Ho già scritto che alle primarie di domenica prossima voterò Elly Schlein per la segreteria del PD e pur rispettando la diversa opinione degli amici che non lo faranno o non andranno neppure a votare sono lieto di constatare che molti di loro sono d’accordo con me nel considerare questa come una buona occasione o l’ultimo, disperato tentativo decidete voi, per riportare il PD a sinistra. Quello che segue è l’invito su Facebook di Luca Brienza.

Luca Brienza su Facebook
Per anni abbiamo chiesto a gran voce che il Partito Democratico riconoscesse che il Jobs Act è stato un errore, che prendesse le distanze definitivamente dal finanziamento della guardia costiera libica, che tornasse a schierarsi – senza se e senza ma – per la scuola pubblica e per la sanità pubblica, che si impegnasse convintamente a ridurre le disuguaglianze, che si spendesse per assumere le scelte migliori volte a fronteggiare la crisi climatica.
Questi sono solo alcuni tra i temi che hanno costituito il punto di rottura tra noi e il PD e proprio su questi argomenti (e non solo) Elly Schlein ha speso parole chiarissime nel lungo viaggio che l’ha portata a visitare capillarmente ogni angolo del Paese, ogni comunità.
Io le credo. Credo che terrà fede alla visione che ci ha proposto di accompagnare.
Per quanto mi riguarda, questa possibilità non va sprecata: con Elly segretaria cambia il Partito Democratico e se ciò accade cambia anche l’Italia.
Domenica 26 febbraio, anche se non siete iscritti al PD, venite ai gazebo e votate alle primarie. È questa l’occasione che stavamo aspettando!
La libertà di stampa in Ucraina e il nostro governo. «Il silenzio non è d’oro, è di piombo»
da Remocontro
Si è alzato il muro del silenzio sulla bruttissima vicenda dei cronisti italiani cui è stato impedito di entrare in Ucraina o è stato tolto l’accredito per poter svolgere la propria attività professionale. Quest’ultima non ha a che fare con la propaganda, bensì con la indispensabile cronaca su ciò che accade nell’orrendo conflitto in corso. Le persone hanno il diritto di sapere. Non può vincere la classica strategia del segreto, tipica delle guerre.
I principali telegiornali hanno oscurato la notizia, pur essendo proprio i giornalisti free lance colpiti dalla censura di Kiev, autori di reportage utilizzati spesso proprio per la Rai, oltre che per altre rinomate testate della carta stampata.
Si tratta di dimenticanza o di censura? Intanto, c’è da cogliere un’occasione immediata: domande a Giorgia Meloni, nella conferenza stampa della presidente del consiglio sul suo viaggio in Ucraina di tanta immagine e così poca sostanza.

Morte in diretta della libertà di informare e di essere informati
di Vincenzo Vita
L’analisi commento di Vincenzo Vita per dare al nostro piccolo intervento maggiore autorevolezza, usando per la copertina il disegno di Alekos Prete.
Una triste coltre di silenzio avvolge la vicenda dei giornalisti italiani cui è stato impedito di entrare in Ucraina o è stato revocato l’accredito per poter svolgere la propria attività professionale. Vi è l’ordine di non parlarne? Ne ha parlato –invece- in una diretta online ieri mattina l’associazione Articolo21, in collegamento con uno dei cronisti – Salvatore Garzillo-, l’avvocata Ballerini che segue il caso, il presidente dell’ordine dei giornalisti Carlo Bartoli, nonché i nuovi presidente e segretaria della federazione nazionale della stampa Vittorio Di Trapani e Alessandra Costante.
Zelensky mediatico questa volta silente
«Auspichiamo un’azione forte del governo italiano per garantire ai colleghi la possibilità di lavorare e soprattutto per evitare loro i possibili rischi cui potrebbero essere sottoposti. Una situazione che non ci fa stare tranquilli», ha affermato Bartoli, impegnato fin dall’inizio della crisi a cercare una soluzione. E, per incalzare gli interlocutori, Di Trapani: «Stiamo seguendo minuto per minuto la vicenda, in contatto con il ministero degli esteri e con le organizzazioni internazionali dei giornalisti. Ci risulta che l’ambasciata italiana si stia muovendo».
Codardia di testata
Si è convenuto con Giuseppe Giulietti sulla particolare gravità della situazione, oscurata non casualmente dalle principali testate, ivi comprese quelle della Rai, che pure si sono avvalse dei contributi dei cronisti ora imbavagliati. Quali sono le accuse mosse dai servizi segreti nei riguardi di chi non fa propaganda, bensì informazione sulla guerra? Vale anche in tale circostanza la solita terribile strategia del segreto, in base alla quale i misfatti e le atrocità non devono venire a conoscenza dell’opinione pubblica?
