C’è qualcuno che lo fa, “qualcosa di sinistra”. Non lontano da noi, senza dover ricorrere a un banchiere neoliberista per tenere insieme una maggioranza in Parlamento. “Dopo il via libera del Bundesrat ora è ufficiale: dal 1 giugno viaggiare sui trasporti pubblici in Germania costerà solo 30 centesimi al giorno, praticamente gratis. Nove euro al mese per novanta giorni.
Una vera rivoluzione della mobilità di massa
“Innescata dalla tariffa sociale varata d’urgenza dal governo Scholz e rapidamente approvata da entrambi i rami del Parlamento. Obiettivo: alleg- gerire il caro-energia per 13 milioni di pendolari che ogni giorno si spostano sul territo- rio nazionale”.
“Chiunque utilizzi treno, metropolitana o bus contribuisce in modo rilevante a rendere il Paese indipendente dalle forniture energetiche russe, mentre ci permette di compiere un altro importante passo sulla strada della neutralità cli- matica» è la ragione del maxi-sconto riassunta dal ministro dei Trasporti, Volker Wissing (Fdp)”.
“Costo del provvedimento: 2,5 miliardi di euro già accantonati nel bilancio federale all’inizio del mese.
Servirà in parallelo anche a rilanciare il turismo nella Germania trasformata d’ufficio e improvvisamente nella mecca europea delle vacanze low-co- st. Il ticket «9×90» sarà acqui- stabile da chiunque attraverso la biglietteria on-line o la App di Deutsche Bahn già a partire da lunedì prossimo.
Comuni prigionieri di guerra?
Si chiede Remocontro nel commentare la cronaca della giornata di ieri in Ucraina. Venerdì sera la Russia ha dichiarato concluso l’assedio dell’acciaieria Azovstal, il grande sito industriale dove per settimane centinaia di soldati ucraini, principalmente del discusso battaglio Azov, hanno resistito agli attacchi dell’esercito russo.
Secondo la Russia, in tutto dall’acciaieria Azovstal si sono arresi 2.439 soldati, anche se è impossibile verificare questo numero da fonte indipendente.

Amnesty Italia: «I prigionieri di Azov processati sono protetti dal diritto internazionale. Non possono essere portati in Russia e vanno restituiti a Kiev finita la guerra».
«Eventuali processi per crimini di guerra all’Aja»
Nel corso dell’ultima settimana, man mano che gli ucraini si arrendevano, i media russi hanno pubblicato video e foto che li mostrano caricati su autobus e portati via. «È difficile ora capire cosa succederà ai soldati ucraini, che sono prigionieri di guerra: non è escluso che saranno al centro di uno scontro diplomatico tra Russia e Ucraina», annota il Post.
Uno scambio di prigionieri ma non soltanto, con la possibilità per la Russia, in grave crisi di consensi internazionali, di sottolineare l’accusa di neonazismo rivolta sia ai vertici politici ucraini che a quel battaglione di militanti della svastica, queste almeno le origini, che ha poi arruolato nel suo esercito.
«Leggi internazionali pertinenti»
Anche Putin si è espresso sui prigionieri: «Saranno trattati secondo gli standard delle leggi internazionali pertinenti». Già, ma quali? La partita orrenda ma politicamente strategica dei ‘crimini di guerra’. Chi li decide, chi li punisce, che eventualmente li grazia.
La legge internazionale è la terza Convenzione di Ginevra, che prevede che i prigionieri di guerra siano trattati «con umanità», e, in teoria, i prigionieri di guerra non possono essere processati dal paese che li detiene per aver partecipato ai combattimenti, a meno che non siano sospettati di aver commesso crimini di guerra, come per esempio l’uccisione indiscriminata di civili.
Secondo Amnesty Italia: «I prigionieri di Azov vanno processati all’Aja». Secondo la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, i soldati ucraini che non hanno bisogno di cure saranno condotti in un’ex colonia carceraria della città di Olenivka, nella regione di Donetsk.
Fonti ucraine precisano che si tratterebbe della Colonia penale numero 52, «una delle più temute prigioni russe nei territori occupati», scrive Eleonora Martini sul Manifesto.
L’ala dura della politica russa, leggo ancora su Remocontro, propone di considerare quei prigionieri come «criminali nazisti», quindi “organizzazione terroristica”, a impedire uno scambio di prigionieri.
«Ora, i soldati del battaglione Azov, di storica fede nazista, potrebbero essere giudicati in un tribunale di Donetsk? Rischiano la pena di morte? Di quali capi di imputazione potrebbero essere accusati?»
Amnesty International Italia
Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia che nel 2016 aveva investigato sui crimini commessi da quel battaglione durante la guerra del Donbass, spiega: «Come prigionieri di guerra, non possono subire un processo da un tribunale di un soggetto nazionale non riconosciuto. Hanno commesso crimini durante la guerra del 2014 sì, ma per quei crimini possono essere processati solo da un tribunale ucraino. Sarebbe un arbitrio farlo altrove, in Russia o nei territori ora occupati».
Non un bis di Guantanamo
«Come era un arbitrio da parte degli Usa considerare Guantanamo fuori dalla protezione dalla Convenzione di Ginevra, anche il processo che sta terminando in Ucraina contro il soldato russo – anche se in questo caso egli viene accusato di un singolo omicidio – non trova grande legittimità perché è un processo istituito in tempo di guerra con poche garanzie per il diritto di difesa. Bisognerebbe affidare tutto al Tribunale penale internazionale».
In Russia la pena di morte è soggetta ad un moratoria, precisa Noury. «Il pericolo perciò – conclude – è che, dati i tempi, potrebbero essere emanate disposizioni per ripristinarla». Appositamente per i prigionieri di Azovstal.
- Sulla valutazione dei magistratiSi vuole introdurre la valutazione della Magistratura? Bene, allora li si faccia anche per gli altri poteri dello Stato. Per il Parlamento vedrei bene l’adozione del ‘’criterio di laboriosità’’: un quinto degli onorevoli e senatori più assenteisti nel biennio vengono sostituiti con elezioni suppletive programmate.
- ‘Peggio del presente, a Gaza, c’è solo il futuro’: Eric SalernoAltri ostaggi sono tornati a casa, tutti sembra, in relativamente buone condizioni di salute anche se traumatizzati dal rapimento e dalla prigionia nelle mani degli uomini di Hamas. In Israele manifestazioni di giusta felicità miste a paura per quello che è accaduto il 7 ottobre e per quello che potrebbe ancora succedere. Centinaia di video passano di mano in mano. In Israele e fuori.
- La differenzaÈ infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
- ScendereMi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
- La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con IsraeleLa feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington