Reader’s – 21 luglio 2022 (rassegna web)

Una cosa col suo viaggio in Israele, ma soprattutto in Arabia Saudita, Joe Biden l’ha ottenuta, scrive oggi Piero Orteca su Remocontro : gettare definitivamente gli iraniani nelle braccia di Vladimir Putin.

Putin a Tehran, nuova fase storica

“Non che prima gli ammiccamenti non fossero palesi, prosegue Orteca, ma il contenzioso sul nucleare e le continue offerte americane per aggiustare la cosa, quantomeno, salvavano le forme. Adesso, proprio no. Esaltando la visita del Presidente russo in Iran, ieri il Tehran Times in prima pagina spiega la “filosofia” del viaggio: “A new world order”, cioè, una missione fatta per un nuovo ordine mondiale. Si tratta di uno spunto di riflessione formidabile, che ci viene offerto, perché in sostanza dà l’opportunità di ragionare su una visione geopolitica che spesso ci sfugge. Quella dei tre quarti del pianeta, che “filtra” la realtà sociale ed economica in modo diverso dall’Occidente.

I tre quarti di mondo diversi da noi

Proponendo, a volte, soluzioni politiche e istituzionali per noi incomprensibili. Se non inaccettabili. Stesa la coperta ideologica, gli ayatollah, naturalmente, non hanno perso tempo per badare alla sostanza. Vista l’attuale crisi internazionale, che coinvolge la Russia in prima linea, il Tehran Times sostiene che, negli incontri con la Guida suprema, Ali Khamenei, e con il Presidente Raisi, si è andati al sodo. “L’imposizione di sanzioni a entrambi i Paesi – scrive il giornale degli ayatollah – è stato un fattore importante nell’avvicinare le due parti, rendendole una forte alleanza contro le pressioni degli Stati Uniti. Negli ultimi mesi, alti funzionari si sono incontrati per consolidare la cooperazione bilaterale, in vari settori, tra cui energia, petrolio, gas e transito di merci. Nonché, anche nel campo delle relazioni diplomatiche e politiche”. Più chiaro di così…

Sanzioni a bersagli reali incerti

In questo momento, l’emergenza sono le sanzioni economiche, decretate dagli Stati Uniti e dall’intero Occidente contro l’Iran e la Russia. Stiamo parlando, è ovvio, di due manovre di “attacco” diverse. Perché diversi erano gli obiettivi strategici, che si proponevano i “think-tank” americani ed europei che le avevano studiate. Più miti quelle contro Teheran. Senza pietà (almeno nelle intenzioni) quelle contro Mosca, dopo l’invasione dell’Ucraina. Allora, diciamo che le sanzioni contro l’Iran hanno funzionato a singhiozzo. Gli effetti li hanno avuti, ma niente di devastante. Almeno finora. Le misure contro la Russia, invece, paradossalmente stanno mettendo in crisi l’economia europea. Un po’ meno quella americana. Ma stanno anche mettendo in ginocchio intere aree geografiche del pianeta, per le ripercussioni sui prezzi dell’energia, delle materie prime e dei prodotti alimentari.

Alleanza geopolitica contro il dollaro

L’Iran, per Putin, rappresenta un’ottima sponda per aggirare i blocchi all’import-export, decretati da Washington e da Bruxelles. E proprio su questo tema, si è soffermato Alì Khamenei, lanciando all’Occidente un messaggio inequivocabile: “La cooperazione economica tra Iran e Russia, soprattutto sulla scia delle sanzioni, è necessaria, in linea con gli interessi di entrambi i Paesi”. I colloqui con Khamenei e con Raisi hanno toccato anche un altro tema fondamentale per il commercio internazionale, un tema che sicuramente è stato già discusso tra Putin e Xi Jinping: l’utilizzo del dollaro come moneta di riferimento nelle transazioni. Secondo il leader del Cremlino e anche a parere degli ayatollah, questa sorta di “obbligo” conferisce un potere contrattuale spropositato (e immeritato) agli Stati Uniti. Putin si spinge fino a definire quello degli americani “un vero e proprio saccheggio di altri Paesi”, perpetrato utilizzando il dollaro. La Russia e l’Iran stanno progettando nuovi metodi – ha aggiunto -per utilizzare le valute nazionali nei rapporti commerciali e finanziari”.

