Reader’s – 26 luglio 2022

L’idea condivisa oggi da Massimo Marnetto è quella di “un corpo intermedio di integrazione politica, per ricostruire un contatto tra partiti e società civile, ormai inesistente”. Se la base dei partiti, in particolare a sinistra, ha cessato, se mai l’avesse avuto, di svolgere un ruolo attivo e determinante di partecipazione, proposta e controllo dei gruppi dirigenti, occorre comunque trovare un modo per garantire ai liberi cittadini il diritto – previsto nella Costituzione all’articolo 49 – di “concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (nandocan)

Partiti e società civile

di Massimo Marnetto

Potrebbe chiamarsi ”Consiglio dei Civili” ed essere un organismo formato da rappresentanti delle maggiori associazioni di volontariato e utilità sociale. I compiti: 

1) dare pareri su progetti di legge e formulare proposte indirizzate ai partiti; 

2) segnalare buone pratiche esistenti in altri paesi: 

3) offrire ai giovani – che rifiutano la raccomandazione – la possibilità di farsi valutare da esperti per ottenere un ”attestato di potenzialità”, che li renda riconoscibili come ”cervelli indipendenti” e faciliti il loro inserimento nel lavoro in Italia, prima del loro espatrio.

Il Consiglio dei Civili diverrebbe così un corpo intermedio di integrazione politica, per ricostruire un contatto tra partiti e società civile, ormai inesistente. L’idea è solo un abbozzo tutto da perfezionare, ma se non facciamo funzionare – oltre quello politico – anche il polmone sociale, il nostro Paese sarà sempre in debito di ossigeno, oppresso dalla bassa qualità di rappresentanti e rappresentati. O cresciamo insieme nella partecipazione o la siccità dell’individualismo e dell’astensionismo prosciugheranno la democrazia.


In Germania, ma anche in Francia, “il fantasma recessione prende corpo”, scrive Piero Orteca su Remocontro. E va male anche nelle altre regioni dell’euro zona.

Germania, dall’inflazione alla recessione, e trema l’Europa

di Piero Orteca

Prima era uno solo il fantasma che turbava il sonno dei tedeschi: l’inflazione. Adesso, a rendere le loro notti simili a quelle di Halloween è arrivata anche la recessione. Non scherziamo. I dati statistici, arrivati negli ultimi giorni, fotografano una situazione economica che si va progressivamente sfilacciando. E che è veramente una pessima notizia per l’Unione, perché finora la Germania è stata il più potente sistema produttivo d’Europa. La vera locomotiva del Vecchio continente. E se le prospettive per i tedeschi sono grigio-scure, a maggior ragione vuol dire che, per gli altri, il futuro potrebbe essere nero come la pece.

Financial Times

La recessione tedesca incombe mentre la fiducia delle imprese crolla ai minimi degli ultimi due anni” titola il Financial Times. Lo speciale indice dello “Ifo Institute” dimostra il pessimismo degli imprenditori, costretti ad affrontare l’impennata dei costi di produzione, per l’effetto combinato dell’inflazione e della crisi del gas russo. La situazione è così grave, sostiene il Financial Times, che per colpa dei possibili tagli alle forniture di gas che arrivano dalla Russia, molte industrie tedesche potrebbero essere costrette a limitare la produzione o addirittura a chiudere. Si tratta di decisioni che, con un effetto domino, colpirebbero diffusamente la catena di approvvigionamento, prima in Europa e poi in altre parti del mondo.

Gas, catastrofe e bugie

Petr Cingr, amministratore delegato di SKW Stickstoffwerke Piesteritz, uno dei più grandi produttori di ammoniaca del Paese e uno dei principali fornitori europei di fertilizzanti e di fluidi per motori diesel, non ha dubbi: “Se la Russia dovesse tagliare tutte le forniture di gas, dovremmo interrompere immediatamente tutta la produzione da 100 a zero”. La stessa cosa, ovviamente, vale per le altre fabbriche di fertilizzanti. La ricaduta sull’agricoltura e, in particolare, sulle rese per ettaro, sarebbe devastante. E i prezzi dei prodotti agricoli si impennerebbero di conseguenza.

Economisti chirurgici

Al di là delle rassicurazioni di facciata (e di comodo) dei politici che, sinceramente, girano in tondo e non sanno che pesci pigliare, gli economisti sono molto più “chirurgici”. Secondo la Bundesbank, se Putin dovesse partire al contrattacco, chiudendo tutti i rubinetti del gas, gli effetti negativi sulle catene di approvvigionamento si amplierebbero di almeno due volte e mezza. Mentre l’Ufficio studi della banca svizzera UBS arriva a ipotizzare un clamoroso crollo del Pil, che potrebbe arrivare fino al 6%.

