Reader’s – 21 aprile 2023

Rassegna web di nandocan magazine

Salato

di Massimo Marnetto

Nella questione balneari, applicare la concorrenza significa privilegiare l’interesse pubblico ad un migliore rapporto qualità-prezzo dei servizi. Invece rinnovare le concessioni agli stessi soggetti equivale a favorire il privilegio privato, che negli anni si è calcificato in una sorta di pretesa proprietaria sulle spiagge gestite. 

La direttiva Bolkestein – introducendo le concessioni con gara – rompe l’oligopolio dell’ombrellone. Che negli anni ha fatto lievitare il prezzo di accesso alla battigia senza alcun riferimento al canone (ridicolo) corrisposto, generando margini di profitto ingiustificati. Una pacchia per pochi, mentre per gli altri il mare è diventato sempre più salato.


«Ucraina, guerra Usa per procura» scrive il Washington Post. Armi ad esaurimento ora dall’Asia

da Remocontro

«In Ucraina la guerra Usa si combatte per procura. Mancano solo i ‘boots on the ground’ statunitensi». Ma le truppe statunitensi, almeno ufficialmente e in numero adeguato, non combatteranno mai in Ucraina. Lo scrive il Washington Post in un lungo editoriale in cui chiede se ha senso ancora parlare di supporto alla resistenza di Kiev o se non sarebbe più corretto parlare di «guerra per procura».
Nato schiarata e alleati asiatici stretti attorno alla paura cinese, che manderanno armi. Le promette la Corea del Sud, mentre Mosca minaccia le sue al Kim. E l’Ucraina diventa guerra cronica e lontana.

Nulla di nuovo sotto il sole

Ancora la fuga di notizie finite nel mare della rete, qualche segreto militare e la conferma del vizio americano, quale che sia il presidente, di spiare in casa altrui. E descritto in maniera netta ruolo e modi degli ‘apparati di Washington’ nel contrastare la Russia. Sempre il Wp: «Le mappe illustrano la posizione delle truppe, i piani di battaglia e i probabili risultati sul campo di battaglia fino alle più piccole città, insieme alla posizione e alla forza delle difese russe. Ci sono elenchi di sistemi d’arma in uso da entrambe le parti, stime sulle vittime, riassunti di conversazioni intercettate e valutazioni su tutto, dalle capacità delle forze speciali alle munizioni consumate».

In dettaglio, l’enormità di strumenti di spionaggio e sorveglianza Usa, dai satelliti all’avanguardia ai segnali di intelligence, a disposizione di Kiev, segnala Sabato Angieri.

Interventismo pericoloso

E’ noto che una parte della politica statunitense ha iniziato a dubitare del ruolo troppo attivo del Paese nel conflitto in Europa dell’est. A partire dall’avversario di Donald Trump alle prossime primarie del partito repubblicano, Ron DeSantis, che aveva dichiarato «stiamo pagando per una guerra per procura con la Russia, quando non ho mai visto Putin mostrare nei dettagli i suoi piani per invadere l’Europa», salvo poi definire Putin un «criminale di guerra», sottolinea il Manifesto. Con ‘dettagli tecnici’ a sorprendere noi civili.

E il Wp sostiene che «a prescindere dalle motivazioni che l’hanno spinta a sostenere l’Ucraina, gli Usa hanno ottenuto alcuni utili risultati nella valutazione delle capacità militari della Russia, se non altro per vedere come opera in combattimento un Paese che definiscono una ‘seria minaccia’».

Seul armi a Kiev su sollecitazione Usa

Il conflitto ucraino tocca l’Asia. Per ora in modo indiretto, ma se davvero la Corea del sud invierà armi a Kiev verrà creata una prima connessione militare ufficiale tra la guerra in Ucraina e il fronte orientale. L’inedita apertura all’ipotesi di inviare armi a Kiev arriva direttamente dal presidente Yoon Suk-yeol. Un passo rilevante, visto che la legge sudcoreana impedisce l’invio di aiuti militari a paesi impegnati in un conflitto. Ma le interpretazioni costituzionali vincolanti, a convenienza diventano elastiche a pochi giorni dall’attesa visita di stato di Yoon alla Casa bianca che la svolta la perorava da tempo. Ovviamente la Russia non ha gradito.

