Reader’s – 28 aprile 2022 (rassegna web)

“La nostra guerra”?

Su Remocontro Michele Marsonet confessa di aver provato una certa inquietudine leggendo su alcuni quotidiani che il conflitto in Ucraina ora è anche “la nostra guerra”. Questo si dovrebbe al fatto che la Nato è diventata l’arsenale dell’Ucraina e l’Italia, essendone membro, non può esimersi dallo svolgere un ruolo attivo. Ma se gli americani dicono chiaramente che il loro intento è indebolire la Russia, non è poi una grande novità. Washington aveva già svolto un ruolo cruciale nei fatti di Piazza Maidan e nella precedente “rivoluzione arancione”.

Gli Usa sono una grande potenza, e come tale assumono comportamenti in linea con il loro status. Approfittando del tremendo errore compiuto da Putin invadendo la nazione confinante, cercano di eliminare dalla scena mondiale una delle grandi potenze superstiti. Se in seguito riuscissero a farlo pure con la Cina (ma non è detto che accada), rimarrebbero l’unica superpotenza globale, come fu per alcuni anni dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
Dal loro punto di vista, ripete Marsonet, è legittimo. Dal nostro, a mio parere, proprio no. La guerra si combatterebbe infatti sul suolo europeo, non su quello americano. Certamente gli Usa fornirebbero un grande appoggio militare e logistico, ma resta il fatto che a combattere sarebbero truppe nostre e di altre nazioni europee. Non si tratta di una prospettiva allettante.

Guerre sempre in casa altrui

Nel frattempo Mosca ha già tagliato le forniture di gas a Polonia e Bulgaria. La prima, in particolare, è da sempre antirussa per ragioni storiche, ed è ora lo hub dove transitano tutti gli armamenti, pesanti e non, destinati a rafforzare l’esercito ucraino. Il problema è che il Paese confina direttamente – come la Lituania – con la enclave russa di Kaliningrad, molto armata e irta di missili. Non so se a Varsavia ne abbiano tenuto conto, ma il quadro preoccupa davvero.
Nonostante la ritrosia tedesca e francese, grazie all’appoggio totale di americani e inglesi, Zelensky sta infine raggiungendo quel che voleva. “Armi, armi, armi!”, è stata la sua continua invocazione in questi ultimi tempi. Adesso quelle armi arrivano e vedremo cosa accadrà. Senza dubbio ci si può attendere un allungamento e un allargamento del conflitto.

E quest’ultimo, se prevarranno posizioni ‘interventiste’ finirà per riguardare pure noi. Se i venti di guerra prevalgono, la Storia insegna che non si può prevedere dove e per quanto soffieranno.

Preoccupato anche Alberto Negri sul Manifesto:

Lo spettro di uno scontro diretto tra Nato e Russia si fa sempre più consistente: la guerra per procura degli ucraini contro l’invasione di Mosca tra un po’ potrebbe essere combattuta senza la finzione del braccio legato dietro la schiena. L’escalation è nelle parole e nei fatti: gli eventi fanno pensare che sia da escludere la via diplomatica, almeno in tempi brevi».

Mentre la Nato a Ramstein decideva ieri l’invio di nuove armi pesanti (tra cui quelle tedesche) il ministro delle forze armate britanniche, James Heappey, spiegava che gli alleati forniscono all’Ucraina armi con gittate che permettono a Kiev di colpire in territorio russo e che la Gran Bretagna considera «perfettamente legittime eventuali azioni ucraine in Russia “per “prendere di mira in profondità le linee di rifornimento».

La replica di Mosca è stata immediata: Maria Zacharova, portavoce del ministero degli Esteri russo ha risposto su Facebook che la Russia, con la stessa logica, potrebbe ritenere altrettanto legittimo colpire «in profondità le linee di rifornimento ucraino nei Paesi che trasferiscono armi a Kiev». Il rischio di un allargamento del fronte di guerra è tangibile….Finora Mosca ha colpito i convogli dell’Occidente in Ucraina solo dopo che erano entrati nel territorio di Kiev”.

