Reader’s – 24 luglio 2022

UN PARLAMENTO IRRESPONSABILE, INCAPACE DI ASSOLVERE AI PROPRI DOVERI

di Libertà e Giustizia

Libertà e Giustizia assiste con grande preoccupazione al precipitare degli eventi che hanno avuto per effetto lo scioglimento anticipato delle Camere e le elezioni politiche indette per il prossimo 25 settembre.

Questo Parlamento si è contraddistinto per una crisi irriducibile di credibilità, evidenziata a più riprese: dall’entusiasmo quasi messianico con cui ha accolto il governo Draghi all’esibita incapacità di eleggere un Presidente della Repubblica, culminata nella preghiera a Mattarella affinché tornasse sui propri passi. L’incapacità del Parlamento di adempiere ai suoi doveri ha come ricaduta il fatto che il Capo dello Stato abbia dovuto sciogliere le Camere senza che sia stata modificata una legge elettorale fortemente sospetta di incostituzionalità. Le conseguenze in termini di perdita di rappresentanza saranno ulteriormente aggravate dalla circostanza che il nuovo Parlamento, dopo il referendum del 2020, avrà un numero di parlamentari ridotto di un terzo. Una crisi di legittimazione della classe politica che sfocia nell’irresponsabilità.

In tale contesto esiste il ragionevole timore che -alle prossime elezioni- la destra possa prevalere. Una destra a trazione sovranista, che non ha mai preso le distanze dal fascismo, che fa della xenofobia un vero e proprio programma di governo e che ostenta politiche fiscali ed economiche che avrebbero come effetto quello di accentuare le diseguaglianze e appesantire il debito pubblico, già enorme. Peraltro, proprio per effetto della legge elettorale rimasta in vigore, è possibile che a questa vittoria corrisponda una maggioranza parlamentare così ampia da poter, se lo vuole, cambiare la Costituzione, senza nemmeno doversi sottoporre al referendum oppositivo.

Il rischio di fronte al quale ci troviamo dovrebbe dunque preoccuparci ben oltre il livello di guardia. Siamo di fronte alla reale possibilità che la Costituzione venga irrimediabilmente modificata e che i suoi principi vengano spazzati via. Questa preoccupazione deve essere al centro delle scelte elettorali che si stanno compiendo, riconoscendo che affidarsi esclusivamente alle logiche di sopravvivenza dei singoli partiti rischia di favorire questo scenario.

Le scelte neocentriste non rispondono alla crisi di fiducia nella politica

In alternativa a una destra così minacciosa sembra prefigurarsi un progetto politico – con il Partito Democratico al centro – che, quasi come un riflesso condizionato dopo le ultime vicende, sceglie di essere “testimonianza” del governo Draghi, dal quale mutua con entusiasmo il programma politico. Dimenticando così la genesi di quell’esecutivo, nato per essere “alleanza nazionale di scopo”, privo di una chiara determinazione nell’affrontare i temi sociali e ambientali. La scelta di trasformare il governo Draghi in buona pratica da imitare avrebbe – a nostro avviso – conseguenze fatali che finirebbero ancora per avvantaggiare la destra. 

Non è difficile, infatti, immaginare che, col pretesto di dover rispettare dei vincoli europei, un governo di destra possa accentuare ulteriormente il divario tra i pochi benestanti e i molti indigenti: introducendo la flat tax, abolendo la misura insufficiente ma necessaria del reddito di cittadinanza, tagliando le spese sociali (a prevedibile beneficio delle spese militari), abbandonando le già inadeguate politiche di lotta al cambiamento climatico.

Solo se vi saranno reali progetti politici alternativi alla destra, che scelgano di farsi carico delle questioni sociali e ambientali sempre più urgenti, si potrà finalmente dare rappresentanza a quella parte di società su cui si scaricano, già adesso, le conseguenze materiali di politiche che sclerotizzano le diseguaglianze. Se invece si proseguirà nella direzione annunciata, è molto probabile che questa parte di Paese sceglierà di non partecipare alle elezioni. Il rischio è concreto: secondo uno studio pubblicato da Tecnè, alle ultime consultazioni comunali è andato a votare il 79% degli elettori ad alto reddito e il 28% degli elettori a basso reddito. L’astensionismo è un fenomeno complesso e diffuso in maniera diversa tra le classi sociali e sul territorio nazionale. Ma è endemico nella fascia sociale più svantaggiata.

C’è una parte di società impoverita, con scarsissimo potere di influenzare la politica e in questo senso non adeguatamente rappresentata. E’ davvero difficile pensare che una scelta neocentrista possa rispondere a una crisi di fiducia nella politica di simili proporzioni.

Libertà e Giustizia


LA CRISI DI GOVERNO È UNA CRISI OSCURA, MA NON È UNA CRISI AL BUIO

di Sergio Labate, presidente nazionale di Libertà e Giustizia

La crisi di governo che stiamo attraversando è tra le più misteriose e oscure che abbiamo vissuto. Tutta interna a dinamiche di palazzo che appaiono più autoreferenziali che popolari.

