“Agli inglesi piace sentir suonare le campane mentre vanno nella direzione opposta”, mi disse una volta un docente di teologia anglicano dell’Università di Cambridge. Beh un atteggiamento analogo è quello che la gran parte della gente, certo non solo nel Regno Unito, pratica di fronte alla predicazione sul Vangelo e la morale non individuale. Che il Papa insista sulla pace e sul disarmo è giusto, è il suo mestiere, che altro dovrebbe fare? Ma se il Papa, o un vescovo o un prete chiede anche di passare dai grandi principi all’ attuazione a pratica, questo no, è un’invasione di campo. Si tratti della lotta alle mafie, della crescita delle disuguaglianze, dell’evasione fiscale, o dell’uso delle armi in una guerra.
Lo sarebbe di certo se pretendesse, come talvolta è avvenuto in passato, di sostituirsi ai laici nella gestione della cosa pubblica. Non lo è, a mio parere, se anche entra nel concreto per indicare a credenti e non credenti quanto contraddice i valori morali a cui loro spesso perfino loro dichiarano di ispirarsi. Come fa appunto oggi Papa Francesco a proposito della guerra in Ucraina, quel “tassello della guerra mondiale” rappresentato dallo “scontro tra Stati Uniti e Russia”. Esprimendo – a scriverlo e documentarlo è un noto esperto vaticanista, Marco Politi su Limes – “una linea antitetica alla narrazione (e quindi alla strategia) pubblicamente propugnata sia negli ambienti religiosi e governativi di Kiev sia in sede Nato e Unione europea”. (nandocan)
La visione strategica del papa sulla guerra d’Ucraina
di Ennio Remondino
Non solo posizione morale ma linea politica
«Bergoglio non si è limitato a una posizione morale e sostanzialmente declamatoria», la premessa di Marco Politi, vaticanista di lungo corso e di grande attenzione. «Settimana dopo settimana ha delineato una linea tutta politica, alternativa alla narrazione istituzionale e mediatica prevalente in Occidente secondo cui, non essendo equiparabili le ragioni dell’aggredito e dell’aggressore, bisogna unicamente sostenere lo sforzo bellico dell’Ucraina fino alla sconfitta dell’invasore». Le ripetute perorazioni a tener conto delle «legittime aspirazioni» di ogni parte, evitando l’escalation militare ma anche quella verbale. Una posizione di equilibrio anche sui mai abbastanza citati torti della Nato che a noi laici costavano l’accusa di ‘filo putiniani’.
Al Papa è riconosciuta la «Posizione totalmente estranea ai deliri nazionalistici espressi in alcuni interventi di Putin e del patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill».
La fine dell’opzione diplomatica Usa
«Dopo il primo mese di guerra, vedendo gli Stati Uniti abbandonare l’opzione diplomatica e scegliere la via del pieno appoggio a Kiev in un confronto militare orientato precipuamente a colpire le velleità di potenza della Russia, papa Francesco decide di opporsi a tutto campo a questa strategia». Posizioni nette e frasi chiare. L’aumento delle spese militari del 2% per i paesi Nato definito ‘una pazzia’, e che la risposta alla situazione di guerra in Ucraina non è «altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari… non è facendo vedere i denti… ma un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato e di impostare le relazioni internazionali».
Dottrina Bergoglio e della Difesa statunitense
La linea statunitense espressa in aprile dal segretario alla Difesa Usa Austin Lloyd: «Vogliamo vedere la Russia indebolita al punto da non poter fare il tipo di cose che ha fatto con l’invasione dell’Ucraina». Secondo il Vaticano, una linea del genere diventa una questione di egemonia. E apre il problema della visione unipolare o multipolare della scena planetaria. Senza mai fare sconti alla responsabilità di Putin nell’aver scatenato il conflitto, l’approccio del papa include le cause del confronto apertosi tra Russia e Occidente.
’L’abbaiare della Nato’
C’è stato un «abbaiare della Nato alle porte della Russia», dichiara papa Francesco in una intervista al Corriere della Sera. Dopo la fine dell’Urss, ricordano in Vaticano, l’Alleanza Atlantica si è continuamente estesa a est. «La Russia è stata umiliata e circondata dalla Nato», sottolinea lo storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Il non detto, che il Vaticano conserva nell’archivio della memoria, riguarda il rifiuto della Nato nell’autunno del 2021 di garantire nero su bianco a Putin che l’Ucraina non sarebbe mai entrata nell’Alleanza Atlantica.
