Rassegna web di nandocan magazine
Anche la destra occupa la RAI
Lo sapevamo. L’occupazione della RAI da parte del governo di destra, con la nomina dei nuovi vertici delle testate giornalistiche (gli altri seguiranno a scala), era soltanto questione di tempo. Questo infatti prevede la riforma Renzi, che affida tutti i poteri a un A.D. indicato da Palazzo Chigi, aggravando ulteriormente quella lottizzazione politica da parte dei partiti di maggioranza che è storia di sempre. La sola novità possibile nel passaggio da un governo all’altro stava e resta nell’importanza attribuita nella scelta dei nuovi amministratori ad un livello universalmente riconosciuto di capacità e competenza, accanto a quello inderogabile di fedeltà.
Secondo il sindacato dei giornalisti RAI, le nomine di ieri son «inaccettabili, senza prospettiva e inspiegabili con ragioni di natura industriale». In particolare al Tg2, testata in cui anch’io ho lavorato per una ventina d’anni nel secolo scorso, si fa notare che «il direttore Nicola Rao viene rimosso dopo 96 giorni dall’approvazione del piano editoriale. Quali sono le motivazioni? Per non parlare del Giornale Radio che vedrà il nono direttore in 8 anni: il segno tangibile della voracità dei lottizzatori di ogni colore politico. L’unica ratio di queste nomine è la necessità di accontentare il governo». Si fa notare anche che “a dirigere le testate Rai non c’è nemmeno una donna”. (nandocan)
Rai, via libera alle nomine. Per l’Usigrai sono “inaccettabili e senza prospettiva”
da FNSI
«Il Consiglio di amministrazione della Rai, riunito oggi (giovedì 25 maggio 2023, ndr) a Roma sotto la presidenza di Marinella Soldi, ha deliberato l’aggiornamento dell’assetto organizzativo aziendale e ha formulato il parere di competenza relativamente alle nomine dei direttori di Generi e di Testata, proposte dall’amministratore delegato Roberto Sergio». Lo rende noto la Rai.
«L’assetto organizzativo illustrato dall’Ad – prosegue la nota -, unitamente alla indicazione dei responsabili dell’area Corporate, introduce nuove aree organizzative, tra cui la Direzione Coordinamento iniziative strategiche quale punto di riferimento strutturato e di coordinamento delle attività riferite in particolare al Piano Industriale, al Piano di Sostenibilità e al Contratto di Servizio; nell’area editoriale radiofonica è stata creata una nuova Direzione denominata Radio digitali specializzate e podcast».
I nomi
L’azienda quindi rende noti i nomi dei nuovi vertici delle testate giornalistiche: «Gian Marco Chiocci sarà il nuovo direttore del Tg1; al Tg2 va Antonio Preziosi, che lascia Rai Parlamento, dove si insedia Giuseppe Carboni; a guidare il Giornale Radio e Radio1 arriva Francesco Pionati, mentre Jacopo Volpi diventa direttore di Raisport e del relativo Genere. Per i generi Stefano Coletta lascia l’Intrattenimento Prime Time a Marcello Ciannamea e ne prende il posto alla Distribuzione. Angelo Mellone dirigerà l’Intrattenimento Day Time, Paolo Corsini l’Approfondimento; Adriano De Maio guiderà Cinema e serie Tv, Maurizio Imbriale dirigerà Contenuti Digitali. Per i canali radio, a capo di Radio 2 va Simona Sala e Marco Lanzarone assume la responsabilità della nuova Direzione Radio digitali specializzate e podcast. Infine, Monica Maggioni si insedia alla Direzione Editoriale per l’Offerta informativa».
Nel corso della seduta, «il Consiglio ha anche deliberato il rinnovo dei Cda delle società controllate, i cui organi sociali erano in scadenza: a Rai Cinema vengono confermati Paolo Del Brocco nel ruolo di Amministratore Delegato e Nicola Claudio come Presidente; Sergio Santo è nominato Amministratore Delegato di Rai Com, mentre Claudia Mazzola si insedia come Presidente. Andrea Vianello – conclude la nota – viene designato Direttore generale di San Marino RTV».
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L’Usigrai chiede, inoltre, se «è stata fatta un’analisi dei curricula prima di attingere all’esterno, considerato anche un debito aziendale che supera il mezzo miliardo di euro», e, infine: «Come si concilia la necessità di un progetto di rilancio della Rai di ampio respiro con nomine che, per ragioni tecniche o anagrafiche, hanno prospettiva di uno o due anni in testate strategiche come Rai Sport e il Giornale Radio? Come può pensare questo Ad di rilanciare la Rai Servizio Pubblico senza certezze di risorse, con una forza politica di governo che vuole togliere il canone della bolletta, con un contratto di servizio scaduto e senza un piano industriale? Ma come sempre – la conclusione – la priorità sono le nomine».
Intanto

di Massimo Marnetto
”Intanto”: è l’avverbio più usato da chi ha capacità organizzative; ”dopo” è invece quello speso da chi non ne ha. Meloni vuole nominare il Commissario alla ricostruzione dopo i funerali, l’acquisizione dei fondi, l’avvio della ricostruzione. Quel dopo mostra il suo limite culturale, che genera ritardo (vedi pure nel PNRR).
Meloni non capisce che nominare subito un Commissario significa consentirgli intanto di iniziare a predisporre la ricostruzione, creando una struttura e una procedura par l’utilizzo dei fondi, definendo requisiti di accesso, pista di controllo e modalità di erogazione.
Così quando arrivano i soldi, è già tutto pronto per poterli impiegare velocemente. La differente mentalità intanto/dopo degli amministratori pubblici sembra un dettaglio, ma fa la differenza tra un territorio sviluppato e uno in ritardo.
Venti anni di armi italiane in Medio Oriente e Nord Africa

da Remocontro
L’Istituto di ricerca dell’Archivio Disarmo, l’Iriad, studi sulla pace e sui conflitti, affronta i suoi ‘temi istituzionali’ a largo raggio, vent’anni in questo caso, per non fare sconto politici a nessuno. Ed Alessia Cicala, l’autrice dello studio di cui stiamo per parlarvi, ha ricostruito l’export di armi italiane verso l’area MENA (Medio Oriente e Nord Africa) da 20 anni in costante crescita. Valutazioni politiche di difesa e industriali-occupazionali, da sempre aperte e mai risolte.
Studi sulla pace e sui conflitti
«Una crescita costante negli ultimi vent’anni, senza variazioni significative in base allo schieramento politico dei governi», la premessa della studiosa su Iriad. Tra il 2001 e il 2021, valore complessivo autorizzato (altro non dato) è stato di 28,6 miliardi di euro. Nel 2021 il 26,6% dell’export di casa -970,5 milioni su 4,6 miliardi – sempre verso MENA ma il dato record è nel 2016, quando la regione ha superato i Paesi UE-NATO con una percentuale sul totale delle autorizzazioni del 58,82% (8,6 miliardi di euro). Quell’anno 7,7 miliardi di euro soltanto dal Kuwait, impegnato nella guerra in Yemen, con la fornitura di 28 caccia Eurofighter Typhoon da parte di Finmeccanica.
Severe leggi italiane sulle armi fatte per aggirarle
In Italia l’import e l’export di armamenti è regolato dalla legge 185 del 1990, con una premessa chiara: l’esportazione e il transito di armi è vietato verso Paesi in guerra, Paesi sottoposti a embargo da parte dell’ONU o dell’UE, Paesi i cui governi sono responsabili di ‘gravi violazioni dei diritti umani’. Trovare ‘clienti’ che non cadono tra le categorie vietate in Medio Oriente e Nord Africa dev’essere stato difficile. Quasi impossibile!
La legge e l’inganno
Tuttavia, la stessa legge esclude da tale disciplina «le esportazioni dirette da Stato a Stato in base ad accordi internazionali», accordi che l’Italia ha tranquillamente stipulato anche con Paesi in conflitto armato e/o responsabili di plateali ‘gravi violazioni dei diritti umani’. Quali?
Arabia Saudita, che dal 2001 è quasi sempre tra i primi trenta destinatari delle autorizzazioni all’export di armamenti. «È uno dei principali attori della guerra in Yemen, in cui la situazione umanitaria è gravissima, ed è responsabile di gravi violazioni dei diritti umani anche all’interno dei suoi confini, dove processi iniqui ed esecuzioni sono la norma e le donne vivono in una condizione di quasi segregazione». Studiosa severissima.
Egitto, in cui il regime di al-Sisi è responsabile di una repressione interna, detenzioni arbitrarie ed esecuzioni sempre più frequenti. «Vendendo armi semi-automatiche destinate alle forze armate e di polizia, l’Italia finanzia direttamente le forze di sicurezza egiziane, le stesse che uccisero Giulio Regeni nel 2016».
Israele, oltre alla occupazione di Cisgiordania e Striscia di Gaza, con la popolazione palestinese di fatto sottoposta a un regime di apartheid. Lì di armi ne hanno da vendere a noi. Ma nel 2012 abbiamo venduto aerei da addestramento prodotti dalla Alenia per 472,9 milioni.
Turchia, tra le restrizioni alla libertà di espressione e le operazioni contro le popolazioni curde nel Nord-Est della Siria. Nel 2019, anno dell’invasione del Rojava (Siria), sono state autorizzate commesse dal valore di 63,6 milioni.
Libia. Significativo, il Memorandum d’Intesa con la Libia, in base al quale l’Italia finanzia direttamente quella milizia identificabile come ‘Guardia costiera libica’, nota per essere responsabile di gravi violazioni dei diritti umani dei migranti che cercano di attraversare il Mediterraneo.
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Io e l’altro

di Giovanni Lamagna
Come giustamente affermò Thomas Merton, “nessun uomo è un’isola”. Nessun uomo è una monade (come, invece, sostenne Leibnitz), cioè una realtà chiusa in sé stessa, sostanzialmente impermeabile all’altro. Anzi ogni uomo per me – come sembra pensarla anche l’ultimo Sartre – si definisce in rapporto all’altro.
I confini tra me e l’altro non solo non sono netti e invalicabili, ma si possono definire solo nella misura in cui contengono dei varchi che mi aprono all’altro. Senza l’altro non potrei/saprei neppure definire me stesso.
La mia coscienza si forma in quanto viene accolta, allevata, educata da un altro/a, anzi da altri. In caso contrario resterebbe un embrione informe, destinato a morire sul nascere.
- La differenzaÈ infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
- ScendereMi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
- La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con IsraeleLa feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
- Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
- PazzoGuardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati. E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)