«Un ‘piano di pace’ buttato nella buca delle lettere», il titolo impietoso di stamane sul Manifesto. «Depositato all’Onu da un poco convinto ministro Di Maio senza spiegarlo, il piano italiano sull’Ucraina è contraddetto e ‘non letto’ a Est come a Ovest», la valutazione non completamente negativa di Alberto Negri
«Peccato perché sarebbe una buona cosa da sostenere, in linea con la nostra Costituzione e con l’opinione pubblica del Paese. L’unica in cui non si parla di missili e cannoni»

Un peccato se l’occasione venisse sprecata. Presentato la scorsa settimana al segretario generale dell’Onu Antonio Guterres dal ministro degli esteri Luigi Di Maio a nome del governo Draghi, consiste – per quanto è dato sapere leggendo la presentazione che ne fa Remocontro – in quattro punti.
1 – Cessate il fuoco con il conseguente smantellamento della linea del fronte in Ucraina.
2 -Status internazionale dell’Ucraina. Contempla la neutralità del Paese basata su una «garanzia» internazionale e prevede un futuro ingresso nell’Unione europea.
3 -Il destino delle zone contese, Crimea e Donbass, che godrebbero di una piena autonomia, a patto però che Kiev conservi la sovranità sull’intero territorio nazionale.
4- Garanzie sull’equilibrio internazionale. Il piano propone un accordo multilaterale sulla pace e sulla sicurezza in Europa. Con alcune priorità: disarmo e controllo degli armamenti, prevenzione dei conflitti. Per quanto riguarda l’esercito russo si dovranno stabilire i termini del ritiro dal suolo ucraino con parallelo smantellamento delle sanzioni a Mosca.
Una nuova Helsinki
«Il piano, di cui ho letto una sintesi, delinea una nuova Helsinki», commenta il generale Salvatore Farina, ex capo di stato maggiore, comandante in Bosnia e Kosovo, oggi docente di peacekeeping al corso di laurea (l’unico in Italia) in Scienza della Pace dell’Università Lateranense.
«Certo se ogni giorno dobbiamo sentire affermazioni roboanti dai leader occidentali come “l’Ucraina deve assolutamente vincere”, è difficile coltivare speranze”». Eppure Farina davanti al pubblico di studenti della Lateranense è in un certo senso ottimista: «Nelle prossime settimane è probabile una svolta e se i russi assumeranno qualche posizione di vantaggio, consolidando l’obiettivo minimo del Donbas e Mariupol, potrebbero anche negoziare».
Perché il piano italiano non piace
Ma come mai il piano di pace italiano non piace? Forse non è stato «comunicato» nel modo giusto. «Da Roma non ci hanno inviato nulla, ma da quello che leggiamo sui media le proposte italiane sono talmente distaccate dalla realtà che in linea di principio è difficile che possano essere prese sul serio», ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, facendo eco alle parole del vice presidente del Consiglio di sicurezza russo ed ex presidente russo, Dmitri Medvedev.
Piano non letto o non recapitato?
Insomma i russi questo piano non l’hanno letto o non gli è stato recapitato? Più o meno le stesse reazioni, con toni ovviamente diversi, le hanno avute gli ucraini.
«Qualsiasi tentativo internazionale di riportare la pace sul territorio ucraino e in Europa è benvenuto», ha detto il ministro degli Esteri ucraino Kuleba. Il quale però ha aggiunto: «Bene l’iniziativa italiana ma l’integrità territoriale dell’Ucraina va rispettata». E si vede che questo benedetto piano Kuleba non l’ha letto perché si parla di conservare la sovranità ucraina anche su eventuali territori autonomi.
Peggio coi nostri alleati
Ma peggio va con gli alleati (presunti) dell’Italia. La portavoce del governo di Berlino, Christiane Hoffmann, afferma di non conoscerlo ancora e che comunque «spetta all’Ucraina decidere se il piano sia accettabile». Insomma pure i tedeschi non ne sanno nulla o dicono di non averlo visto. Sembra quasi incredibile – e comunque assai improvvisato – che su un’iniziativa del genere la diplomazia italiana non abbia consultato anche i suoi partner o per lo meno provveduto a recapitare il documento.
Diplomazia poco diplomatica
L’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, è apparso persino piccato: «Abbiamo preso nota del piano di pace dell’Italia…ma dal punto di vista europeo tutto questo deve passare dall’immediata cessazione dell’aggressione e dal ritiro senza condizioni dell’esercito russo». Una porta in faccia al negoziato.
Ma forse neppure noi ci crediamo. Lo stesso Di Maio afferma che «il piano di pace italiano è ancora un lavoro embrionale, ci vorrà tempo. Noi abbiamo delineato un percorso che parte da un gruppo di facilitazione internazionale e ha l’ambizione di arrivare a una nuova Helsinki». Mah.
Sempre politica interna
L’impressione è che si tratti di un’iniziativa arruffona – visto che secondo il ministro è «embrionale» – messa in piedi dal governo Draghi per tenere buoni alleati di governo come M5S, Lega e Forza Italia, contrari spesso solo a parole all’invio massiccio di armi ora pesanti e che vorrebbero un’azione diplomatica con Mosca. Dall’altra c’è anche la protesta di quel poco di sinistra pacifista che rimane.
Un piano di pace da salvare
L’impressione è che il piano sia stato elaborato all’interno della Farnesina e che la sua esistenza sia stata resa pubblica – in maniera maldestra – senza consultare le parti in conflitto né gli alleati. Eppure, anche nell’estrema sintesi che abbiamo dato del piano, non pare che sia tutta acqua sporca da buttare insieme al bambino.
Ma ci vuole determinazione e pazienza per sostenerlo, anche soltanto per arrivare a una tregua su una linea di cessate il fuoco dove, dice il generale Farina, «le truppe russe resteranno per anni». Che il governo italiano dovesse frequentare un corso di Scienza della Pace? Magari fa bene.
De Mita fu un deludente politico. Il rispetto che si deve ad un morto non fa velo al giudizio di un uomo che non ha migliorato il Paese. Anzi, ha esasperato i vizi della politica, riducendola a ricerca di consenso personale e di partito, come fecero quasi tutti i suoi ”colleghi” con un clientelismo costante e pervasivo a favore della propria zona di origine. De Mita non fu da meno e – tanto per dire – fece arrivare ad Avellino un’autostrada inutile solo per marcare il proprio territorio. Uomo colto e intelligente, si esaltava con il piacere di non farsi capire per la gioia dei suoi fan, ignari del contenuto delle sue spossanti maratone oratorie, ma orgogliosi dell’inarrivabile pensiero del Capo. Agnelli, dotato di una sottile psicologia della relazione, capì questo suo bisogno di riconoscimento e lo definì ”intellettuale della Magna Grecia” facendone così un interlocutore sempre ben disposto.
Quello di Marnetto su Ciriaco De Mita, per lungo tempo leader democristiano e presidente del Consiglio, non è propriamente un elogio funebre. Perfino dopo il riconoscimento della sua onestà ( “Va detto che De Mita fu uno dei pochi attori nazionali ad essere solo sfiorato da Tangentopoli) ha sentito il bisogno di precisare “..anche se venne notato l’uso spregiudicato di un prestigioso attico ottenuto da un ente pubblico e ristrutturato senza badare a spese (con soldi pubblici).)
Oggi, prosegue il nostro, “molti esprimono un giudizio assolutorio su De Mita. Io invece gli addebito l’aggravante di non aver messo a disposizione della crescita del Paese – e soprattutto del Mezzogiorno – tutta la sua cultura e intelligenza. Ma per far questo ci vogliono gli ideali: la scaltrezza non basta”. Parce sepulto…(dico io) anche in considerazione di quanto si è visto e sentito in Italia dopo di lui come anche di quel brillante confronto con Matteo Renzi poco prima del voto referendario sulla riforma costituzionale Renzi/ Boschi.
- Sulla valutazione dei magistratiSi vuole introdurre la valutazione della Magistratura? Bene, allora li si faccia anche per gli altri poteri dello Stato. Per il Parlamento vedrei bene l’adozione del ‘’criterio di laboriosità’’: un quinto degli onorevoli e senatori più assenteisti nel biennio vengono sostituiti con elezioni suppletive programmate.
- ‘Peggio del presente, a Gaza, c’è solo il futuro’: Eric SalernoAltri ostaggi sono tornati a casa, tutti sembra, in relativamente buone condizioni di salute anche se traumatizzati dal rapimento e dalla prigionia nelle mani degli uomini di Hamas. In Israele manifestazioni di giusta felicità miste a paura per quello che è accaduto il 7 ottobre e per quello che potrebbe ancora succedere. Centinaia di video passano di mano in mano. In Israele e fuori.
- La differenzaÈ infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
- ScendereMi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
- La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con IsraeleLa feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington