Le “interferenze” tra l’arcipelago massonico e la criminalità organizzata
Piero Innocenti su Libera Informazione
Per capire bene le caratteristiche dei mutamenti e delle trasformazioni delle mafie, delle connessioni, comprese quelle istituzionali e della infiltrazione all’interno di associazioni massoniche (o comunque di carattere segreto o riservato), ci sono due importanti documenti da leggere e studiare con attenzione e cioè la “Relazione sulle infiltrazioni di cosa nostra e della ‘ndrangheta nella massoneria in Sicilia e Calabria – Doc. XXIII, n.33” approvato all’unanimità dalla Commissione parlamentare antimafia nella seduta del 21 dicembre 2017 e l’altro, più recente, sui “Rapporti tra la criminalità organizzata e logge massoniche, con particolare riferimento alle misure di contrasto al fenomeno delle infiltrazioni e alle doppie appartenenze” , Sez. XX della Relazione finale, approvato dalla Commissione antimafia nelle sedute del 7 e 13 settembre 2022.
La legge Spadolini-Anselmi
Entrambe le relazioni sono state trasmesse al Parlamento con alcune proposte di carattere normativo e talune raccomandazioni, finora inascoltate. Tra i punti sconcertanti quello relativo alla legge “Spadolini-Anselmi” (L. 25 gennaio 1982 n.17) voluta per impedire la formazione delle logge massoniche coperte che, in realtà le tutela come ebbe a confidare il Prof. Paolo Ungari, massone, al Gran Maestro del G.O.I. (Grande Oriente d’Italia) nel 1993.
Ungari collaborò come tecnico alla predisposizione della norma (art. 1 della legge citata) che consta di due parti; la prima in cui si vietano le logge, la seconda in cui si precisa che sono vietate e condannabili alla sola condizione che tramino contro lo Stato. La brillante carriera del prof. Ungari si è conclusa nel 1999 con la sua morte avvenuta a Roma, in circostanze mai chiarite, in un immobile, all’interno di un ascensore. Dunque una legge scritta da massoni e sulla quale nel 2018 la Commissione Antimafia aveva proposto modifiche che sono diventate proposta di legge allegata alla relazione suindicata del settembre 2022. Fino ad oggi, tuttavia, non risulta nessuna iniziativa ulteriore in Parlamento.
organizzazioni sedicenti massoniche
Va anche detto che sulla scorta di testimonianze rese in Commissione da esperti in simbologia ed esoterismo, è stato sottolineato l’utilizzo “spesso improprio del termine “massoneria” da parte di associazioni ed organizzazioni di dubbia natura esistenti in Italia” contrariamente ad altri Paesi come gli Stati Uniti e l’Inghilterra, dove con apposite leggi è stato disciplinato l’uso del termine “massoneria”.
Insomma, solo determinate organizzazioni depositarie del marchio “massoneria” possono fregiarsi di essere massoniche. In Italia non vi è una legge al riguardo e ciò avrebbe favorito la proliferazione di moltissime organizzazioni sedicenti massoniche il cui scopo è l’affarismo e non certo “l’arcana sapienza”.
Meritevole di approfondimento (non c’è mai stato) anche la testimonianza di Carlo Palermo, magistrato a riposo, che indicava l’esistenza di un’altra massoneria (universale, internazionale) diversa da quella comunemente nota “che avrebbe interferito nei fatti oggetto di quasi tutte le più importanti indagini effettuate nel nostro Paese negli ultimi decenni, comprese quelle concernenti il terrorismo stragista”. Di questo Palermo avrebbe presentato a suo tempo un dettagliato esposto all’autorità giudiziaria il cui esito è rimasto ignoto.
Un contributo di conoscenza sui rapporti tra la massoneria e la mafia siciliana e calabrese è venuto nel processo “’ndrangheta stragista”, dal 1990 al 1993, da Giuliano Di Bernardo, Gran Maestro del G.O.I. una testimonianza collimante con le dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia siciliani e calabresi.
Sistemi criminali occulti
Il riferimento è a sistemi criminali occulti (massoneria, servizi deviati e appartenenti alla destra eversiva) che avrebbero messo “a disposizione dei vertici di cosa nostra e della ‘ndrangheta un progetto di rinnovamento politico che si snodava attraverso i movimenti autonomisti, espressione di sfiducia verso la vecchia classe politica, ed era rivolto al raggiungimento del comune obiettivo di “impossessarsi dello Stato”.
Torna Netanyahu e riesplode il Medio Oriente: 9 palestinesi uccisi in Cisgiordania

da Remocontro
Il nuovo governo dell’ultra destra religiosa israeliana al potere, si presenta. Israele invade il campo profughi di Jenin ed è un massacro. Nella città cisgiordana nove palestinesi uccisi, tra cui una donna di 61 anni. Un decimo morto ad al Ram. Scene da terza Intifada. E questa volta anche gli Stati uniti chiedono spiegazioni.
L’esercito israeliano cercava un comandante della milizia sospettato di stare preparando «attacchi multipli», giustifica Netanyahu.
‘Operazione sicurezza’ o massacro?
Per Israele è stata «un’operazione sicurezza». Per l’Autorità nazionale palestinese e per molta parte dell’opinione pubblica mondiale si è trattato di «un massacro». Di certo il blitz di ieri mattina è stato il più cruento di quelli, ormai quotidiani, realizzati dall’esercito dello Stato ebraico nel campo profughi di Jenin, nel nord della Cisgiordania, considerato una delle roccaforti della Jihad islamica. Nel conflitto andato avanti per tre ore, almeno ventinove palestinesi sono stati, inoltre, feriti, quattro in modo grave, denuncia il ministero della Salute di Ramallah. A quello di Jenin è seguito un ulteriore blitz ad a Ram, vicino a Ramallah, in cui è stato ucciso un 22enne palestinese, portando a dieci il numero di vittime in totale.
Caccia al capo della Jihad, lutto e rivolta
Le forze di sicurezza dello Stato ebraico, a motivazione postuma, cercavano un comandante della Jihad sospettato, insieme alla sua cellula, di stare preparando «molteplici attentati terroristici, incluse sparatorie contro militari e civili». Le morti di Jenin e a Ram hanno scatenato la rabbia non solo delle organizzazioni palestinesi radicali, Jihad e Hamas, ma anche della Anp. «Un massacro compiuto dal governo di occupazione israeliano nel silenzio internazionale», il commento del portavoce di Abu Mazen. «L’incapacità e il silenzio internazionale incoraggiano il governo di occupazione a commettere massacri contro la nostra gente di fronte al mondo». Come primo passo, è stato archiviato il molto discusso coordinamento con Israele sulla sicurezza. Mentre Fatah, l’organizzazione politica che sostiene Abu Mazen, ha proclamato lo sciopero generale e proteste in varie città della Cisgiordania.
Pessimo inizio per il nuovo governo
Rompendo almeno in parte gli imbarazzati silenzi internazionali sulla irrisolta questione palestinese e sui comportamenti politico-militari israeliani, alcune timide voci. Preoccupazione dal mediatore Onu, Tor Wennesland, mentre gli Usa si sono detti «dispiaciuti per la morte di civili», riferisce Avvenire. Solo per i civili? Secondo il distinguo di chi? Negli ultimi mesi, Israele ha intensificato le operazioni a Jenin poiché considera l’Anp incapace di mantenere il controllo sulle milizie. Dall’inizio dell’anno, giù trenta palestinesi sono stati uccisi. Se si dovesse proseguire con questo ritmo, segnalazione utile ad Onu e Usa, il bilancio annuale potrebbe raddoppiare rispetto al 2022.
Netanyahu, pronti a tutto
«Israele non punta ad una escalation ma le forze di sicurezza sono pronte ad affrontare ogni sviluppo sui vari fronti per garantire la sicurezza dei suoi cittadini», ha dichiarato il premier Benyamin Netanyahu al termine della consultazione di governo sulla situazione dopo i fatti di Jenin.
Chi vuole alzare il livello (e il rischio) dello scontro diretto con la Russia. Rivelazioni New York Times

Piero Orteca su Remocontro
L’Occidente è in guerra anche se molti non erano d’accordo. Usa e Gb e una parte di Nato sono già dall’inizio dei cobelligeranti contro la Russia aggressore, con armi, droni, razzi, satelliti, intelligence e corpi speciali. Per appoggiare l’Ucraina a difendere una parte dei suoi territori, credevamo sino a ieri.
Adesso dalla Casa Bianca (il Pentagono sconsiglia), il contrordine: ora Kiev può attaccare la Crimea e per il Cremlino, direttamente il territorio russo con armi americane. Per estendere la guerra sino a dove? O per arrivare a trattare da una posizione di forza? E il rischio nucleare, svanito?
La Crimea che Kiev riconosce Russia come bersaglio
Per che cosa cercano, incessantemente, nuovi carri armati pesanti gli ucraini? Risposta più ovvia è “per contrastare efficacemente la Russia sul campo di battaglia”. Sembra troppo ovvio, ma non tanto. Perché i 300 tank (quando arriveranno e se saranno realmente tanti) potranno essere decisivi solo se utilizzati in massa, per sfondare in un unico punto. Di cosa stiamo parlando? Di un veloce cambiamento di strategia scaturito lungo l’asse che da Kiev porta alla Casa Bianca. In sostanza, le frenetiche consultazioni tra i funzionari americani e ucraini avrebbero portato a un nuovo e molto più azzardato salto di qualità della guerra: attaccare senza pietà la Crimea e, più specificamente, distruggere senza appello il Ponte di Kerch, la lunghissima bretella di collegamento che unisce la penisola alla Russia.
