Reader’s – 27 febbraio 2023.

Rassegna web di nandocan magazine

Elly Schlein ha vinto, contro ogni aspettativa. Il segnale dell’inversione di rotta alla nave del Nazareno è arrivato. Ora, a partire dai “temi” su cui il nuovo leader del PD si è impegnato a rinnovare dall’opposizione la strategia del partito, non rifiutando per una presunta “vocazione maggioritaria” le alleanze necessarie a percorrerla, può finalmente avviarsi la costruzione di una nuova “sinistra”. Come scrive Marnetto nella nota che segue, “basta col partito ibrido” tessuto negli scorsi anni da Renzi e dai renziani, in parte lasciati a guardia del PD anche dopo la fondazione di “Italia viva”. La notte scorsa, nei primi commenti si paventava lo scontro tra il partito degli iscritti e quello degli elettori, dimenticando o fingendo di dimenticare che quello scontro esiste da anni ed è destinato a cessare con il rientro di tanti iscritti costretti dal renzismo e dalle sue malefatte (jobs act, riforma costituzionale e non solo) a emigrare per disperazione nei cespugli della sinistra radicale o a rifugiarsi nell’astensionismo. E se la nuova speranza di queste ore non sarà tradita dall’apparato (ci proveranno, vedrete che ci proveranno) ritorneranno anche gli elettori. (nandocan)

Ora

di Massimo Marnetto

La Schlein ha vinto. Le file ai gazebo sotto pioggia e neve – disertate dai rassegnati –  hanno invece consentito alla diaspora degli elettori di sinistra un miracolo. E l’invio di messaggi chiari: basta col partito ibrido, di sinistra a parole e antisociale nei fatti. Basta con la quinta colonna renziana dei Marucci and Co. Basta col ”ma anche” per paura di perdere voti al centro. 

Ora ci vuole il coraggio di dire che salariati e pensionati non sono ceti da spremere, per accontentare gli evasori. Ci vuole una patrimoniale – sì, una patrimoniale – per offrire una sanità decente, scuole senza soffitti marci e servizi alle persone degni di una nazione europea. Ambiente e lavoro non devono più essere alternativi, ma riconciliati dalla formazione dei lavoratori verso attività verdi. L’immigrazione deve organizzarsi nella filiera salvataggio-formazione-lavoro-integrazione, per non considerare più esseri umani come ”carico residuo”, meglio morto che sbarcato.


Lo spirito rurale e il conformismo dell’inutilità

di Antonio Cipriani

Mi piace pensare dove poggiare i piedi per guardare le stelle. Dove erigere cattedrali invisibili al desiderio, alla bellezza che è sempre un miracolo da cercare e ricercare senza tendere la mano, come uso non proprietario dei beni, dei luoghi, del tempo che verrà. Lo spirito rurale agisce in questo modo. La terra, le stagioni, il domani, il pensiero, l’orizzonte, la strada, l’aia, la poesia delle piccole cose si presentano con una modalità non privata e oscenamente chiusa, ma condivisa, partecipata e semplicemente corale. Siamo parte di un mondo che utilizziamo per il bene comune e per il bene futuro.

Concetti francescani, mi fa notare il barbiere anarchico. E mi cita un testo di Giorgio Agamben, che si intitola Altissima povertà, bellissimo, in cui il filosofo scrive della rivoluzione di San Francesco che si proietta fino ai giorni nostri con una certa urgenza: …”come pensare una forma-di-vita, cioè una vita umana del tutto sottratta alla presa del diritto e un uso dei corpi e del mondo che non si sostanzi mai in un’appropriazione. Cioè ancora: pensare la vita come ciò di cui non si dà mai proprietà ma soltanto un uso comune. Un tale compito esigerà l’elaborazione di una teoria dell’uso, di cui mancano nella filosofia occidentale anche i principi più elementari, e, a partire da essa, una critica di quell’ontologia operativa e governamentale, che, sotto i travestimenti più svariati, continua a determinare i destini della specie umana”.

