Reader’s – 22 ottobre 2022 rassegna web

Ministri vecchi e nuovi, noti e meno noti. Nessuno che io veda di grande valore per il suo passato professionale o politico. Ma questa, ammettiamolo pure, non è una novità. È invece una novità apprezzabile che a presiederlo sia una donna, anche se paradossalmente alla guida di un partito tradizionalista e antifemminista.

D’altronde, grazie ripetiamolo anche al demerito della sinistra, questo è il primo governo di estrema destra da Mussolini in poi. E perché risultasse più chiaro la nuova presidente del Consiglio ha provveduto ad applicare alla denominazione di alcuni ministeri qualche segnale di identità culturale, più o meno appropriato.

Appropriato ad esempio quello della “sovranità alimentare” aggiunto al ministero dell’agricoltura. L’invadenza e il peso delle grandi multinazionali in questo settore è sotto gli occhi di tutti. E la collega Tiziana Boari lo ha ricordato “a tutti quelli che si stanno facendo beffe della “sovranita’ alimentare” precisando che “il concetto nasce come concetto contadino di riappropriazione del diritto all’accesso alimentare…Ne parlano le maggiori organizzazioni internazionali”. “Chiedetelo a Carlin Petrini o ad Antonio Onorati di cosa sto parlando, ha aggiunto. Non e’ che perche’ fatto proprio dal nuovo governo Meloni il concetto perde il suo valore e significato”.

Condannabile invece è la presenza di un lampante conflitto d’interesse, al quale pare che il Capo dello Stato non abbia dedicato la stessa attenzione prestata alla presenza del ministro Savona nel governo giallo verde. Tanto più grave perché si tratta del nuovo ministro della Difesa Guido Crosetto nel bel mezzo di una guerra in Europa a cui anche l’Italia partecipa con l’invio di armi ad uno dei belligeranti.

Crosetto, ex democristiano era già stato sottosegretario alla Difesa nel quarto governo Berlusconi, quando il ministro era Ignazio La Russa, oggi presidente del Senato. Ma nel 2020 è stato nominato Presidente Aiad (Aziende progetti&produzione militare), ramo industriale della Confindustria “che mantiene – come ha subito twittato Fabrizio Barca – rapporti con istituzioni in ambito NATO per promuovere, rappresentare e garantire gli interessi dell’industria che essa rappresenta” (nandocan)


L’armata BrancaMeloni

di Massimo Marnetto

Meloni è Premier. Salvini deve recuperare la fiducia dei suoi dopo il flop elettorale. B. si è auto-interdetto dichiarando che dice quello che non pensa. La situazione al vertice del nuovo Governo non è delle migliori. Ma quello che colpisce è la pochezza della sua compagine. Che tranne rare eccezioni è formata da vecchi arnesi di passate (ingloriose) legislature. Purtroppo per l’Italia, questa Armata BrancaMeloni ha di fronte una situazione complicatissima, sia interna che internazionale. 

E non può certo contare sulla coesione del suo Gabinetto, visto lo sguardo complice che i due leader alleati si sono scambiati mentre la Meloni parlava al Quirinale. Anzi, la sensazione è che al primo problema serio, inizieranno ad allargarsi le crepe sapientemente stuccate in campagna elettorale, aggravate dal risentimento di genere dei due maschi ”vice”. Che pretenderanno di archiviare l’anomalia di una donna al comando e ripristinare l’ordine ”naturale” del potere maschile.


Il potere mafioso è sempre più un potere economico

Piero Innocenti su “Libera Informazione”

Traffico di stupefacenti, armi, esseri umani, rifiuti tossici, la tratta di donne e minori, il contrabbando di auto, il gioco d’azzardo, l’estorsione e l’usura, le truffe, il riciclaggio di denaro sporco. Queste, in sintesi, le attività illecite che hanno fatto del crimine organizzato in generale la prima industria mondiale, con fatturati iperbolici.

Organizzazioni criminali in continua mutazione, spesso capaci di mimetizzarsi, comunque pronte a cambiare, sempre nel quadro di una sostanziale continuità con se stesse, quando dal localismo territoriale convenga passare a dimensioni globali e reticolari, formando un possente fronte aperto a pezzi della classe dirigente “legale”.