Cappuccetto Rosso e il lupo cattivo
La politica nello schema delle favole. «Cappuccetto Rosso era buona e il lupo era cattivo. Qui non ci sono buoni e cattivi metafisici, in modo astratto», spiega ai direttori delle riviste gesuite ricevuti a giugno. Non si può ridurre la complessità della situazione, insiste Bergoglio, senza ragionare su radici e interessi molto articolati. È in atto, dice, un evento di «appropriazione geopolitica a livello globale». «Questa guerra – ribadisce ai gesuiti in Kazakistan-, non è un film di cowboy e non è nemmeno tra Russia e Ucraina: no, questa è una guerra mondiale». Siamo di fronte a «imperialismi in conflitto» e, quando si sentono minacciati e in decadenza, gli imperialismi reagiscono pensando che la soluzione sia scatenare una guerra per rifarsi.
Non solo tra Kiev e Mosca
Se questa è davvero una guerra mondiale, specialmente per i suoi riflessi sempre più pesanti in termini di crisi energetica, economica, alimentare e in prospettiva migratoria, lo sbocco – nella visione di Bergoglio – non può essere affidato soltanto al dialogo tra Kiev e Mosca e nemmeno a una futura ritrovata intesa tra Mosca e Washington, certamente necessaria per chiudere la crisi ucraina, ma deve passare attraverso lo stabilimento di regole condivise e una nuova governance a livello globale: «qualcosa come il patto di Helsinki del 1975 che stabilizzò la situazione internazionale e preparò l’uscita dalla guerra fredda».
Lo sbocco della situazione
«Piaccia o meno, è una visione strategica con una sua coerenza», ribadisce Marco Politi ad anticipare critiche scontate. Non solo il Papa, ma anche Henry Kissinger e Angela Merkel, convinti che la Russia debba rimanere ancorata all’Europa e non essere gettata nelle braccia della Cina. Ad aprile la rivista dei gesuiti Civiltà Cattolica, le cui bozze vanno in visione alla Segreteria di Stato vaticana, scrive che non è augurabile la «prospettiva di una Russia indebolita e umiliata, considerata uno Stato paria… in preda a impulsi revanscisti». «Come la Germania dopo la prima guerra mondiale» la minaccia da incubo.
La posizione vaticana isolata ad occidente
A differenza della crisi di Cuba del 1962, né Mosca né Washington hanno sentito la necessità di servirsi del canale vaticano di mediazione. Alla Santa Sede manca anche l’appoggio dell’asse Parigi-Berlino, quando Giovanni Paolo II si oppose all’intervento statunitense in Irak. Come sia finita lo sappiamo. Ma oggi esiste un blocco internazionale che non intende allinearsi né sulle posizioni russe né su quelle statunitensi. Anche nell’ultima votazione in sede Onu gli astenuti e i contrari alla condanna della Russia rappresentano per popolazione la maggioranza del pianeta.
I sostenitori della ‘Linea Bergoglio’
I soggetti che hanno contribuito in questi mesi a dare forma alla linea indicata da Bergoglio. Oltre all’Osservatore Romano, la rivista dei gesuiti Civiltà Cattolica, la Comunità di Sant’Egidio, il giornale dei vescovi italiani Avvenire, i presidenti della Cei cardinali Gualtiero Bassetti prima e Matteo Zuppi adesso. L’Avvenire in particolare, ha denunciato la “protervia riarmista” che punta a un’escalation, incurante sia dei rischi nucleari sia delle crescenti distruzioni inflitte all’Ucraina. Avvenire ha ripetutamente suggerito di evitare che alla fine si riduca tutto a ‘West vs Rest‘: l’Occidente contro il resto del mondo. «Cè una vasta parte del pianeta, rimarca il sociologo cattolico Mauro Magatti, che non accetta il modello liberale occidentale»:
È in corso un lento e delicato processo di formazione di aree politiche-economiche-culturali, che cercano un posizionamento strategico a livello regionale e globale. Con queste aree sfaccettate bisogna trovare una convivenza positiva.
Le cristianità contro
La linea di papa Francesco lo ha portato a scontrarsi con il patriarca russo Kirill, allineato in maniera esaltata con le scelte panrusse di Mosca nella visione di una lotta contro l’Occidente moralmente corrotto. Il pontefice ha ripetutamente annullato incontri già programmati con il patriarca e ha tenuto a far sapere pubblicamente di avergli detto che non spetta a leader religiosi fare da «chierici di Stato». Allo stesso tempo l’Osservatore Romano ha puntualizzato che il papa di Roma non è il “cappellano dell’Occidente”.
Tensioni anche con Kiev
Anche con Kiev il Vaticano ha avuto momenti di scontro. In occasione della Via Crucis al Colosseo, la tv di stato ucraina insieme alle emittenti cattoliche locali ha oscurato la trasmissione per non far vedere una donna ucraina che insieme a una donna russa reggeva la croce. E ancora quando il papa – criticatissimo dal governo ucraino – ha deplorato l’attentato alla figlia dell’ideologo panrusso Aleksandr Dugin avvenuto nei dintorni di Mosca.