Contractors e soldati Nato a Mariupol

Alberto Negri ritiene “assai probabile che vengano fuori sorprese (relative), quando finirà l’assedio dell’acciaieria di Mariupol, sul coinvolgimento diretto di contractors e soldati Nato. Nei sotterranei dell’Azovstal i russi ritengono che si trovino centinaia di stranieri, tra combattenti del reparto di ispirazione nazista Azov e consiglieri militari britannici, francesi e americani, la cui cattura metterebbe in serio imbarazzo le potenze occidentali che sostengono di non avere propri soldati sul suolo ucraino. Secondo una fonte britannica, nell’area ci sarebbero 400 uomini delle Sas, le forze speciali inglesi.

Armi e ricerche inconfessabili

Perché una difesa così strenua dell’acciaieria dove i civili sono diventati ostaggi? Mosca ritiene che vi si trovi uno dei laboratori biologici impiantati dagli Stati Uniti in Ucraina la cui esistenza è stata ammessa davanti al Congresso dal sottosegretario di stato Victoria Nuland, che non ha però specificato la natura delle ricerche.

Gli americani più espliciti

L’escalation tra Nato e Russia emerge sempre più evidente nelle dichiarazioni degli americani. L’obiettivo non è più soltanto la difesa dell’Ucraina ma colpire direttamente il potere di Mosca, Putin compreso. Il ministro della Difesa inglese Ben Wallace in un intervento ai Comuni ha dichiarato che finora i russi hanno perso circa 15mila soldati e tra il 20-30% degli asset militari. C’è aria d’incitamento alla vittoria nonostante gli stessi britannici ammettano l’avanzata dei russi nel Donbass.

Vittoria ucraina per elezioni Usa

Al vertice di Ramstein il segretario alla Difesa americano Lloyd Austin ha affermato che «la Russia porta avanti questa guerra per le ambizioni di un uomo solo», aggiungendo che in ballo «non c’è più soltanto il destino dell’Ucraina ma di tutta l’Europa». Parole che, commenta Negri, rafforzano la convinzione di Putin che la guerra in Ucraina, da lui iniziata in maniera proditoria e sanguinosa, abbia adesso come obiettivo ultimo quello di destabilizzare il suo regime.

Guerra per procura?

I rischi sono altissimi. Il ministro degli esteri russo Serghei Lavrov – che ieri ha incontrato senza esiti apparenti il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres – ha affermato che questa è ormai «essenzialmente una guerra per procura della Nato contro la Russia» e «aumenta il rischio di terza guerra mondiale». I russi continuano a parlare in Ucraina di «operazione speciale» ma ormai questo termine è diventato ingiallita propaganda.


Passando ad altro, la Corte costituzionale ha deciso a favore della possibilità di scelta del cognome del figlio tra quello del padre e della madre. Bene, commenta il Marnetto quotidiano. “Così la femminilità si libera finalmente della maledizione di estinguere il cognome della famiglia. Il riconoscimento luccica, ma la parità di genere è ancora molto in ritardo.

Nel campo civile, manca nei ruoli apicali per le donne e – nonostante i proclami – latita anche nei salari. Nel campo della religione siamo ancora più indietro. In quella cattolica, sentiamo riconoscimenti sperticati sul valore della donna, ma poi non possono celebrare messa, una faccenda da sempre tra un prete-maschio e un dio-maschio: insomma roba da uomini.

Quindi, sul tema della parità di genere, mi sembra molto più concreto il contributo dato dall’astronauta Cristoforetti. A chi le chiedeva come poteva assentarsi sei mesi nello spazio, con due figli piccoli, lei ha tranquillamente risposto: ”Ci penserà il papà”. In perfetta assenza di gravità di genere.


  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)

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