Da parte dei grillini, prendersela con tutti i loro eventuali bersagli polemici vorrà inevitabilmente dire prendersela con se stessi essendo stati complici e alleati di tutti. Molto più nascosto è quello che sta accadendo alla Lega. 

Possiamo limitarci a preoccuparci del presente, certo. Oppure possiamo occuparci del presente avendo cura di ciò verso cui stiamo inesorabilmente precipitando.

La crisi di governo che stiamo attraversando è tra le più misteriose e oscure che abbiamo vissuto. Tutta interna a dinamiche di palazzo che appaiono più autoreferenziali che popolari. Eppure anche questo momento della nostra storia recente va contestualizzato e compreso dentro tendenze e direzioni che appaiono in penombra e che prefigurano ciò che può accadere. Su due vorrei soffermarmi. Sono le due direzioni che riguardano i partiti che hanno iniziato il governo di questa legislatura, il M5s e la Lega.

L’IMPRONTA ORIGINARIA

Cominciamo da quello che è sotto i riflettori. A me pare evidente il tentativo del M5s di tornare alla sua impronta originaria, quella del populismo indistinto e del partito che rinuncia a un profilo culturale per poter “pescare” dovunque. I nove punti del cahier de doléances presentato a Draghi contengono infatti tutto e il suo contrario. Proposte che possono lusingare l’elettorato di sinistra (il reddito di cittadinanza, il salario minimo, la transizione ecologica) accanto ad altre che, come vedremo tra un attimo, sono parte integrante del programma della Lega (le rateizzazioni delle cartelle esattoriali, la difesa contro ogni evidenza del superbonus e della superbolla economica che reca con sé).

La scelta strategica è chiara: dopo aver rincorso il dogma del governo, si tratta adesso di rifarsi una verginità e rimettersi non tanto al di sopra delle parti ma al di fuori di esse. Scelta che ha la conseguenza certa di annientare l’ipotesi di un campo largo, rinunciando alla preferenza nei confronti del centro-sinistra, e la conseguenza, molto meno, certa di recuperare consenso per se stessi.

Se è vero infatti che nella politica contemporanea la memoria è corta, è anche vero che, da parte dei grillini, prendersela con tutti i loro eventuali bersagli polemici – in ordine sparso: Draghi, il Pd, la Lega – vorrà inevitabilmente dire prendersela con se stessi – essendo stati nel frattempo complici e alleati di tutti. Per usare una metafora un po’ piccante: è dura cercare di rifarsi una verginità venendo da un periodo di accesa promiscuità politica.

LA LEGA

Molto più nascosto è quello che sta accadendo alla Lega. Che, seguendo una direzione contraria, sta chiudendo la sua parentesi populista per tornare ad essere il partito di riferimento di precise classi sociali e di un territorio ben definito. Può darsi che questa conversione sia dovuta alla concorrenza sovranista di Giorgia Meloni, la leader di Fratelli d’Italia. Quel che è certo è che Salvini sta velocemente dismettendo se stesso, normalizzandosi.

A sentirlo adesso, le priorità sembrano essere: uno scudo fiscale per i piccoli imprenditori del Nord e, soprattutto, un’accelerazione sul progetto dell’autonomia differenziata che viene in forma esplicita rivendicata come il modo per liberare il nord dalle catene che l’opprimono. Salvini torna a essere una semplice versione updated di Bossi.

Non c’è nessun sollievo nel riconoscere il declino di Salvini. Non avrei mai pensato di doverlo ammettere. In realtà, non c’è nessun sollievo nel riconoscere entrambe queste traiettorie. Per vari motivi.

In primo luogo, perché nessuna delle due trasformazioni appare andare nel senso di ciò che manca: una rappresentanza politica di coloro che non hanno più rappresentanza e che sono travolti non dalla crisi di governo ma dall’inflazione e dalle politiche che sclerotizzano, invece di combattere, le diseguaglianze sociali.

In secondo luogo, perché non v’è una ricetta, tra queste indicate, che sia veramente nuova (a parte forse il reddito di cittadinanza, almeno dal punto di vista teorico e al netto della pessima elaborazione pratica che ci siamo dati in Italia). Davvero le ricette dei politici appaiono come discorsi di un bradipo: mentre fuori la realtà reclama una accelerazione della presa d’atto e della responsabilità, le loro parole scorrono lente, anacronistiche e senza alcuno sforzo d’immaginazione.

L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA

In terzo luogo, perché la parte più preoccupante di quanto scritto – il progetto dell’autonomia differenziata – sembra alla fine mettere d’accordo tutti i soggetti della politica. Non è solo il nuovo Salvini a richiederlo come priorità.

È notizia di pochi giorni che anche il Presidente Pd della Regione Toscana, Eugenio Giani, senta – in un momento così delicato come questo – come urgente e improcrastinabile affiancarsi alle altre Regioni per potersi velocemente autonomizzare. Anche il M5S non si oppone ma si limita a spargere buoni propositi che dovrebbero al massimo addolcire la pillola.

