Reader’s – 25 ottobre 2022. Rassegna web

Mobilitarsi per la pace, fermare i costruttori di cimiteri

Di fronte all’incapacità dei governi e delle istituzioni internazionali di arrestare l’escalation della guerra, si devono muovere i popoli. Con difficoltà l’opinione pubblica sta uscendo dal lungo letargo imposto dalla ninnananna del pensiero unico cantata dai media e dalle principali forze politiche. La mobilitazione è cominciata dal basso e si sta estendendo a macchia d’olio. Una manifestazione nazionale si svolgerà il 5 novembre a Roma. Le parole d’ordine sono: cessate il fuoco subito – negoziato per la pace, mettiamo al bando tutte le armi nucleari, solidarietà con il popolo ucraino e con le vittime di tutte le guerre.  Ci sono Arci, Agesci, Anpi, Emergency, Libera, Sant’Egidio, Pax Christi, la FIOM, le tre Confederazioni sindacali e una miriade di associazioni quale non si era mai vista prima. 

di Domenico Gallo

L’orribile massacro in corso alle frontiere dell’Europa, sta degenerando verso un’ulteriore escalation. Dopo l’attentato al ponte di Kerch, che unisce la Crimea alla Russia meridionale, si è scatenata una pioggia di bombardamenti con droni suicidi su Kiev e su tutta l’Ucraina, mirata soprattutto a colpire gli impianti civili di produzione di energia elettrica, mentre proseguono violentissimi gli scontri su più fronti fra le truppe ucraine e quelle russe.

In questo momento si stanno addestrando 15 mila soldati ucraini sul territorio europeo con i fondi per la pace dell’European Peace Facility. Ad essi si aggiungono 10 mila soldati ucraini addestrati dal Regno Unito per l’uso delle nuove armi più alcune migliaia di contractors finanziati dagli Stati Uniti con elevate competenze militari.

Si prepara quindi una potenza di assalto finalizzata a sfondare quest’inverno le difese russe e filorusse, mentre la Russia dal canto suo sta reclutando e addestrando 300 mila soldati per fronteggiare la controffensiva ucraina . Ci sarà quindi sempre più carne da cannone su entrambi i fronti, e più cimiteri da riempire.

Di fronte a questi ulteriori sviluppi – per quanto sia assurdo – le Cancellerie dei principali paesi europei, le istituzioni europee, compreso il Parlamento Europeo, hanno deciso di continuare a puntare sul prolungamento e sull’escalation della guerra, convinti che la pace potrà essere ristabilita soltanto con la vittoria dell’Ucraina e la disfatta della Russia.

Non a caso in tutti i documenti ufficiali non compare mai la parola “negoziato”, “cessate il fuoco”, “neutralità”, “status dei territori contesi”, “conferenza internazionale di Pace” “sicurezza collettiva”. Anche il rischio di un inverno nucleare non porta a più miti consigli, anzi viene apertamente sfidato con minacce di reazioni altrettanto distruttive.

Di fronte all’incapacità dei governi e delle istituzioni internazionali di arrestare questa corsa al suicidio si devono muovere i popoli. Con difficoltà l’opinione pubblica sta uscendo dal lungo letargo imposto dalla ninnananna del pensiero unico cantata dai media e dalle principali forze politiche. La mobilitazione è cominciata dal basso e si sta estendendo a macchia d’olio. 

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«Guerra, fallimento della politica e dell’umanità», leader religiosi e politici di 40 nazioni a Roma

di Remocontro

La Comunità di Sant’Egidio fa incontrare imam, vescovi, rabbini, monaci buddisti, esponenti delle religioni asiatiche, personalità laiche della cultura e della politica a Roma. Presenti anche Mattarella e Macron. Dall’Ucraina alla Siria, dal Corno d’Africa al Nord del Mozambico: non si eternizzino i conflitti, rilanciare orizzonti di pace. La partecipazione di rappresentanti ortodossi sia russi sia ucraini.
All’incontro della Comunità di Sant’Egidio il grido unanime dei presidenti italiano e francese. E il cardinale: guerra, fallimento della politica e dell’umanità.

La pace all ’Onu di Trastevere’

«Una delle cose più sciocche del nostro tempo è dire che volere la ‘pace’ sia essere filo-putiniani. Questo assolutamente non è vero. Perché pace prima di tutto è una parola per gli ucraini, questo martoriato Paese che ha subito l’aggressione russa che ha 8 milione di persone fuori dei suoi confini», il messaggio forte di Andrea Riccardi che emerge dall’evento di Sant’Egidio “Il grido della pace”, la tre giorni internazionale “Religioni e Culture in dialogo” insieme a rappresentanti del pensiero laico e delle istituzioni da oltre 40 nazioni.
Tra loro, presenti in sala e seduti accanto, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il presidente francese Emmanuel Macron, che hanno aperto l’assise internazionale organizzata dall”Onu di Trastevere‘.


Sul merito

*di Massimo Marnetto

Che merito ha chi nasce da genitori colti? Nessuno. Ha solo più fortuna di chi è figlio di persone meno istruite. Eppure il merito scolastico – aggiunto alla denominazione del Ministero dell’Istruzione – non fa differenze. Chi eccelle va avanti, chi non regge si perde. Un approccio che si poggia su una convinzione precisa: l’umiliazione è pedagogica, sferza l’impegno e sveglia dal torpore.

Per la destra, fuori da questa selezione c’è solo un flaccido buonismo. Eppure, è proprio a scuola che si realizza la sfida cruciale della Repubblica, quella di ”rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona e l’effettiva partecipazione (..)”. Lo dice l’articolo 3 della Costituzione, quello che parla del diritto alla dignità. Per tutti.

**di Gianfranco Isetta

A proposito della questione del merito propugnato dalla Presidente del Consiglio Georgia Meloni, subito sostenuta da Calenda, un dubbio mi sorge:

Ma cosa intendiamo esattamente per merito? Aver superato il concorso? Aver preso la laurea? Essere diventato notaio, chirurgo, deputato? Essere ricco, di successo e bello? Ecco, giudicare il merito sulla base dei risultati è chiaramente una scorciatoia. Un bel principio applicato decisamente male. E, si sa, in questi casi i costi sono sempre maggiori dei benefici.

Perché, se applichiamo acriticamente la retorica della meritocrazia che ci porta a pensare che dobbiamo premiare, socialmente, economicamente, politicamente, chi ce l’ha fatta, il passo successivo è l’equivalenza per la quale premiare chi ce la fa implica punire chi, invece, non ce la fa.


Siamo sicuri che la cosa messa così funzioni?
Penso invece che nel lavoro, come nello studio e nella ricerca, conti il piacere, la soddisfazione nel raggiungere risultati, proporzionalmente alle proprie capacità che sono diverse. Questo è il vero merito, non un risultato da confrontare con altri, ma un percorso che può essere diverso per ciascuno di noi.


Dio e l’Io

di Giovanni Lamagna

Dio non esiste, d’accordo!

La sua esistenza è stata un’invenzione dell’uomo.

Ma questo non ci autorizza a mettere l’io al posto di Dio.

Mettiamocelo bene in testa: l’io non è Dio.

Non può sostituire l’esistenza di Dio.

© Giovanni Lamagna


  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)
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