L’Italia più americana del resto d’Europa. Francia e Germania si smarcano da Usa e Nato: “Non saremo cobelligeranti”. Macron: “Ue sostenga Kiev, ma parli con Putin”. E oggi Michele Marsonet su remocontro è particolarmente severo.
«La recente proposta del segretario del PD, Enrico Letta, di bloccare totalmente la nostra importazione di gas russo ha destato sconcerto e preoccupazione. Innanzitutto nello stesso Partito Democratico, dove molti deputati e senatori si sono dichiarati contrari. E anche il segretario di Azione, Carlo Calenda, ha dichiarato che in casi come questi “ci vuole più serietà”».
Tra condanna e suicidio
“Fatta salva la necessaria condanna dell’invasione dell’Ucraina, continua Marsonet, occorre pure essere realisti e tenere conto delle conseguenze che il blocco comporterebbe per le industrie e le famiglie italiane. E’ chiaro che un’azione di quel tipo rischia di farci sprofondare in una crisi economica di proporzioni tragiche, proprio quando il Pil forniva timidi segnali di ripresa (peraltro già indicati in ribasso). E quando non si capisce ancora che fine farà il celebre Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), varato dalla UE prima che scoppiasse la crisi ucraina.
“L’offerta americana di inviare via mare in Europa delle quantità di gas liquido non risolve il problema per parecchi motivi. In primo luogo perché ha un costo assai maggiore del gas che importiamo dalla Russia, e poi perché non abbiamo abbastanza rigassificatori in grado di riportare il prodotto dallo stato liquido (GNL), utilizzato nel trasporto marittimo, a quello gassoso richiesto per il consumo. Altro segno, questo, delle gravi carenze italiane in tema di politica energetica.
La Germania e i conti in tasca
“Non è quindi un caso che il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, sia contrario alla richiesta americana di blocco totale delle importazioni dalla Russia, essendo la Germania la prima importatrice europea (l’Italia è seconda). In altri termini molti governi non vogliono causare nei loro Paesi una crisi economica da cui sarebbe molto difficile uscire. Si noti tra l’altro che la Confindustria tedesca e la Bundesbank sono perfettamente in sintonia con la posizione di Scholz. Secondo i loro calcoli, il blocco anzidetto porterebbe l’economia della Germania in recessione, causando una contrazione del Pil del 2%.
“Ma altrettanto drammatiche sarebbero le conseguenze in Italia, nonostante le affrettate dichiarazioni di Letta e lo strano invito del premier Mario Draghi a scegliere tra condizionatori e libertà, una frase che nessuno si attendeva da un uomo che ha una grande esperienza internazionale. Dulcis in fundo, pure il segretario al Tesoro Usa, Janet Allen, ha invitato gli europei ad essere prudenti poiché l’embargo danneggerebbe di più le nazioni della UE che non la Federazione Russa.
7 miliardi di dollari al mese
In una nota su Facebook, Ulderico Piernoli scrive del conto presentato da Zelensky intervenendo a una tavola rotonda dedicata agli aiuti all’Ucraina che si è tenuta nell’ambito delle riunioni del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale a Washington: 7 miliardi di dollari al mese per compensare i danni economici della guerra con la Russia, “E avremo bisogno di centinaia di miliardi di dollari per la ricostruzione”, ha aggiunto
Però – osserva Piernoli – nel secolo scorso mio stimato collega nella redazione del tg2 – non ho trovato un commento e tantomeno una notizia nei tg, tantomeno l’argomento è stato affrontato nei talk che ho visto. Perché?”
La risposta che mi sono dato è che probabilmente gli stessi media che ne parlano come di un conto presentato dal presidente ucraino diano per scontato che la richiesta vada attribuita a chi dietro di lui ha l’autorità per farlo. Zelensky è semplicemente consapevole che la sua autorità può essere solo quella di Biden e della NATO, almeno quanto sarebbe della Russia quella di un presidente consacrato da Putin al suo posto. Chi fa la guerra per procura scrive anche su dettatura. E Biden a Kiev può farlo addirittura di persona.
Ha ragione Caracciolo
Ha ragione il direttore di Limes, Lucio Caracciolo, quando dice che questa guerra potrà essere fermata soltanto con un compromesso tra Stati Uniti e Russia, Biden e Putin. Anche se la Cina potrebbe avere sulla Russia quell’influenza che un’Europa divisa non riesce ad avere sulla politica USA.
Un altro collega ed amico, Gilberto Squizzato, ci ricorda che le guerre “non sono solo eventi stupidi, folli, moralmente esecrabili che si possano impedire o fermare con appelli accorati alla pace. Non bastano a impedirle l’antimilitarismo e l’opzione non violenta, eticamente ineccepibili. Non basta a spiegarle la spregiudicata determinazione omicida e la cinica voglia di potenza di un singolo tiranno. A nulla vale esecrarne la ferocia con appassionati e accorati proclami irenici e non sarà esorcizzando la violenza che si potrà impedirle.
Una politica “alta”, previdente e preveggente
“Le guerre – scrive Squizzato – sono eruzioni, più o meno prevedibili su tempi brevi, di quel magma di tensioni sotterranee che è – ahinoi- l’intersezione delle vicende dei popoli”. …proclamare valori e principi serve a poco se non è al lavoro anche una politica “alta”, previdente e preveggente, capace di leggere i segni dei tempi, di decifrare sussulti impercettibili come i sismologi attenti alle minime vibrazioni del suolo.
“Ma pensiamo anche al disastro libico che la Francia ha scatenato, succube Berlusconi dei diktat di Sarkosy il bombardiere che ha scatenato un vespaio di sangue perdendo anche ogni egemonia sull’ Africa ex-francese del Sahel oggi contesa fra i jaidisti e i mercenari russi della Wagner.
La pace, o almeno la non-guerra, ha bisogno di intelligenze acute e sofisticate, quando la crosta sottile di un precario equilibrio si rompe e il magma incandescente fuoriesce dalle viscere della storia….
“Servono politici colti, preparati, competenti, portatori di conoscenze approfondite sulla cultura, sui valori dominanti, sulle dinamiche emozionali, sui sentimenti profondi degli “altri” per tentare se non il dialogo almeno la via dei compromessi, sempre instabili e temporanei. Virtù questa di cui si dimostra nel tempo ripetutamente priva la supponenza americana, incapace di capire l’anima vietnamita, afgana, irachena, come i servizi russi sono stati incapaci di prevedere la resistenza ucraina.
“La costruzione della non-guerra è impresa difficile
“Cosa serve infatti per poter trattare con un’altra nazione, un altro stato, e i suoi capi?…
A dispetto di chi per anni e anni ha denigrato la politica e l’ha voluta mettere ingenuamente e demagogicamente in mano – per riscattarla dalle infiltrazioni di furbissimi ladri e corruttori, spesso loro amici e conoscenti- a sciami di Masanielli vocianti e urlanti, a politici improvvisati, a baruffanti da talk show solo una politica onesta e competente puó tentare di aiutarci.
“È un lavoro nobilissimo, che richiede scienza altissima e coscienza e che non puó alimentarsi di ignoranza e approssimazione, né di slogan astratti e velleitari, per misurarsi con la complessità che è cento volte più complicata di quanto anche solo immaginiamo. Solo la politica più alta sarà capace di rimediare ai danni nefasti dei sovranismi alla Salvini e alla Meloni (prima nei sondaggi!) che vogliono screditare e corrodere da dentro le istituzioni sovranazionali che sono il solo luogo di contenimento e mediazione dei conflitti utili a scongiurare le guerre guerreggiate.
L’ONU da riformare
“Compresa quell’ONU, oggi paralizzata dal diritto di veto in Consiglio di Sicurezza dei 5 grandi, che con grande coraggio molti cercano di riformare proprio mentre dilaga la propaganda di chi vorrebbe dichiararne l’irrecuperabile fallimento.
“Se non sarà la politica a lavorare per un vero disarmo multilaterale progressivo e controllato chi ci salverà, in attesa che arrivi l “uomo nuovo, pacifico, non violento, disposto a offrire la propria guancia e perfino la propria vita per evitare i massacri della guerra?
No, non siamo in balia della stupidità e della cattiveria di pochi potenti, ma di potenti, immani sommovimenti sotterranei che agitano il ventre profondo della storia e contro cui possiamo resistere solo con i sensori di un’ intelligenza acutissima e con un ruolo pacificatore delle grandi istituzioni planetarie.
Perché non sono buddhista?
A predicare e praticare quella pace interiore dell’uomo che potrebbe favorire il cammino di quella esteriore tra i popoli è, tra le grandi religioni, certamente il buddismo. E anche il nostro filosofo Giovanni Lamagna si pone in uno dei suoi “frammenti di pensiero” la stessa domanda che si era posto Vito Mancuso ad un certo punto del suo interessantissimo libro “I quattro maestri” (Garzanti; 2020) – dedicato a Socrate, Buddha, Confucio e Gesù – “perché non sono buddhista?” E risponde: “La ragione principale per cui non mi sento buddhista è che tra le due categorie fondamentali nelle quali si dividono (a voler fare quella che è ovviamente una estrema e grossolana semplificazione) i vari pensatori che si sono susseguiti nella storia, quella dei “pessimisti” e quella degli “ottimisti”, Buddha si inserisce a pieno titolo nella prima.