Il libro di Agamben va alle sue conclusioni con questa profezia: “L’altissima povertà, col suo uso delle cose, la forma-di-vita che comincia quando tutte le forme di vita dell’Occidente sono giunte alla loro consumazione storica”.

Spirito rurale, rispetto per la vita

E qui siamo. Quando parliamo di spirito rurale parliamo di rispetto per la vita, per tutte le forme di vita, per la natura, quindi – per chi ci crede – per il Creatore. Uno spirito che si è perso nell’uso proprietario del bene comune, dello sfregio costante nei confronti dell’ambiente in cui viviamo, nell’indifferenza di fronte alle tragedie umane, nei confronti della sofferenza di chi sta peggio, nell’aver perso di vista la giustizia sociale che è la base della convivenza civile.

Spirito rurale come semplicità e gentilezza, dolcezza e condivisione, consapevolezza e conoscenza delle cose che occorrono per vivere, contro il conformismo a due facce che regola la nostra società, potentemente rilanciato dai media-megafono. Da una parte il conformismo di chi non ha più strumenti per capire, quello dell’obbedienza acritica e senza visione. Dall’altra il conformismo di chi avrebbe anche gli strumenti, ma li piega all’interesse miope del potere, di quelle suadenti forme di costruzione di valori che eludono coscienza e visione a vantaggio di un “qui e ora” dei cavoli propri. In tutti e due i casi parliamo dell’ esaltazione del superfluo, dello spreco, dell’inutilità come modello esistenziale.

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Le tre diverse guerre nel campo di battaglia Ucraina

da Remocontro

Tre diversi aspetti della stessa guerra, propone Lucio Caracciolo su Limes. O le tre diverse guerre che si combattono nello stesso campo di battaglia. Uno, lo scontro diretto tra un impero e una nazione in formazione con grossi problemi in casa che ora conviene far finta di non vedere ma che prima o poi ci esploderanno in faccia. Due, uno scontro sempre meno indiretto tra Russia e America che si è inventa un ‘Occidente collettivo’ a sua misura e convenienza. Tre, stiamo comunque parlando di ‘teatri periferici’ della partita tra Stati Uniti e Cina.

Come congelare il macello in corso in quello sfortunato frammento di Europa? Scontro Usa-Russia, scontro Usa-Cina, nucleare. Siamo prigionieri di un destino? Chi deciderà cosa. Triangolo sino-russo-americano. Guerra di attrito. Soluzione ‘coreana’. L’Alternativa del diavolo

Scontro Usa-Russia, scontro Usa-Cina, nucleare

Girala come vuoi ma c’è sempre l’America di mezzo. Con la guerra in Ucraina che sembra destinata a finire solo quando uno o entrambi i contendenti non avranno più le risorse per continuarla. «Macelleria infinita, che potrebbe muovere l’attuale linea del fronte di poche decine di chilometri e mietere altre centinaia di migliaia di vittime».

Prigionieri di un destino? La ‘non guerra’

Siamo prigionieri di un destino? No, dice Caracciolo, in cerca di uno spiraglio da dove individuare un percorso per uscirne. «Premessa: non potrà essere vera pace, stante l’odio e gli orrori accumulati. Ma già un lungo periodo di sospensione servirebbe a stemperare il clima apocalittico e a preparare, se non la pace, la non-guerra».

Conflitto a tre dimensioni

  1. Lo scontro fra impero russo in decadenza e nazione ucraina in formazione, oggi saldata come mai dall’aggressione di Mosca. Domani vedremo. Partita cominciata oltre cent’anni fa, con lunghe fasi pacifiche e diverse ‘eruzioni belliche’, di cui è arduo vedere la fine.
  2. Seconda partita, sempre meno indiretta, è fra Russia e America o l’Occidente collettivo, per usare il gergo di Putin e le intenzioni americane. Posta in gioco la frontiera orientale della Nato, che per Mosca non deve includere l’Ucraina.
  3. La terza, il campo di battaglia ucraino letto nella competizione strategica fra Stati Uniti e Cina, con la Russia sempre più schiacciata su Pechino per mancanza di alternative. Gli americani considerano primaria questa partita, con l’Ucraina teatro importante ma non decisivo.

Chi deciderà cosa

Analisi condivisa da molte e contrapposte origini: saranno America e Russia a decidere la fine o la continuazione dello scontro in Ucraina. «Con la Cina in veste di ‘disonesto sensale’ (i cinesi hanno tutto l’interesse a tenere in piedi Mosca e a indebolire Washington) entrato clamorosamente in gioco via progetto di pace».  

Triangolo sino-russo-americano

Qualcosa si muove, sottotraccia, nel triangolo sino-russo-americano. In particolare fra Mosca e Washington. I sondaggi segreti non hanno finora prodotto nulla di visibile, ma il capo delle Forze armate americane, generale Mark Milley, affermando di non vedere come qualcuno possa vincere questa guerra ha posto l’urgenza di un compromesso che possa interrompere le ostilità. Il ragionamento del Pentagono -osteggiato da altri centri di potere, quali il Consiglio per la sicurezza nazionale e il dipartimento di Stato-, è il seguente.

Guerra di attrito

Per vincerla devi distruggere il morale, le infrastrutture e la produzione di armi del nemico. Ciò che i russi stanno metodicamente facendo, che gli ucraini non possono fare e che gli americani non vogliono azzardare, perché sarebbe guerra nucleare Usa-Russia. Con il Pentagono che lamenta come le forniture d’armi per Taiwan siano state deviate verso l’Ucraina.

Arsenali russi ancora colmi

I russi, per la sorpresa quasi generale, sembrano disporre di magazzini ancora semipieni, malgrado le enormi perdite subite. Soprattutto producono nuove armi a ritmi per noi impensabili. Infine, le sanzioni per ora non intaccano l’economia russa, anche perché spesso aggirate dai paesi che le hanno decretate.

Soluzione ‘coreana’

Risultato: l’establishment militare e parte di quello politico americano puntano alla soluzione ‘coreana’. A un certo punto, entro l’anno, si traccia una linea sul terreno lungo la quale si blocca il conflitto. Armistizio senza limite di tempo. Con un’ampia zona demilitarizzata a dividere i contendenti. Le questioni territoriali vengono demandate a una futura conferenza di pace.

Ritorno al passato

Agli ucraini la garanzia internazionale di sicurezza, mentre gli europei concedono a Kiev una corsia rapida di ingresso nella Ue, e di accesso a fondi speciali per la ricostruzione. L’Ucraina continua a rivendicare il legittimo ritorno ai confini del 1991, la Russia con l’annessione di quattro regioni del Donbas non interamente conquistate. Di Crimea neppure se ne parla.

Le verità negate

Russi e soprattutto ucraini non vogliono per ora sentire parlare di compromesso. «Pretendere, come fanno alcuni americani, che Kiev possa vendere un esito simile alla sua opinione pubblica come vittoria pare davvero troppo». Più facile immaginare qualcuno a Mosca a spiegare a Putin che «Gli zar non stanno al Cremlino per assoggettarsi a Pechino».

Alternative possibili?

Salvo la fantasia della vittoria militare totale dell’Ucraina definita da Zelensky, con la capitolazione della Russia, il rischio è di arrivare alla catastrofe quasi senza accorgercene, avverte Limes. Come? Potremmo presto accorgerci che senza un intervento diretto della Nato -Usa in testa- l’Ucraina sarà destinata a schiantarsi.

L’Alternativa del diavolo

«Per quanto si voglia rimuovere questo fantasma, siamo vicini all’alternativa del diavolo: guerra totale – quindi nucleare – contro la Russia oppure graduale abbandono di Kiev al suo destino». Lo scontro diretto con Mosca, nel quale probabilmente sarebbe coinvolta la Cina, e sarebbe terza guerra mondiale.

Caracciolo quasi più pessimista del nostro Piero Orteca che nel prossimo pezzo ci parlerà dei molti problemi (mal nascosti) in casa americana che via via stanno esplodendo tra le mani dell’amministrazione Biden.


  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)
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