Metallurgia e chimica

I problemi che deve affrontare l’industria tedesca sono anche di tipo tecnologico. Alcune produzioni sono necessariamente legate all’alimentazione col gas, come quella dell’acciaio. ThyssenKrupp, il più grande produttore, ha annunciato che senza gas bisognerà fermare l’attività degli altiforni. Grido d’allarme lanciato anche dalla BASF, il più grande gigante chimico mondiale con sede a Ludwigshafen. Con rifornimenti di gas sotto il 50%, gli impianti di steam cracker sarebbero paralizzati. La situazione è così grave da assumere le caratteristiche da “emergenza di guerra”. In una lettera del Ministro dell’Economia (Robert Habeck), si avvertano le istituzioni pubbliche, uffici, scuole e ospedali di dotarsi di generatori specifici (gruppi elettrogeni). Indispensabili in caso di black-out.

L’economia e le aspettative

E siccome l’economia è fatta di aspettative, tutte queste prospettive plumbee stanno mettendo in ginocchio il sistema-paese. Le aziende tedesche devono combattere non solo con la “reperibilità” del gas necessario a far funzionare la loro attività, ma anche con il suo costo, che fa sballare tutti i bilanci e sta facendo perdere competitività ai prodotti della nazione.

Dalla Russia di contrabbando

La Germania ha sempre avuto delle relazioni “speciali” con la Russia, che si traducevano in un trattamento di favore in campo commerciale. I tedeschi solo 18 mesi fa pagavano il gas di Putin 20 euro al Megawattora, adesso lo pagano a 160 euro. Cioè, otto volte di più, il che fa capire come mai un’incipiente recessione aleggi su Berlino. La storia dei fertilizzanti, poi, la dice lunga su come si trovino le soluzioni a certe crisi. Secondo la società SKW, i prezzi dei fertilizzanti sono diventati così astronomici da costringere gli agricoltori tedeschi a procurarsi, di contrabbando, quelli… russi. Li compravano (e li comprano) attraverso una triangolazione con la Serbia, che consente a tutti di scavalcare le sanzioni. Per primi ai tedeschi.

Le economie export del libero scambio

Certo, per la Germania i disagi economici sono un trauma nazionale, perché ricordano periodi storici rimossi dalla memoria. Da allora, i tedeschi hanno saputo costruire il più potente sistema produttivo d’Europa. Il più efficiente, quello capace di dare il massimo valore aggiunto alle materie prime e ai semilavorati, destinati a diventare beni “made in Germany” e a essere venduti in tutto il mondo. Un sistema “export-oriented”, dunque, come l’Italia. E un sistema, che proprio come il nostro, prospera e si sviluppa sulla base di relazioni internazionali cooperative e basate sul libero scambio.

Modelli di convivenza in cui la pace è non solo un valore ideale, ma anche e soprattutto un reale e consistente vantaggio sostanziale. Ecco perché la guerra in Ucraina deve finire, prima possibile. Se non lo volete fare per umanità, fatelo almeno perché vi conviene.


Caro Bersani…
ti ho ascoltato ieri quando hai detto :

“Io penso, non da oggi, che si sarebbe dovuto lavorare in quest’anno e mezzo per comporre un campo progressista con Pd, ambientalisti, sinistra e Movimento 5 stelle. Io mi sento alternativo a chi propone flat tax, aliquota unica Irpef, a chi vuole cancellare il reddito di cittadinanza, a chi dice no al salario minimo, allo ius scholae, alla ius soli, al ddl Zan e alla legge sul fine vita”.

E invece caro Bersani imbarcano tutti, nel nome di un antifascismo last minute, quello fru fru, buono per tutte le stagioni, usato e abusato, consumandolo, quando si deve coprire il vuoto di una proposta politica alternativa alla destra, come tu hai sempre sostenuto.

Imbarcano tutti nel nome di una Agenda fantomatica, di un “competente” che con le sue dimissioni ha forzato le porte delle Istituzioni democratiche, precipitando il Paese nella crisi sociale più devastante della nostra storia.

Ora danno la colpa a chi, come te e Conte, aveva negli occhi l’uragano sociale in arrivo. Quell`uragano travolgera’ tutti. La vittoria della destra arriverà non per merito, ma per demerito della nostra parte, per quello che dovevamo fare e non abbiamo fatto.

Rincorrere la destra, come stanno facendo, è già una ammissione di sconfitta. Sei l’unico ancora a denunciare tutto questo. Avevi avvertito tutti, ma sei stato prima rottamato e poi isolato, come Conte. Hai detto che lasci, non ti ricandidi, darai una mano sempre, come sempre.

Beh sono triste e molto arrabbiata, ma una cosa preziosa ci hai insegnato che serbero’ sempre come un dono prezioso, che si può fare politica restando integri, leali, perbene. Un esempio per tutti.

Grazie Bersy, a presto.

Pina Fasciani


  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)
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