“Richiesta di mafia”

Se le mafie sono così forti da riuscire, anche dopo aver subito duri colpi (sul punto si veda l’ultima relazione della DIA presentata in Parlamento alcune settimane fa), a riapparire ciclicamente – o inabissarsi e risalire – è anche perché c’è quella che lo storico Salvatore Lupo indicava una ventina di anni fa (in Questione Giustizia, n.3/2002) come “richiesta di mafia” proveniente non solo da contesti della società civile, dell’imprenditoria e della politica italiane, ma anche dal sistema finanziario ed economico internazionale e di certi poteri costituiti.

Anche per questo lottare seriamente contro la mafia finisce spesso per essere controcorrente. Si continua a subire quel grave limite culturale che consiste nel percepire la mafia come un problema essenzialmente di ordine pubblico, cogliendone la pericolosità soltanto in situazioni di emergenza quando la mafia mette in atto strategie sanguinarie, trascurando i rischi della convivenza con la mafia quando essa adotta linee “attendiste”.

Una strategia meno sanguinaria ma più insidiosa

Una strategia meno sanguinaria ma più insidiosa perché l’invisibilità della mafia favorisce l’affievolirsi dell’attenzione anche in conseguenza del calo statistico dei fatti di sangue. La mafia cerca di mascherare il suo volto più feroce per recuperare e sviluppare spazi di intervento, affinando e rafforzando i meccanismi di accumulazione di capitale illecito per poi proporsi come soggetto capace di controllare l’economia e di esercitare una funzione di (apparente) sviluppo anche integrando o sostituendo le funzioni pubbliche.

Il potere criminale, ormai sempre più potere economico, ha profondamente trasformato il mercato e la concorrenza riducendoli a simulacri. Il sistema illegale, in effetti, gode di vantaggi enormi (per esempio capitali a costo zero, prezzi più bassi, non essendo il profitto l’obiettivo immediato, possibilità di avere costi unitari nettamente inferiori, la corruzione e la violenza intimidatrice), vantaggi che spiazzano ogni concorrente “pulito” fino ad espellerlo dal mercato.

Il riciclaggio, poi, porta ad investire ovunque vi sia ricchezza e flusso di denaro (anche in questo la DIA, nelle sue relazioni semestrali presentate in Parlamento, offre un panorama sconcertante sia a livello nazionale che europeo), fa si che non esistano zone franche rispetto alla minaccia di penetrazione mafiosa.

Libero mercato e concorrenza scatole vuote

Così, il libero mercato e la leale competizione economica diventano o rischiano di diventare , ovunque, scatole sempre più vuote. Lo specifico mafioso, come noto, consiste essenzialmente in organizzazione, complicità e connivenze.. Ma ci sono anche le ambiguità, gli ammiccamenti, le sottovalutazioni, i ritardi e le superficialità: altrettanti regali fatti alle mafie, in buona fede o per timidezza per ignavia o viltà, o anche solo per miopia. Il lusso di continuare a fare “regali” non possiamo proprio più concedercelo.


Non solo Iraq e Afghanistan: i più grandi scoop di WikiLeaks in Africa

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Cornelia I. Toelgyes su “Left”

Il giornalista australiano Julian Assange e la sua organizzazione ce le hanno fornite. Rivelazioni che hanno innescato la furia delle autorità statunitensi. Ma in realtà nessun governo al mondo ama Assange e la sua creatura WikiLeaks, la piattaforma al servizio dei whistleblower fondata nel 2006. Tra queste rivelazioni, alcune hanno riguardato in particolare il Continente africano.

Sulla corruzione in Kenia il suo primo grande scoop

Nell’agosto 2007 il Kenya ha aiutato WikiLeaks a realizzare il suo primo grande scoop. Riguardava Daniel Toroitich arap Moi, presidente del Kenya dal 1978 al 2002. A incriminare il politico keniota è stato un dettagliato rapporto redatto dalla società britannica di investigazioni aziendali Kroll & Associates e destinato a John Githongo, giornalista keniota, al quale Mwai Kibaki, successore di Moi, aveva affidato il compito di investigare sulla corruzione nel Paese.

Nel report era evidenziato come l’ex presidente e almeno due dei suoi figli si erano appropriati di centinaia di milioni di dollari appartenenti al governo al fine di trasferirli all’estero. Quel denaro sarebbe poi stati investito nell’acquisto di una banca in Belgio, di un ranch in Australia e di immobili costosi in varie città del mondo, tra cui New York e Londra.