Tentazione dei regimi
Una peculiarità dei regimi è proprio simile tendenza, volta a nascondere i lati oscuri e indicibili del potere. La trasparenza è la condizione ineludibile della democrazia, come recita la campagna per la libertà di Julian Assange, che con WikiLeaks mise il naso negli arcani dei conflitti in Iraq e in Afghanistan.
Anniversario e buco nero
Auguriamoci che il quadro si dipani e non ci si incammini verso un buco nero. In verità l’Ucraina, prima ancora dell’aggressione russa, non si segnalava per particolari aperture sui media. Anzi, sembrava gareggiare proprio con Mosca per bavagli e repressione. Del resto, occupava il 101° posto nella classifica mondiale sul tasso di tutela dell’informazione. E non è lecito dimenticare la tragica uccisione nel 2014 ad opera dell’esercito (come recita la sentenza della magistratura) del fotoreporter Andrea Rocchelli, impegnato a documentare la guerra del Donbass.
La Farnesina (e qualche ministro) su Kiev
Giorgia Meloni non può rimanere silente davanti a quanto sta accadendo. Se ha a cuore, come talvolta afferma, il diritto fondamentale sancito dalla Costituzione deve prendere posizione. Alfredo Bosco, Andrea Sceresini e gli altri rischierebbero di non potere scrivere e produrre servizi per cinque anni, se la mannaia scendesse inesorabile.
Ecco perché il silenzio non è d’oro: è di piombo.
Xi presto in Russia, mentre la Cina chiede all’Onu indagini sul Nord Stream

Piero Orteca su Remocontro
Il leader cinese, Xi Jinping, farà un viaggio ufficiale a Mosca entro un paio di mesi per incontrarsi con Vladimir Putin. Col Presidente russo discuterà della crisi ucraina e gli esporrà i punti fondamentali di un piano di pace proposto da Pechino. L’annuncio della visita è stato dato “in diretta” dallo stesso Putin, durante un colloquio col Ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, che gli ha anticipato i contenuti dell’ipotesi di accordo.
Cina-Russia ora più che mai. Il piano di pace cinese segreto. Geopolitica d’assalto educata nella forma. Preoccupazioni occidentali crescono
Nord Stream, lo scheletro nell’armadio americano
Xi Jinping presto a Mosca. A smentire le voci, che si rincorrevano in Occidente, su un possibile ‘riposizionamento’ diplomatico di Pechino, anche una notizia dal Palazzo di Vetro Onu in casa America, tanto clamorosa quanto significativa. L’ambasciatore cinese alle Nazioni Unite, Zhang Jun, ha chiesto ufficialmente al Consiglio di sicurezza di aprire un’indagine sull’attentato ai gasdotti Nord Stream. Zhang, riporta il South Chins Motning Post, ha detto che bisogna scoprire i colpevoli di un atto che, per la sua gravità, è stato compiuto sicuramente «a livello governativo». Una precedente richiesta, di istituire una commissione internazionale, avanzata dalla Russia, era stata bocciata. Ora, però, anche la Cina si è messa sul piede di guerra, specie dopo la pubblicazione del report di Seymour Hersh (Premio Pulitzer), che accusa dell’operazione gli Stati Uniti, con grande dovizia di particolari.
Cina-Russia ora più che mai
Tornando all’incontro con Wang Yi, il Presidente russo ha voluto sottolineare come la cooperazione tra i due Paesi «sia molto importante per la stabilità internazionale».Wang gli ha risposto, dicendo che le relazioni tra Pechino e Mosca «hanno resistito alle pressioni di altri Stati». Il riferimento, naturalmente, è alla posizione assunta dalla Cina sulla guerra in Ucraina. Xi non solo si è rifiutato di condannare apertamente l’invasione perpetrata dalla Russia, ma ha anche continuato a rifornirla di prodotti e risorse di ogni tipo, in cambio di carburante e materie prime. Tutto questo aggirando le sanzioni occidentali. Insomma, secondo gli analisti della Cia e quelli del Consiglio per la sicurezza nazionale Usa, è stato proprio il partenariato strategico con Pechino uno dei motivi che hanno consentito a Putin di superare, senza troppi danni, le restrizioni impostegli per la sua aggressione. Il resto lo hanno fatto il contenzioso, già aperto da decenni, tra Cina e Stati Uniti, sulla agognata ‘riunificazione’ con Taiwan; e lo scontro titanico per la supremazia economica nel pianeta.
