Siamo in molti a notare come in questa breve campagna elettorale si sia parlato ben poco della guerra in Ucraina e del ruolo che potrebbero avere Italia ed Unione europea nel tentativo di giungere ad una soluzione del conflitto nel più breve tempo possibile. È vero che da sinistra si continua a invitare l’Europa a prendere l’iniziativa, magari affidandosi all’esperienza dell’ex cancelliera Merkel come propone qualcuno, ma senza crederci troppo, nella consapevolezza che chi, con l’invio delle armi, è co-belligerante di fatto non possa accreditarsi anche per il ruolo di mediatore. D’altronde, l’auspicata autonomia dell’ Unione Europea dalla Nato mi pare piuttosto teorica, quella dell’Italia dagli Stati Uniti ancora di piú.
Dopo il discorso con cui il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato l’uso di tutti i mezzi necessari e una mobilitazione parziale che prevede il richiamo di 300.000 riservisti, la Cina ha rinnovato l’invito alle parti coinvolte nella crisi in Ucraina per un cessate il fuoco e a impegnarsi con il dialogo e le consultazioni al fine di una risoluzione pacifica. Dobbiamo “trovare un modo per affrontare le preoccupazioni sulla sicurezza di tutte le parti” ha detto il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin. Impresa difficile fintanto che queste ultime, ciascuna con i propri alleati, continuano a puntare soltanto alla propria e alla sconfitta dell’avversario. E anche se l’attacco “preventivo” è stato più volte giustificato dai governi degli Stati Uniti, non c’è dubbio che in questo caso a praticarlo violando il diritto internazionale è stata la Russia di Putin.
Putin: «Mobilitazione militare parziale, l’Occidente vuole distruggerci»
da Remocontro
Donbass al voto come in Crimea: creare nuovi pezzi di Russia per una guerra patriottica.
Putin spinge la guerra verso una nuova fase: in un atteso discorso televisivo, ha annunciato una «mobilitazione militare parziale» nel Paese, necessaria perché l’Occidente vuole «indebolire, dividere e distruggere la Russia». Intanto i governatori di quattro province ucraine occupate indicono il referendum per andare con Mosca.
‘L’obiettivo dell’Occidente è distruggerci’

Putin ha dichiarato una mobilitazione parziale in Russia, con il richiamo dei militari della riserva. «Nella sua aggressiva politica anti-russa, l’Occidente ha superato ogni limite», ha detto Vladimir Putin nel suo discorso in tv.
Il ricatto nucleare dopo le dichiarazioni di Biden
«Coloro che stanno cercando di usare il ricatto nucleare contro la Russia scopriranno che le carte in tavola possono essere rivoltate contro di loro». «Non sto bluffando», ha aggiunto.
Tradizione storica russa
«È nostra tradizione storica e destino del nostro popolo fermare coloro che cercano il dominio mondiale, che minacciano di smembrare e rendere schiava la madrepatria. È quello che stiamo facendo ora, e credo nel vostro sostegno», la conclusione di Putin nel suo discorso alla nazione.
300mila riservisti, basta soldati di leva
La mobilitazione parziale in Russia prevede il richiamo di 300.000 riservisti. Si tratterà di uomini che hanno già servito nell’esercito, con esperienza di combattimento e specializzazioni militari. Sono esclusi i militari di leva. Lo ha detto il ministro della Difesa Serghei Shoigu, citato dalla Tass, aggiungendo che scopo della mobilitazione è “controllare i territori liberati” in Ucraina. L’annuncio di Putin segna un cambio di marcia militare della Russia e quella ordinata ora è la prima mobilitazione militare russa dalla Seconda guerra mondiale.
Difficile situazione sul campo
Il decreto di mobilitazione militare parziale e i richiami alla armi partono da oggi. Il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, parlando in tv subito dopo Putin, ha definito «difficili», le condizioni sul campo: «Non stiamo combattendo contro l’Ucraina, ma contro l’Occidente». Il Donbass — ha annunciato poi il presidente russo, «è ormai parzialmente liberato»: ma occorre un nuovo passo, e per questo «i territori dell’Ucraina che hanno annunciato il referendum per l’adesione alla Russia hanno il sostegno» di Mosca.
I Referendum nel Donbass
I governatori di quattro province ucraine occupate, le province di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia, hanno indetto un referendum per essere integrate nella Federazione russa, così com’era accaduto in Crimea nel 2014. I referendum si terranno tra il 23 e il 27 settembre. Se il voto andrà come largamente atteso, queste aree, che corrispondono a circa il 15 per cento del territorio ucraino – un’area vasta quanto il Portogallo, sottolinea qualcuno – diventerebbero, nell’ottica di Mosca, territorio russo, e dunque ogni attacco ucraino contro queste aree sarebbe considerato un attacco diretto contro il territorio di Mosca.
Il No occidentale tra molte preoccupazioni
L’Occidente ha già chiarito che non intende riconoscere il risultato di questi referendum. No espliciti al riconoscimento, dal Dipartimento di Stato americano, col seguito scontato del Segretario generale della Nato, Stoltenberg. A ruota il ministero degli Esteri britannico che ha definito la dichiarazione di Putin una «preoccupante escalation», sostenendo che «le minacce del presidente russo vanno prese seriamente».
Ucraina onerosa
L’annessione del Donbas e delle altre due oblast’ creerebbe continuità territoriale tra la penisola di Crimea e la Russia nei suoi confini internazionalmente riconosciuti, ma soprattutto metterebbe l’Occidente di fronte a un bivio: accettare il fatto compiuto o continuare ad armare l’Ucraina per aiutarla a riconquistare territori che ormai Mosca dichiarebbe russi.
Escalation o ipotesi di intesa?
«Le prossime ore saranno indispensabili per capire se il ricorso al referendum, e quindi la concreta minaccia di integrare altre terre ucraine e il rischio di una escalation sul piano militare, facciano parte di un tentativo più ampio, ancorché confuso, di fissare i cardini di una possibile intesa», rileva Luigi De Biase sul Manifesto. Con il solo presidente turco Erdogan che tra le forze Nato sembra in grado di tenere contatti e forse mediare tra Kiev e Mosca oltre le parole grosse che da Washington inseguono quelle del Cremlino.
Auto-sanzione