Odio etnico contrapposto
Preoccupa molto il Vaticano l’esplosione di sfrenato odio etnico da ambo le parti che si sta manifestando nel corso del conflitto. Un fenomeno che ricorda quanto avvenuto nelle guerre nella ex Jugoslavia. Nell’Angelus del 2 ottobre ha chiesto a Putin di fermare la spirale di violenza e a Zelensky di «essere aperto a serie proposte di pace». Un cessate-il-fuoco, preliminare a negoziati capaci di portare a soluzioni «concordate, giuste e stabili». Dietro le quinte (sempre Marco Politi), la Santa Sede nutre anche dubbi sul fatto che il presidente ucraino debba essere l’unico titolato a decidere quando e su che basi negoziare con la Russia. Perché la legittima difesa non va confusa con un’escalation senza limiti, rischi nucleari inclusi
Uno schema di accordo Vaticano
Il gruppo di lavoro sulla pace coordinato dall’economista americano Jeffrey Sachs all’Accademia pontificia delle Scienze, ha elaborato un “Piano per una pace giusta e duratura in Ucraina”, ora sul tavolo della Segreteria di Stato. Prevede la neutralità dell’Ucraina e suo ingresso nell’Unione Europea, garanzie internazionali per la sua sovranità e integrità, controllo de facto della Crimea da parte russa in attesa di una soluzione definitiva affidata al dialogo fra le parti, autonomia delle regioni di Luhans’k e Donec’k all’interno dell’Ucraina, creazione di un Fondo di ricostruzione dell’Ucraina cui partecipa la Russia, e rimozione graduale delle sanzioni in parallelo con il ritiro delle truppe russe. Un documento che in attesa di più attenta lettura, sembra ispirato alla concretezza.
T.I.N.A.
(There is no alternative)

di Antonio Moscatello (FB)
Una trappola ideologica del capitalismo neoliberista
La retorica del “non-c’è-alternativa” è una trappola ideologica che il capitalismo neoliberista è riuscito a innescare alle caviglie delle nuove generazioni. La società della sorveglianza è gerarchizzata quanto quella a segmentazione gerarchica che l’ha preceduta e, anzi, ha una vocazione totalitaria. Incorpora persino alcune istanze comunistiche, normalizzandole nella formula del filantropismo e dell’impegno ecologista dei ricconi: i vari Gates, Soros e via dicendo.
I giovani oggi sono incagliati in un’infernale dinamica: o rinunci a formarti e vai a lavorare a 16 anni, o paghi profumatamente (nei paesi anglosassoni si fa un debito scolastico e si lavora spesso per tutta la vita al fine soltanto di ripagarlo) per conquistarti cinque o più anni di università per poi andare più o meno a fare lo stesso McLavoro che avresti fatto senza laurearti (questo lo scriveva quel genio sfortunato di Mark Fisher una quindicina di anni fa).
Una possibilità infinita d’intrattenimento
Quello che viene offerto loro per domare l‘energia emotiva è una possibilità infinita d’intrattenimento. Gli eccitanti impulsi della messaggeria continua, dei tiktok e quant’altro rendono estranea al loro orizzonte cognitivo, in molti casi impossibile, la trasmissione di un sapere approfondito che passa attraverso i più analogici degli strumenti di comunicazione: le parole scritte su carta, i libri. La reazione, quasi nauseata, di tanti ragazzi quando si chiede loro di “leggere” testi articolati, e che spesso si manifesta come “noia”, è estremamente significativa di quanto sia difficile per loro concentrarsi (e lo è anche per noi, appartenenti a una generazione pre o proto-digitale) e entrare in profondità nei testi.
Sarebbe però un errore pensare che quella che viene esercitata sulle loro menti sia una dittatura “soft”. È invece “hard” e molto violenta.
Bisogno di futuro
Il bisogno di futuro di questi giovani cerca comunque vie d‘uscita, pur mancando spazi e pratica dell’agire collettivo e sociale (tranne eccezioni, ovviamente). È una vera e propria fame d’aria che spesso prende la forma di frustrazione e di quello che viene definito “teppismo”.
La conseguente reazione disciplinare è violenta. Non parlo solo di manganelli e manette, ma dell’approccio stesso complessivo rispetto ai giovani, vissuti come un corpo estraneo e come un problema di ordine pubblico. Lo dimostra tra l’altro la proposta dell’attuale ministro dell’istruzione italiano che vuole i lavori “socialmente utili” per i ragazzi indisciplinati e la reazione entusiasta di tanti a questa idea che non ha nulla di educativo (come potrebbe essere educativo indicare il lavoro come una punizione?).
Secolo breve e pensiero breve.
di Giovanni Lamagna
Ho l’impressione che dopo la fine del secolo breve abbia avuto inizio il secolo del pensiero breve.
- La differenzaÈ infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
- ScendereMi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
- La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con IsraeleLa feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
- Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
- PazzoGuardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati. E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)