Medio Oriente non solo israeliano

Largo spazio è stato anche dedicato a problemi più strettamente politici, come quelli riguardanti la Siria, i rapporti con Israele e il Caucaso. Il coinvolgimento negli incontri del premier turco Erdogan, oltre ad affrontare il problema dei rifornimenti di grano in partenza dal Mar Nero, è servito anche a una riflessione sulle ipotetiche “sfere d’influenza” nella regione. Russi e iraniani, rivolti ad Ankara, hanno insistito sulla necessità di evitare azioni militari punitive contro i curdi, nel nord della Siria. Allo stesso tempo, Putin, Raisi e Khamenei hanno espresso tutta la loro contrarietà per la presenza di truppe americane a est dell’Eufrate. Secondo gli ayatollah (e anche a parere dei russi), i militari di Washington dovrebbero immediatamente lasciare quell’area della Siria. Inutile sottolineare le consuete arringhe contro la Nato, questa volta bipartisan. Anche sull’accordo riguardante il nucleare, gli iraniani hanno continuato ad accusare gli Stati Uniti, colpevoli (con Trump) di avere stracciato la precedente intesa, che andava bene a tutti.

Il veleno in coda, trilaterale con la Cina

In cauda venenum, il Tehran Times ricorda l’impegno alla “cooperazione militare”, tra Mosca e gli ayatollah. Una collaborazione che sarà “trilaterale”, come sottolinea il quotidiano sciita, perché della famiglia fa ormai parte integrante, in pianta stabile, anche la Cina di Xi Jinping. E così, ora, Biden forse dovrà cominciare a pensare che, in giro per il mondo, ci sono tanti “altri Iran” che non amano l’Occidente.


Voteremo ( forse)

da Massimo Marnetto

Concorso di colpa: Draghi e molti partiti della coalizione (M5S, Lega e FI) si sono rimproverati reciprocamente di non aver fatto abbastanza e così entrambi hanno affossato il Governo. Ci sarà modo di definire le dosi di responsabilità di ognuno. Ma quel che è certo è che neanche un ”iper-esperto” come Draghi ha risolto il problema della governabilità.

Le abbiamo provate tutte per avere esecutivi duraturi e capaci di incidere nella modernizzazione del Paese con interventi strutturali; anche con la pericolosa forzatura dei premi di maggioranza, ma niente: l’interesse generale si dimostra ogni volta poco percepito e sostenuto, rispetto alla potenza delle spinte particolari. Voteremo (forse) presto, cambierà (forse) la maggioranza, ma fino a quando la serietà sarà impopolare e la furbizia un pregio, saremo sempre una Nazione bloccata dalla lotta tra fazioni.


Tweets

In questo giorno di follia il Parlamento decide di mettersi contro l’Italia. Noi abbiamo messo tutto l’impegno possibile per evitarlo e sostenere il #governoDraghi. Gli italiani dimostreranno nelle #urne di essere più saggi dei loro rappresentanti. (Enrico Letta)

La fine indegna di una legislatura disastrosa. Cialtroni populisti hanno mandato a casa l’italiano più illustre. La prima cosa che diciamo è grazie #Draghi. Combatteremo per portare avanti la sua agenda e il suo modo di fare politica. L’Italia seria scenda in campo. È il momento. (Carlo Calenda)

Ho inviato il mio grazie a chi fino alla fine ha sostenuto Mario Draghi. Conte, Salvini e Berlusconi sono i responsabili di questo disastro. Noi adesso al lavoro per contrastare i populisti alle elezioni. Chi non si rassegna allo squallore, ci dia una mano. (Matteo Renzi)

Il governo dell’establishment ?

di Giovanni Lamagna

L’esito di questa crisi ha messo chiaramente in evidenza che questo era il governo di Letta, Calenda e Renzi. Ovverossia dell’establishment, economico, finanziario sociale, culturale e istituzionale. Nato per logorare le forze che, comunque le si voglia giudicare, mettono in discussione questo sistema, anche se da sponde opposte.

Quando il gioco è diventato scandalosamente scoperto, quelli che ci stavano rimettendo le penne hanno fatto saltare il banco. Ovviamente! Come era naturale che fosse! Semmai con fin troppo ritardo.


  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)
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