I Leopard 2 e i carri Abrams servirebbero egregiamente allo scopo, assieme alle batterie di missili a lunga gittata Himars, che ora Biden si accinge a cedere agli ucraini. Progetto militare che capovolge completamente la linea di ragionata cautela fin qui seguita da Washington.
Cautela addio con quali certezze? I dubbi militari
Lo zibaldone strategico è raccontato nei dettagli dal New York Times, che calca la mano su un fatto: al Consiglio per la sicurezza nazionale sono convinti che si tratti di una pericolosa escalation, anche se (forse) il rischio che Putin utilizzi armi nucleari tattiche potrebbe essere inferiore a quello che si pensava. Attenzione: potrebbe essere, perché, anche su tale questione, i pareri divergono. Il NYT non collega il trasferimento dei carri armati all’eventuale offensiva contro la Crimea, ma scrive che gli ucraini (e la coalizione occidentale) dovranno usare una potenza di fuoco notevole, per minacciare le forze russe. Da quello che si è riusciti a capire, l’attacco alla penisola-roccaforte di Putin dovrebbe avere lo scopo, in primis, di tenere sotto pressione la diplomazia moscovita in caso di negoziati. E qui la faccenda si fa ingarbugliata.
Contraddizioni e vecchie bugie
Finora, gli americani hanno sempre parlato di sostenere Zelensky, per aiutarlo a recuperare i territori che gli sono stati sottratti con l’invasione dell’anno scorso. Lo ha ribadito fino a tempi recenti il Segretario di Stato, Antony Blinken. Adesso spunta la Crimea, quasi improvvisamente, a sparigliare le carte della geopolitica internazionale. La sensazione è che Biden, come detto, voglia sfruttare questo nuovo canale strategico al tavolo dei negoziati, mentre per gli ucraini la risposta è più complessa. La governance del Paese, come dimostrano anche recenti incriminazioni ed arresti, probabilmente è più frammentata di quanto sembra. E anche sulla soluzione da dare alla crisi con Mosca, di sicuro esistono diverse posizioni. Tuttavia, è chiaro, anche se non realistico, come Zelensky e tutta la sua popolazione sperino di recuperare il controllo della Crimea, sottratta loro da Putin nel 2014.
Attacco con armi americane a Crimea e territorio Russo?
Il punto è che la mossa di attaccare la penisola, con armi americane di ultima generazione, potrebbe configurarsi, agli occhi del Cremlino, come un vero e proprio atto di cobelligeranza, condotto contro un territorio considerato giuridicamente russo. E questo in forza dei referendum di annessione, svoltisi nel 2014. Il New York Times sottolinea come questa valutazione abbia finora bloccato i rifornimenti di armi statunitensi ‘sensibili’. La Crimea e il territorio russo non dovevano essere attaccati, per timore di rappresaglie e di un’escalation della crisi. Ora, evidentemente, il vento è cambiato. Gli ucraini hanno spiegato agli americani che Putin utilizza la Crimea come una vera testa di ponte, capace di rifornire e assistere le sue truppe dalla regione di Odessa fino al Donbass meridionale. Sebastopoli, insomma, è una spina nel fianco di Kiev, che spesso costringe le brigate ucraine a combattere quasi su due fronti.
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Mistica e filosofia

di Giovanni Lamagna
A me, a dire il vero, ha sempre interessato più la mistica che la filosofia. Credo, infatti, che ci sia più verità in un mistico che in un filosofo. Almeno per come intendo io la mistica e il mistico.
Il filosofo ragiona, il mistico sperimenta. Io sono per un filosofo che sia anche mistico (come Wittgenstein, ad esempio) o per un mistico che sia anche filosofo (come Tommaso d’Aquino, ad esempio).
Mentre non sempre (anzi quasi mai) chi è filosofo è anche mistico e chi è mistico è anche filosofo. Laddove sarebbe auspicabile che lo fossero. Ne guadagnerebbero sia il filosofo che il mistico.
Il canto della merla

Bianco gelo di morte avvolge il mondo e noi ne siamo lieti. Dei fanciulli la festa tinge di sangue i volti e d’allegria. Magie di voci riempiono il silenzio di una limpida attesa. Perché la neve è sogno e non dolore? La vita mai non muore.
- La differenzaÈ infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
- ScendereMi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
- La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con IsraeleLa feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
- Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
- PazzoGuardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati. E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)