Forse anche un po’ preoccupata dalla benevolenza con cui i giornali dell’establishment hanno accolto la sua nomina a premier, Giorgia Meloni ha provveduto a rimediare con un discorso alle Camere decisamente identitario e iperliberista, come sottolinea giustamente con il caustico commento di Marnetto. D’altra parte, già lo stesso Bersani aveva ampiamente previsto che la rinuncia del centro sinistra a svolgere in questi anni il compito suo proprio di rappresentare le classi popolari non avrebbe potuto che favorire, insieme all’astensione dal voto di buona parte dei suoi sostenitori, un ulteriore slittamento a destra dell’elettorato.
La stolta, ostinata, frammentazione della sinistra, l’incosciente isolamento scelto da Letta e una vergognosa legge elettorale hanno fatto il resto. Ma non possiamo neppure trascurare il contributo che grande stampa e televisioni pubblica e private hanno dato a un’ incresciosa involuzione, del resto non solo italiana. Dirottando il PD – sulla rotta della “terza via” di Blair – verso l’avventura renziana e poi, dopo il fallimento di Renzi, verso il siluramento del Conte 2 e del progetto di alleanza programmatica coi Cinque Stelle. Addivenendo trionfalmente alla soluzione tecnocratica del governo Draghi, “il più amato dagli italiani”.(nandocan)
Non disturbare
di Massimo Marnetto
E’ questa la parola d’ordine del colpo di establishment che la Meloni ha celebrato nel suo primo discorso.
Poveri e precari non disturbino i garantiti (riduzione Rdc).
Il fisco non disturbi l’evasore (condono-tregua fiscale).
Le vittime non disturbino la giustizia facendole perdere tempo con le sentenze (improcedibilità).
La Legge non disturbi i politici delinquenti (Severino).
Lo svantaggio non disturbi il merito (Scuola).
La prevenzione non disturbi i no-vax (Covid).
Il Parlamento non disturbi il super-Presidente votato dal popolo (presidenzialismo).
Le Regioni del Sud non disturbino quelle del Nord (Autonomia differenziata).
Il ripudio non disturbi il fascismo, a cui la Premier rivolge al massimo la sua non-simpatia e non-vicinanza, per non urtare chi ha statuette del duce in salotto.
La Meloni è assertiva, ma il suo progetto di società è ingiusto. Spero che l’opposizione lo faccia notare. Invece la Serracchiani si spara sui piedi accusandola dell’unica colpa che non ha: non farsi valere come donna. Mi rincuora l’On. Soumahoro, che porta tra i velluti della Camera il sudore e la lotta contro lo sfruttamento nei campi. Pensiero stupendo: contro l’anemia del PD, il primo Segretario di origine africana.
L’America del ‘troppo Ucraina’, congressisti democratici chiedono a Biden colloqui di pace diretti con la Russia
Piero Orteca su Remocontro

Una nutrita pattuglia di deputati del Partito democratico si è rivolta a Biden “affinché ripensi la sua strategia sull’Ucraina e avvii colloqui diretti tra Stati Uniti e Russia”. Ma lui si arrabbia e impone ritrattazioni. Resta il dissenso alla sua politica estera già espresso la settimana scorsa anche da un folto gruppo di parlamentari repubblicani.
Rischio di sconfitta elettorale dem al Congresso e al Senato altissimo, con Biden ‘Anatra zoppa’, spiega il Washington Port, storica voce liberal Usa
Democratici dissidenti, troppa Kiev di Biden
In un articolo, pubblicato con grande rilievo dal Washngton Post, il più progressista dei giornali liberal, Yasmeen Abutaleb, scrive che è la prima volta che esponenti dello stesso partito del Presidente chiedono un radicale cambiamento nella gestione della crisi ucraina. L’appello a Biden era stato rivolto con una lettera, giunta pochi giorni dopo che anche un’ala del Partito repubblicano aveva annunciato che difficilmente avrebbe sostenuto ulteriori finanziamenti, per armare l’Ucraina.
In sostanza, i Democratici “dissidenti” (le cui fila, stando ai si dice, potrebbero ingrossarsi), accanto al pesante sostegno finanziario vorrebbero che ci fosse “anche una spinta diplomatica proattiva, raddoppiando gli sforzi per cercare un quadro realistico per il cessare il fuoco”.
Tornare a parlare di pace
La strada che indicano è quella di un contatto diretto con i russi, senza scavalcare l’Ucraina, per carità, ma nemmeno considerarla arbitro assoluta della soluzione della crisi. In sostanza, ha scritto l’ala sinistra del Partito Democratico, in questa guerra, direttamente o indirettamente, siamo tutti dentro. E tutti dobbiamo avere voce in capitolo. A capo del gruppo di “rivoltosi”, la deputata Pramila Jayapal (Washington), è stata già richiamata all’ordine dal partito e ha dovuto chiarire… quello che era già chiaro.
Ma siccome siamo sotto elezioni, pare che Biden sia uscito di testa e abbia preteso “una precisazione della precisazione”. Errore. Perché, come ogni esperto di comunicazione sa bene, le rettifiche d’ordinanza servono solo a dare due volte la stessa notizia. Così Jayapal ha indorato la pillola, dicendo che bisogna sostenere la libertà, la democrazia e tutto quello che si vuole. Ma poi, in cauda venenum, ha ribadito che alcuni esperti affermano che Mosca negozierà solo con gli Stati Uniti, una superpotenza collega.
«I legislatori dicono che l’apertura dev’essere colta vista la devastazione dilagante della guerra. L’alternativa alla diplomazia – conclude Jayapal – è la guerra di lunga durata, con le sue certezze e i rischi catastrofici e inconoscibili».
Scontro interno Dem perché ora?
Alla fina la lettera del dissenso scompare nella bugia di essere ‘vecchia’, antiche perorazioni di pace e non critiche al presidente. Inventa cosa vuoi ma resta la clamorosa dissociazione. E perché arriva dall’ala più liberaldemocratica? La risposta la fornisce la sintetica analisi dello stesso Washington Post. “Le conseguenze della guerra si fanno sentire ben oltre l’Ucraina, specie per quanto riguarda i prezzi elevati di cibo e benzina negli Stati Uniti e per i costi di grano, fertilizzanti e combustibili che hanno creato carenze alimentari nel resto del mondo”. Oltre a questo impatto immediato, naturalmente, viene anche ricordato il rischio di un conflitto nucleare generalizzato da “miscalculation”, un banale fraintendimento, un errore.
Casa Bianca, linea dura dietro Kiev
Il portavoce della Casa Bianca, John Kirby, comunque non è arretrato di un millimetro, affermando che qualsiasi soluzione diplomatica dev’essere presa su iniziativa diretta di Kiev. Gli Stati Uniti, insomma (almeno così sostiene lui) non interferiscono. E vanno avanti, di conseguenza, step by step, a poco a poco o “come viene prima”. Biden, a parte spedire armi, pare di capire che non abbia alcun piano alternativo. Ma una guerra che nessuno dei due può vincere, non è di sicuro un conflitto in cui finiscono col perdere tutti? Certo, dice il Washington Post, se l’opposizione alla politica estera di Biden in Ucraina si salda in una tenaglia, che preme da destra e da sinistra, sarà molto difficile per il Presidente continuare a sostenere finanziariamente Zelensky.
“Way out”, una strategia di uscita
Abbiamo già ricordato l’impegno di Kevin McCarthy (che potrebbe essere il prossimo “speaker” della Camera) a bloccare il voto repubblicano quando verranno richiesti dalla Casa Bianca nuovi fondi. Ora, la diaspora dentro il Partito Democratico , anche se minimizzata “manu militari”, indica che una parte dell’establishment comincia a pensare a soluzioni alternative, per una crisi che sta mettendo in ginocchio il pianeta. I firmatari della lettera esigevano una “way out”, una strategia di uscita dalla guerra che non vedevano. Lo stesso Richard Haass, il “guru” del Council on foreign relations, ha detto senza mezzi termini che la responsabilità diplomatica “vera” in questa crisi è degli Stati Uniti.
E che Biden deve cercare di risolverla, senza nascondersi dietro l’Ucraina. Se no, aggiungiamo noi, continuando di questo passo, farà perdere ai Democratici americani, prima il Congresso e fra due anni la Casa Bianca.
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