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Taormina, Costante agli Stati generali dell’informazione: «Giornalismo di qualità antidoto alle fake news»

Per la segretaria generale Fnsi, «per costruire il futuro della professione dobbiamo riscoprire l’essenza del nostro lavoro, le regole deontologiche, le tutele contrattuali. E abbiamo bisogno di strumenti, anche normativi, nuovi, adeguati alle sfide che ci attendono».

Il tema delle fake news declinato attraverso il prisma del lavoro giornalistico, del rispetto delle regole deontologiche, delle tutele garantite dalle norme contrattuali. Questo il cuore dell’intervento di Alessandra Costante, segretaria generale della Fnsi, al panel ‘Giornalismo e disinformazione, il pericolo delle fake news’, nell’ambito della prima giornata degli Stati generali della Parola, dell’Informazione e dell’Editoria organizzati a Taormina dall’Odg Sicilia in occasione del 60° anniversario della legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti.

«Se come categoria non contrastiamo lo smantellamento in atto delle redazioni, se non difendiamo le regole contrattuali che assicurano “il lavoro buono” e la tutela e la protezione dei colleghi che lavorano, difficilmente riusciremo a battere l’epidemia di fake news», il monito della segretaria Fnsi.

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Disastro europeo in Africa tra pessime eredità coloniali

Michele Marsonet su Remocontro

L’Africa sta diventando sempre più anti-occidentale e, soprattutto, anti-europea. Si tratta di un vero e proprio disastro diplomatico, addirittura con l’espulsione di numerosi ambasciatori di area Ue.
Il Ciad, per esempio, alcuni giorni orsono ha ordinato all’ambasciatore tedesco di lasciare il Paese entro 48 ore. Colpa del rappresentante di Berlino è aver criticato il governo di N’Djamena per i ritardi nell’indizione delle elezioni dopo l’ennesimo colpo di Stato.

Prima la Francia

Ma ad essere colpita è in primo luogo la Francia, dopo il sostanziale fallimento della sua spedizione militare nel Sahel (in funzione anti-jihadista).
All’ambasciatore di Parigi nel Mali sono state concesse 72 ore di tempo per lasciare il Paese. Anche in questo caso sono state alcune frasi del governo transalpino a scatenare la crisi. Aveva infatti definito “fuori controllo” i militari che attualmente governano il Mali.

Burkina Faso

Identica situazione nel Burkina Faso. Anche qui il governo militare golpista ha intimato all’ambasciatore francese di andarsene perché non è più considerato un interlocutore affidabile. Il diplomatico aveva infatti scritto che nel Paese è in atto una guerra civile.
Inutile rammentare che la Francia era la potenza coloniale in loco, e aveva mantenuto una forte influenza anche dopo che varie nazioni avevano raggiunto l’indipendenza. I governi locali, tuttavia, non accettano più lezioni de democrazia da parte degli ex colonizzatori.

Via anche l’Italiana Onu

E non è finita qui. Sempre nel Burkina Faso la diplomatica italiana Barbara Manzi, rappresentante dell’Onu nella capitale Ouagadougou, ha dovuta andarsene perché dichiarata “persona non gradita” dal governo locale.

Niger, Sudan e Ue

Nel Niger, dove i francesi stanno tentando di mantenere una presenza militare, si susseguono violente manifestazioni contro tale presenza. A Khartoum, capitale del Sudan, è stato attaccato un convoglio diplomatico, mentre l’ambasciatore Ue è stato aggredito nella sua residenza.

Gli altri oltre l’Europa

Il caos è dunque totale, ma occorre rammentare che vi sono già altri Paesi pronti a rimpiazzare gli europei. La Cina di Xi Jinping sta estendendo la sua influenza in Africa da molto tempo. Lo stesso dicasi per la Russia che impegna nel continente i celebri mercenari della Wagner. Molto attivi anche gli Emirati Arabi e la Turchia di Erdogan, che sfruttano la loro appartenenza islamica. Piuttosto assenti, invece, gli Usa.

Strategia comunitaria Ue assente

E’ evidente, a questo punto, che l’Unione Europea paga l’assenza di una precisa strategia comunitaria nei confronti dell’Africa. Il protagonismo dei francesi, che sono per l’appunto ex colonizzatori, ha causato più danni che vantaggi.


  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)
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