Il rapporto non è mai stato reso pubblico in Kenya. Assange aveva poi consegnato il fascicolo al Guardian, che, il 31 agosto 2007, aveva pubblicato la squallida storia, ripresa poi dai media di tutto il mondo. Si ritiene che il documento sia stato inviato ad Assange da un alto funzionario governativo keniota contrariato dall’incapacità di Kibaki di affrontare la corruzione e, alla fine, dalla sua alleanza con Moi.

Il rapporto aveva scatenato un putiferio in Kenya e messo in luce l’impunità della quale godono i funzionari che svuotano le casse dello Stato. Ironia della sorte, poco dopo l’avvio dell’indagine Kroll, l’amministrazione di Kibaki è stata scossa da una propria truffa multimilionaria che prevedeva l’assegnazione di contratti governativi a imprese fasulle.

Sfruttamento delle miniere da parte di società occidentali e cinesi

Vale la pena ricordare anche lo scandalo dello sfruttamento delle miniere da parte di società occidentali e cinesi, pubblicato su WikiLeaks. Il gruppo Areva, multinazionale francese specializzata in energia nucleare ed energie rinnovabili (ora ha cambiato nome in Orano) è stato messo sul banco degli imputati da WikiLeaks nel febbraio 2016.

I cablo pubblicati da Assange hanno raccontato una guerra multimilionaria, costellata di corruzione, tra aziende occidentali e cinesi per accaparrarsi l’uranio e altri diritti minerari in Repubblica Centrafricana. WikiLeaks ha spiegato come gli attori del conflitto avessero cercato di evitare i costi di bonifica dei territori. Tra le centinaia di pagine di questa pubblicazione ci sono mappe dettagliate di diritti e contratti minerari, tangenti e rapporti investigativi segreti.

Dopo un proficuo sfruttamento delle risorse, aziende come Areva hanno abbandonato il Paese, lasciando dietro di sé casi di contaminazione nucleare senza aver avviato nessuno degli investimenti di bonifica promessi.

Il giornalismo africano ha certamente goduto delle rivelazioni fatte da Assange e i suoi collaboratori. Purtroppo molti giornalisti che hanno tentato di portare alla luce i soprusi dei loro governi, sono stati perseguitati, messi a tacere.


  • Mai tanti morti tra i civili, donne e bambini, come a Gaza
    …e nel Tg1 delle 13 le aperture su Gaza, con poco rispetto dell’attualità, riguardavano ancora oggi le malefatte e le minacce di Hamas e soltanto dopo cronaca e immagini di stragi e macerie procurate dall’invasione israeliana. Ma l’esodo forzato dei palestinesi inseguiti dai carri armati israeliani verso l’Egitto non può che riportare alla mente quello negli stessi luoghi degli ebrei inseguiti dai carri del Faraone. Forse Israele non riuscirà a distruggere Hamas, ma è già riuscito a distruggere Gaza. (nandocan)
  • COP 28 a Dubai
    ”Il petrolio non è responsabile dei danni all’ambiente”. “Ci vuole più atomo per salvare il pianeta”. Con questi due clamorosi proclami si chiude la COP 28, a Dubaii. Un mastodontico summit che – invece di entrare nel merito dell’abbattimento delle emissioni di CO2 – ha lanciato una sorta di ”negazionismo camuffato”. Quel pensiero che non rigetta il problema (surriscaldamento), di cui anzi si mostra preoccupato; ma ne elude la soluzione agendo sulla negazione delle cause (combustione fossili) e alterazione dei rimedi (nucleare), per evitare cambiamenti radicali (drastica riduzione dell’energia da fonti fossili).
  • A che punto è la notte
    Come sentinelle abitiamo la notte di quest’epoca. Sapendo che la notte non è per sempre e l’alba arriverà. E sapendo, soprattutto, di non sapere quando arriverà.
  • Crosetto o scherzetto?
    Per il Ministro Crosetto, Halloween continua e così si diverte con uno scherzetto alla magistratura. La tecnica è quella solita della destra: scegliere di colpire i giudici a freddo; evocare come reale una presunta attività eversiva delle toghe con la formula‘’mi dicono che’’ senza citare fonti e fatti.
  • BBC mostra i resti di Gaza, li studia e li analizza, ed è racconto dell’orrore
    Quasi 100 mila edifici distrutti o danneggiati in tutta la Striscia di Gaza (la maggior parte nel Nord) dall’inizio dei bombardamenti israeliani. Questa, la tragica e scioccante contabilità, che emerge dal dettagliato report satellitare commissionato dalla BBC. Mentre le condizioni umanitarie fanno temere una seconda strage con devastanti epidemie.
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