sbarco era presente, se non altro con la sua propaganda, per prendersi tutto l’onore. Il demagogo faceva del tira e molla la sua retorica, che vestiva i panni dei corpi militari o di polizia, a seconda del caso. Meloni l’autoritaria non si intesta nulla direttamente, lascia a chi è responsabile l’onere di dare ordini “da scrivania” senza avere leadership politica e nessuna intenzione di intestarsi con roboante propaganda quel che fa eseguire. Usa il linguaggio e la postura dell’amministratore che, con parole tecniche. fa il male senza mostrarlo.
Il governo italiano non ha contezza di quanto crudele sia stato il burocratese che ha usato – e neppure ce l’hanno coloro che si sono coperti dietro “sono un funzionario dello Stato”. Quando sono scesi dalle navi delle Ong, abbiamo visto i “carichi residuali” – persone di ogni età e sesso che baciavano la terra, che è loro come nostra, essendovi tutti noi stati gettati senza volerlo. Se quei disgraziati sono un “carico residuale” lo siamo tutti noi. Realmente, non per buonismo.
Aboubakar Soumahoro e gli innocenti
di Alessandro Ghebreigziabiher (*)
Tuttologia da poltrona
L’onorevole Aboubakar Soumahoro, che si è appena autosospeso dal gruppo Alleanza Verdi-Sinistra, è nell’occhio del ciclone in questi giorni.
Sin dalle prime ore in cui ho letto la primissima sgradevole notizia che lo riguardava ho cominciato a riflettere, ma ho voluto aspettare prima di scrivere qualcosa sull’argomento. Nel mentre, ho letto molto e ascoltato altrettanto, a partire dall’interessato sino a tutto il resto, il contorno, tra il fantastico mondo della stampa, il meraviglioso regno della politica e, soprattutto, lo stupefacente universo degli opinionisti, tra chi lo fa di mestiere e la stragrande maggioranza formata da indefessi esperti di tuttologia da poltrona.
Senza entrare direttamente nel merito della vicenda non ancora sufficientemente chiarita del tutto da chi di dovere, sono rimasto alquanto colpito dall’assoluta omogeneità del coro formato dalle voci urlanti e starnazzanti che man mano si son fatte sentire dai sopra citati contesti. Il tribunale ha letto, ascoltato ed emesso la propria unanime condanna: il deputato con gli stivali sporchi di fango si merita di essere seppellito sotto quest’ultimo.
Ora, al netto del fatto che non ci vuole un genio della comunicazione per capire che Soumahoro non ha gestito al meglio quest’ultima, mi pongo una domanda: attualmente l’onorevole è indagato per qualche ragione? La risposta è no.
Ciò che sappiamo ormai per certo è che a risultare sotto indagine sono delle cooperative legate alla moglie e soprattutto alla suocera. Le famigerate coop di famiglia, come sono state chiamate sin dall’inizio dai giornali. Nondimeno, è inevitabile che le motivazioni delle indagini cozzino fragorosamente con l’immagine che il nostro si è creato nel tempo, ovvero quella di essere un paladino dei diritti dei migranti.
Che cosa sarebbe accaduto se fosse stato indagato?
Nella narrazione popolare, la mera parentela che lo vede coinvolto nella controversa inchiesta familiare comporta il massacro quotidiano, politico e non solo, che sta vivendo l’uomo all’interno del deputato, con una contestuale assoluta assenza di rilevanti voci a sua difesa, neppure da parte dei leader del suo partito.
Come è stato possibile? Cosa sarebbe accaduto se a essere indagato fosse stato proprio lui? L’avrebbero linciato sulla pubblica piazza? E se fosse stato colto con le mani nel sacco di un qualsivoglia reato? Non riesco neanche a immaginare con quale furia sarebbe stato divorato da tutto e tutti, in modo trasversale.
Ma scusate, non funziona così nella nostrana tradizione politica. Da noi, oltre a mettere in moto l’eventuale macchina del fango, un’indagine – o addirittura una condanna – è quasi una nota di merito, e non a carico di familiari, ma al politico in oggetto, cribbio. E quando vien fuori sui giornali, a difendere il “soldato” di turno messo sotto assedio dai giudici cattivi ci sono interi quotidiani, costruttori di opinioni super seguite e pagine social in quantità industriali.
A riprova di ciò, ho perso un po’ di minuti – non ci vuole molto, è tutto sul web – per elencare qualche collega di Soumahoro effettivamente indagato personalmente. A prescindere dall’esito dell’inchiesta, perché se la presunta innocenza del nostro non conta, altrettanto non vale per tutti gli altri.
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(*) ripreso da Storie e Notizie di Alessandro Ghebreigziabiher
- La differenzaÈ infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
- ScendereMi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
- La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con IsraeleLa feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
- Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
- PazzoGuardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati. E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)