Mentre io non mi riconosco né nell’una né nell’altra, mi situo tutto sommato a metà strada tra l’una e l’altra, forse un po’ più vicino ai secondi che ai primi; quindi abbastanza lontano dalla posizione nella quale, anche se in maniera molto rozza e schematica, possiamo collocare Buddha.
Pessimisti e ottimisti
Sono perfettamente consapevole, come ho già evidenziato in altre occasioni, che il pensiero di Buddha presenta alcune, anzi parecchie, ambiguità che ne giustificano (almeno in parte) letture diverse e persino opposte; le letture che ne danno, ad esempio, l’attuale Dalai Lama e Thich Nhat Hanh ne evidenziano il versante positivo ed ottimistico.
E, tuttavia, ci sono alcuni passaggi decisivi dell’insegnamento di colui che resta comunque un grande Maestro, che a me (come del resto a Mancuso, dal cui pensiero traggo conforto e conferma) sembrano inconfutabili, per identificarne il segno, l’anima, per me fondamentalmente negativi e pessimisti.
Dhammapada
Uno in modo particolare, tratto dal “Dhammapada” (153-154; pag. 51) e citato non a caso da Mancuso: “Per vite innumerevoli ho vagato cercando invano il costruttore della mia sofferenza. Ma ora ti ho trovato, costruttore di nulla da oggi in poi. Le tue assi sono state rimosse e spezzata la trave di colmo. Il desiderio è tutto spento; il mio cuore, unito all’increato.”
Qui Buddha afferma con molta chiarezza tre tesi fondamentali: 1) che la vita è principalmente sofferenza; 2) che la radice della sofferenza sta nel desiderio; 3) che, dunque, si supera la sofferenza nel momento in cui si spegne il desiderio. Con queste tre affermazioni il pensiero del Buddha si inserisce a pieno titolo tra i sistemi di pensiero “negativi”, nel senso di pessimistici, dell’Umanità.
La vita non è principalmente sofferenza
“La vita è anche sofferenza (e chi potrebbe negarlo?), ma non è solo, né principalmente sofferenza; la vita è (o almeno può essere) anche piaceri, gioie e, in certi momenti, addirittura felicità. In secondo luogo, non è vero che la radice della sofferenza sia il desiderio. Anzi, io penso che proprio l’assenza di desiderio, lo spegnimento di ogni desiderio, sia la ragione principale della sofferenza. Come può essere, infatti, definita la depressione in termini psichiatrici, se non come una malattia del desiderio? come lo spegnimento totale e radicale del desiderio, dei desideri?
Infine, il desiderio, anzi i desideri, sono il motore dell’esistenza. Senza desideri la nostra stessa energia vitale si spegnerebbe, andremmo incontro alla morte, altro che alla fine delle sofferenze! Che vita sarebbe, infatti, una vita senza desideri?Sarebbe una vita già morta prima del tempo; che è forse quello che perseguiva il Buddha (per unirsi all’increato, diventare in altre parole materia inerte); ma non è certo quello che auspico e perseguo io.
La legge del limite
Altra cosa è sostenere che anche il desiderio, quando non è contenuto, quando è senza limiti, quando diventa spasmodico e ossessivo, quando è aspirazione al godimento infinito, può essere causa di sofferenza e, persino, di morte: su questo sono (anche sulla base della lezione di Lacan) pienamente d’accordo. Ma una cosa è affermare “il Desiderio deve presupporre la Legge”, la legge del limite, anche nell’interesse del desiderio stesso e della sua migliore soddisfazione (come sostiene, appunto, Lacan), altra cosa è affermare, come purtroppo fa il Buddha (e come del resto fanno anche molte esperienze ascetiche di altre religioni, comprese quelle occidentali), che il desiderio (ogni desiderio) va represso, anzi spento alla radice.
Due pratiche di vita opposte
Da queste due affermazioni derivano due scuole di pensiero e, soprattutto, discendono due pratiche di vita completamente diverse, anzi opposte. La prima punta, come dice Mancuso, non al compimento dell’umanità, ma al suo superamento, anche quando l’umanità fosse buona. La seconda si propone di realizzare al massimo le potenzialità insite in ogni essere umano, attraverso la incarnazione dei tre massimi valori di cui l’uomo è capace: il vero, il bello e il buono; lungi dal voler superare l’umanità, la vuole anzi espandere, sviluppare ai suoi massimi livelli.
Io mi riconosco senza ombra di dubbio nella seconda scuola di pensiero e pratica di vita. Per questo non mi sento e non posso sentirmi buddhista. Nonostante ne condivida molti aspetti del pensiero e della concezione filosofica che lo caratterizza.
- La differenzaÈ infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
- ScendereMi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
- La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con IsraeleLa feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
- Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
- PazzoGuardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati. E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)