Il piano di pace cinese segreto e invisibile
I punti salienti del piano di pace proposto da Xi Jinping ancora non sono conosciuti. E forse si tratta di un vero e proprio ‘work in progress’. Si parla solo di ‘un approccio multilaterale’ (in contrasto, col ruolo finora predominante dell’America) e di un controllo rigoroso e assoluto del confronto armato, per evitare una escalation di tipo nucleare. Proprio martedì, Putin ha annunciato la ‘sospensione’ del New Start, l’ultimo importante accordo ancora in vigore sulle armi nucleari. Sospensione e non rottura. Precisazione successiva, «Mosca continuerà a rispettare i limiti sui missili atomici». Fondamentale dovrebbe essere, poi, il richiamo, presente nel documento, «al rispetto dell’integrità territoriale», anche se, in questo caso, dovrà esserne valutato l’esatto significato. E comprendere se, per esempio, questo concetto abbracci o meno lo status attuale della Crimea.
Geopolitica d’assalto educata nella forma
Comunque sia, non è che in Europa e in Usa si nutrano grandi speranze sulle capacità di mediare dei cinesi. Si sperava che la minaccia di essere progressivamente sanzionati, potesse spingere i leader del colosso asiatico almeno verso una posizione di rigorosa neutralità. Invece, i rapporti tra Mosca e Pechino si sono stretti sempre di più, al di là delle illusioni coltivate da una parte della stampa occidentale. In realtà, i cinesi hanno una geopolitica d’assalto nella sostanza, ma molto cauta nella forma. Stanno molto attenti, specie con i Paesi non allineati, a non dare l’impressione di ‘egemonismo’, cosa di cui invece è facile accusare gli americani. Nei fatti, sono decisamente legati alla Russia che, in questo momento, è la loro sponda più utile.
Putin, nel suo colloquio con Wang di ieri, ha detto che, molto presto, l’interscambio commerciale con i cinesi toccherà i 200 miliardi di dollari.
Preoccupazioni occidentali crescono
Nel frattempo, nelle segrete stanze della diplomazia occidentale, le preoccupazioni vanno aumentando, mano a mano che i rapporti tra Cina e Stati Uniti si deteriorano. Secondo il Wall Street Journal, «Pechino non ha mai condannato l’invasione russa e rimane il partner internazionale più affidabile di Mosca. La Cina ha venduto alla Russia microchip e altre apparecchiature tecnologiche avanzate, che possono essere utilizzate per fabbricare armi. Mentre i funzionari americani affermano che i cinesi, fino ad ora, non hanno venduto armi letali, adesso temono che ciò possa accadere in ogni momento».
Certo, se ogni occasione di attrito con la Cina, per Biden diventa un’opportunità per prenderla di petto, allora state sicuri che Mosca e Pechino andranno a braccetto ancora per un sacco di tempo.
Smesso l’abito brillante del “turista per caso”, Massimo Marnetto riprende l’abito consueto di militante civico per contestare a buon diritto il ministro dell’istruzione Valditara e la sua vergognosa censura della Dirigente Savino.

Ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara,
Le scrivo per manifestare il mio profondo dissenso verso la sua reazione di censura nei confronti della Dirigente Savino, colpevole di aver richiamato l’attenzione dei suoi studenti sulla silente apologia del fascismo, insita nell’indifferenza di fronte alla violenza politica. Ministro, lei ha commesso un errore grave, ponendo il prestigio della sua carica contro la lettera educativa della Preside Savino. Intervento invece del tutto necessario ad indirizzare i giovani verso il ripudio della violenza soprattutto nella scuola, dove si apprende il dominio degli impulsi, con l’acquisizione della cultura.
Ministro Valditara,
questa sua censura é aggravata dalla minaccia di ”misure” nei confronti della Preside, se altri episodi di ”propaganda” dovessero ripetersi. Di fronte a questa sua clamorosa sottovalutazione del riemergere della violenza estremista giovanile – che tante drammatiche lacerazioni ha provocato in passato – le chiedo di formulare in futuro esternazioni più meditate, degne di un Ministro della Repubblica nata dalla sconfitta del regime fascista, dove i pestaggi erano gli argomenti di chi bruciava i libri.
Con vigilanza democratica,
Massimo Marnetto – Roma
- La differenzaÈ infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
- ScendereMi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
- La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con IsraeleLa feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
- Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
- PazzoGuardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati. E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)