Reader’s – 22 giugno 2022

Cinquestelle. Scissione o “vertenza sindacale”?

I lettori di “nandocan” si saranno accorti da tempo che il nostro Massimo Marnetto può annoverarsi tra i più convinti seguaci del verbo andreottiano, secondo cui “a pensar male si fa peccato ma molto spesso ci si indovina” (nandocan)

Quella che nei 5 Stelle sembra una scissione, in realtà è una vertenza sindacale. Molti eletti stanno difendendo il loro posto di lavoro dalla tagliola del divieto grillino di superare i due mandati. Problema che si acuirà con la riduzione dei parlamentari nella prossima legislatura.

Gli scissionisti si battono anche contro la riduzione della loro busta paga, che il M5S alleggeriva imponendo un congruo versamento. Ora, finalmente fuoriusciti verso Insieme per il Futuro, i ribelli si sentono come Berrettini dopo aver ottenuto la cittadinanza monegasca: felici per poter avere tutti i soldi per sé.

Se si guarda oltre i fondali di cartapesta innalzati da Di Maio – dove campeggiano riferimenti roboanti su Atlantismo, Europa, ecc. – si intravede la preoccupazione di tanti peones abbandonati dal Garante al loro destino, che tengono famiglia e pensano al mutuo. Tutti stretti ora ad applaudire Di Maio – il nuovo leader che ha scoperto la visione e la moderazione – ma con la segreta speranza di ottenere da lui una sola cosa: la rielezione. (Massimo Marnetto).

Israele in crisi permanente, alle urne per la quinta volta in tre anni (da Remocontro)

Si spegne la coalizione di destra, centro e sinistra, più il partito arabo Raam, che un anno fa aveva posto termine al lungo regno politico di Benyamin Netanyahu. Ora l’ex premier sogna un clamoroso ritorno al potere mentre nel Paese monta la rabbia palestinese e trovano sempre più spazio gli estremismi ebraici.

Dimissioni in diretta tv

«I due architetti della coalizione di governo, messa insieme appena un anno fa, il primo ministro Naftali Bennett e il ministro degli esteri Yair Lapid, rivolgendosi ieri sera al paese in diretta tv, hanno spiegato di aver ‘esaurito’ tutti gli sforzi per tenere insieme l’esecutivo di fronte alle continue ribellioni di deputati della fragile maggioranza formata da otto partiti di centro, centrosinistra, destra e l’islamista Raam».
Bennet lascia l’incarico e sarà Lapid –spiega Michele Giorgio sul Manifesto-, ad assumere l’interim come primo ministro dopo lo scioglimento del parlamento, premier fino alla formazione del nuovo governo dopo le elezioni.
Sarà perciò Lapid a ricever il presidente Usa Joe Biden che, ieri sera, ha confermato, nonostante la crisi di governo in Israele, il suo viaggio in Medio oriente a metà del prossimo mese.

Netanyahu. A volte ritornano

La fine del governo Bennett potrebbe aprire la strada a un clamoroso ritorno al comando proprio all’ex primo ministro e leader della destra e del partito Likud. «Questo governo fallimentare è arrivato al capolinea», ha commentato Netanyahu promettendo che insieme ai suoi alleati formerà «un governo allargato guidato dal Likud che ridurrà le tasse, condurrà Israele verso successi enormi, inclusa l’estensione dell’area della pace».
Gli analisti però dubitano che Netanyahu sia in grado di mettere insieme una maggioranza di almeno 61 deputati su 120. La destra in Israele è maggioritaria ma è spaccata proprio sul nome di Netanyahu, «personaggio politico divisivo che è rimasto vittima di rivalità e scontri personali che egli stesso ha alimentato per anni al punto da perdere alcuni alleati decisivi per la formazione di una coalizione di destra».

Autunno pericoloso

I giornali israeliani hanno già indicato una possibile data per le elezioni, le quinte in poco meno di quattro anni. Haaretz scrive del 25 ottobre, altri guardano all’inizio novembre in quasi contemporanea con quelle americane di Medio termine.

L’eterna irrisolta questione palestinese

Governo composito e travagliato. Decisivo per la crisi il voto su una legge che viene rinnovata ogni cinque anni e che estende un grosso pezzo della legislazione israeliana sulle colonie in Cisgiordania. Una misura che cerca di legittimare l’occupazione israeliana in Cisgiordania, condannata regolarmente da gran parte della comunità internazionale.
Haaretz scrive che Bennett, capito che non avrebbe avuto una maggioranza necessaria per approvare la legge, ha deciso le dimissioni per non farsele imporre da Benjamin Netanyahu. E proprio Netanyahu, tuttora sotto processo per truffa e corruzione, sarà al centro di una certo feroce campagna elettorale. «Il governo Bennett era tenuto insieme più dall’ostilità nei confronti di Netanyahu che da altri elementi», aveva fatto notare il New Yorker.

Politica ‘fluida’, confusa e pasticciata

La politica israeliana è da anni molto fluida e frammentata, con partiti e leader che fanno e disfano coalizioni e guadagnano e perdono moltissimi elettori in brevi lassi di tempo, rileva il Post. Diversi commentatori ritengono che le tensioni politiche riflettano un periodo molto agitato per la società israeliana dal punto di vista sociale ed economico, più della questione palestinese o delle tensioni internazionali attorno.
La ‘fluidità del quadro politico’ è testimoniata dallo stesso Bennett che ha cambiato partito tre volte negli ultimi quattro anni. Ma forse adesso si arrende. Anshel Pfeffer, commentatore di Haaretz e corrispondente dell’Economist da Israele, ha scritto che ci si aspetta che Bennett si «prenda una pausa dalla politica».

Intanto la questione palestinese sembra lontanissima da una soluzione equa o almeno dignitosa, mentre durante i primi mesi della pandemia ci sono state enorme manifestazioni contro le diseguaglianze generate dal sistema economico israeliano anche per la popolazione ebraica.

L’ultra destra israeliana

Quasi certo vincitore anche della prossime elezioni il Likud che sotto la guida di Netanyahu è diventato un formazione radicale e anti-palestinese. «E quello che potrebbe uscire dalle prossime elezioni -scrive Ugo Tramballi sulle Slow News del Sole24Ore-, è l’esecutivo più di destra della storia contemporanea d’Israele. Per raggiungere i numeri necessari potrebbero essere cooptati deputati come Bezelel Smotrich e Itamar Ben- Gvir, estremisti e razzisti. Una volta la polizia israeliana li arrestava a causa dei loro comportamenti. Oggi sono deputati e domani potrebbero anche essere ministri, segno di uno spostamento a destra del paese in corso da anni e sempre più celere».


Kaliningrad russa e Lituania Nato, blocco ferroviario per arrivare a cosa?

di Piero Orteca su Remocontro

Mosca: «La Lituania pagherà per il blocco di Kaliningrad». Il falco Patrushev, vicino al Cremlino, minaccia misure dal «forte impatto negativo». La ritorsione più scontata potrebbe essere il taglio delle forniture di elettricità. Ma gli Stati Uniti: «sostegno blindato» alla Lituania in quanto membro della Nato.
Chi cerca altri guai e per arrivare a cosa?
La maledizione storica dei ‘Corridoi’ geopolitici in Europa

Kaliningrad-Koenigsberg, dai Cavalieri teutonici al filosofo Immanuel Kant

Non c’è niente da fare. I “corridoi” geopolitici portano sfortuna all’Europa. Ricordate quello di Danzica, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, che fece scatenare tutte le foie paranoiche di Hitler? Beh, ora ne abbiamo un altro di “corridoio”, capace di generare altri guai. È quello che separa un pezzo di Lituania dall’ex Prussia Orientale. Che una volta era Germania e che oggi, invece, è Russia. Stiamo parlando della regione di Kaliningrad (Koenigsberg), antica sede dei Cavalieri teutonici e città natale del filosofo Immanuel Kant. Adesso, questa grande regione di Mosca, piazzata nel cuore dell’Europa orientale, è di fatto una “esclave”. Cioè un’isola di territorio russo che non confina con la madrepatria. Insomma, per arrivarci bisogna bussare e chiedere permesso agli amici bielorussi e ai lituani che non sono affatto amici.