Il fatto che proprio l’autonomia differenziata – che rappresenta una trasformazione radicale e irreversibile dell’ordinamento repubblicano – sia un punto di convergenza per tutti è davvero preoccupante.

Questa crisi di governo è una crisi oscura, ma non è una crisi al buio. Comunque finisca, le direzioni che ho delineato mi pare non si fermeranno. Possiamo limitarci a preoccuparci del presente, certo. Oppure possiamo occuparci del presente avendo cura di ciò verso cui stiamo inesorabilmente precipitando.


Coraggio!

di Massimo Marnetto

Tutta questa rassegnazione sulla vittoria di Meloni e della destra non mi piace. C’è un’enorme domanda di giustizia sociale e modernizzazione, che potrebbe essere intercettata con un programma chiaro, tale da riportare al voto gli astensionisti ormai appartati da anni di sfiducia negli italiani. E’ vero, il nostro Paese è pieno di idioti, nel senso greco di individui che pensano solo al loro privato; ma anche di molte persone dotate di attenzione sociale, in cerca disperata di un partito e di politici di qualità. 

Un elettorato latente ed esigente che se vede un leader credibile e programmi radicali riemerge. Per dire, se Landini sacrificasse la sua degna attività di sindacalista e guidasse una coalizione con proposte nette su fisco, lavoro, scuola, sanità e ambiente, sicuramente la partita del 25 Settembre sarebbe tutta da giocare. E persino gli operai tornerebbero a votare a sinistra. Certo, ci vuole voglia di unire le forze per vincere. Evidenziando gli obiettivi comuni e trattenendo le posizioni divisive. Ma si può fare. E si deve fare. Coraggio!


Il picco dei cialtroni nell’estate bollente

di Antonio Cipriani

Cialtróne s. m. (f. -a) [etimo incerto]. – Persona volgare e spregevole, arrogante e poco seria, trasandata nell’operare, priva di serietà e correttezza nei rapporti personali, o che manca di parola nei rapporti di lavoro. Anche, con sign. attenuato, persona sciatta nel vestire e nel portamento, o che nel lavoro sia solita fare le cose in fretta e senza attenzione. [cit. Treccani]

Il mio amico Pancrazio Anfuso, penna attenta e soave, mi ha fatto riflettere sulla quantità di cialtroni che popolano le nostre vite incolpevoli. Cialtroni che agiscono nelle pieghe della burocrazia, nelle scelte a piffero che quotidianamente subiamo, per le lunghe file in attesa in un ospedale, camminando per strada, in automobile.

Arroganti poco seri che sono seduti anche nei posti chiave per rendere la nostra vita più faticosa. Per far sì che una cosa banale, anche semplice, porti con sé complicazioni quasi rituali

Scrive Pancrazio Anfuso: “Cialtroni non solo individuali, anche organizzati, governati da cialtroni, che pianificano cose spesso senza senso, di cui capita di doversi occupare quotidianamente, e, per una serie di motivi, anche in quantità superiore alla media: un picco di cialtroni”.

Un picco di cialtroni: per il caldo afoso? Perché Greta alla fine non aveva torto? Perché la pandemia ci ha resi migliori? Perché caduto il governo emergenziale dei cosiddetti migliori i peggiori si sentono avvantaggiati?

La cosa che noto è che i cialtroni si sono fatti vieppiù strada; il furbettame da salottino damascato ha fatto carriera, ha occupato i posti che contano, mettendo al servizio di chi muove le leve del comando le note qualità: arroganza verso il prossimo, adulazione del capo, doppiezza, volgarità, mancanza di parola data nei rapporti di lavoro.

Insomma, mai come in questa epoca il cialtrone è utile a far funzionare a piffero il mondo dominato dall’ipocrisia come filosofia d’uso. Un mondo in cui l’assuefazione è il danno collaterale di un sistema che provoca diseguaglianze, ingiustizie, schiavitù e tanta tanta ottusa spettacolarizzazione a far sparire dalla comprensione, come per magia, la tirannia del profitto che non conosce confini né geografici né politici.

Un mondo che senza cialtroni non potrebbe reggere. E che invece grazie alla grande maestosa accettazione collettiva della cultura dell’imbecillità, va alla grande perché nessun imbecille vuole essere secondo a nessuno.


  • Sulla valutazione dei magistrati
    Si vuole introdurre la valutazione della Magistratura? Bene, allora li si faccia anche per gli altri poteri dello Stato. Per il Parlamento vedrei bene l’adozione del ‘’criterio di laboriosità’’: un quinto degli onorevoli e senatori più assenteisti nel biennio vengono sostituiti con elezioni suppletive programmate.
  • ‘Peggio del presente, a Gaza, c’è solo il futuro’: Eric Salerno
    Altri ostaggi sono tornati a casa, tutti sembra, in relativamente buone condizioni di salute anche se traumatizzati dal rapimento e dalla prigionia nelle mani degli uomini di Hamas. In Israele manifestazioni di giusta felicità miste a paura per quello che è accaduto il 7 ottobre e per quello che potrebbe ancora succedere. Centinaia di video passano di mano in mano. In Israele e fuori.
  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
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