di Massimo Marnetto
La più devastante sanzione per Putin è quella che si è imposto da solo: mandare al fronte 300 mila riservisti, togliendo figli e mariti al popolo delle campagne nelle regioni più remote, non ai ricchi che hanno i loro rampolli all’università e per questo sono esentati. Putin nel suo discorso ha parlato di attacco dell’Occidente e del nazismo ucraino, pur di sollecitare un’opinione pubblica sempre più distante e ostile nelle piazze, che neanche censura e repressione riescono più a nascondere.
Allora è anche per solidarietà con questi dissidenti urbani e con i contadini della periferia più povera dell’impero, destinati a diventare carne da cannone, che dobbiamo avviare una trattativa di pace.
Adesso Putin è debole sul campo e in patria. La condizione migliore per offrirgli una tregua di riflessione. Ma deve muoversi l’Europa perché gli Usa sono bloccati con la Cina (Taiwan). E bisogna andare a Mosca, stringere mani insanguinate e resistere al puzzo di ipocrisia che emana il Cremlino. La pace con persone sporche è sempre un’azione pulita.
Dimensione ontologica e dimensione esistenziale della libertà.

Io – al contrario di Sartre – credo che nessun uomo sia ontologicamente libero e, quindi, realmente responsabile delle sue azioni.
Credo, infatti, che ogni uomo – detto in maniera molto banale – faccia quello che può, date le circostanze e le condizioni (storiche, ambientali, familiari, di costituzione fisica e psicologica…) nelle quali gli è dato di agire.
Le azioni umane sono ciascuna anelli di una catena infinita, legati indissolubilmente l’uno agli altri. Le azioni di ogni singolo uomo sono dunque l’effetto di cause e fattori che lo hanno preceduto e, a loro volta, saranno cause e fattori di altre azioni di altri uomini che lo seguiranno. Nessun uomo, dunque, può dirsi, né tantomeno è, autore di sé stesso, come riteneva invece Sartre; almeno il primo Sartre. Ma ogni uomo è ciò che altri (soprattutto i suoi genitori e l’ambiente in cui è nato e cresciuto) hanno fatto di lui; come ad un certo punto ha riconosciuto lo stesso Sartre, il secondo Sartre.
E, tuttavia, all’uomo tocca agire (ed in questo sono d’accordo con Sartre) come se egli fosse del tutto libero e, quindi pienamente responsabile sul piano etico delle sue azioni. È questo uno dei grandi paradossi della vita umana!
Al filosofo tocca dire, dunque, che l’uomo ontologicamente, oggettivamente, non è libero, ma esistenzialmente (potremmo anche dire fenomenicamente, soggettivamente) lo è.Infatti, come una volta ebbe a dire Stephen Hawking, se devo attraversare la strada, mi tocca guardare a destra e a sinistra, per garantirmi di non essere investito da qualche autoveicolo in arrivo.
Non posso certo cavarmela affermando che tanto, sul piano ontologico è già tutto deciso e che il fatto di essere investito o meno non dipende da un mio comportamento o da mie scelte, ma dal destino che incombe su di me. Potremmo semmai dire che da qualche parte il nostro destino è già scritto, ma che, finché non lo vedremo del tutto scritto, ci toccherà impegnarci a scriverlo come se ne fossimo davvero noi gli autori.