Lituania Nato e politicamente oltre

Questi ultimi ai tempi “belli” (per Putin) facevano parte dell’Unione Sovietica, ma oggi innalzano, fieri, il vessillo della democrazia europea. Con tutti gli annessi e connessi, politici, di sicurezza e, last but not least, anche di borsellino. Andando al sodo, i lituani stanno applicando rigorosamente le sanzioni antirusse e bloccano i treni che arrivano dalla Russia, con le merci dirette… in Russia (a Kaliningrad). Pare che, in certi giorni, arrivino a fermare anche il 50% dei rifornimenti. Per ora. Perché al Cremlino già alzano la voce e non solo quella.

Sanzioni e scuse pericolose

La britannica BBC riporta le “giustificazioni” del governo di Vilnius: “Noi non facciamo altro che applicare le sanzioni decise da Bruxelles”. Ma il potente capo del Consiglio per la sicurezza nazionale russo. Nikolai Patrushev, la pensa in un altro modo. E lancia precise minacce annunciando “reazioni”. Quali? È questo che inquieta particolarmente i baltici, che hanno una lunga tradizione di invasioni subite da oriente.

Il controllo del ‘Suwalki Gap’

Il Financial Times titola: “La Russia avverte la Lituania delle gravi conseguenze sul blocco ferroviario di Kaliningrad”. E qua bisogna inserire una riflessione di tipo strategico, che riportiamo per dovere di cronaca, ma che circola da lunga pezza, negli ambienti della Nato. Margiris Abukevicius (vice Ministro della Difesa lituano) ha sostenuto che una delle chiavi del confronto con Mosca, è il controllo del “Suwalki Gap”, un altro corridoio strategico, tra Prussia Orientale e Bielorussia. Se le armate di Putin riuscissero a tappare questo collo di bottiglia (un’ operazione abbastanza semplice) le repubbliche baltiche sarebbero isolate militarmente. Il FT riporta, inoltre, nell’articolo di Max Seddon e Richard Milne, che proprio recentemente il comando supremo russo ha fatto svolgere esercitazioni che hanno simulato un’invasione generale della Lituania e il blocco del “Suwalki Gap”.

Autolesionismo commerciale e azzardo politico

D’altro canto, le limitazioni al trasporto di merci russe verso Kaliningrad, imposte dal governo di Vilnius, stanno diventando insostenibili. “Le merci includono ferro e acciaio, beni di lusso e molti altri prodotti che erano stati vietati nei precedenti pacchetti di sanzioni. In totale, finora, è stato bloccato almeno il 25% del materiale in transito verso l’esclave. Certo, la situazione che si è creata, va monitorata costantemente, perché basta un minimo errore nella catena di comando, per arrivare a un incidente irreparabile. Questo lo capiscono tutti, ma in particolar modo i lituani che non sembrano proprio felici di essere la prima linea della trincea.

Nato garante o mandante?

Ovviamente, hanno la relativa sicurezza loro offerta dall’articolo 5 della Nato. Ma, dietro le quinte, ricordano a tutti che la regione in oggetto è diventata un’area di crisi ad alto rischio. I russi hanno piazzato in tutta l’ex Prussia orientale i micidiali missili balistici “Iskander”, quasi sicuramente dotati di testate nucleari. Presente nei pressi di Kaliningrad anche la più importante base navale russa del Baltico, in grado di rimanere libera dai ghiacci tutto l’anno. L’opzione di ovviare al blocco ferroviario, spedendo o ricevendo le merci per via marittima o, peggio ancora, per via aerea, risulterebbe troppo costosa per Mosca.

L’unica soluzione, quindi, è quella di gestire le sanzioni nel modo migliore possibile. Sperando che dalla testa di Putin o di Patrushev (che dicono sia il vero numero due del regime) non esca fuori qualche altra idea “brillante”.


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