È in arrivo l’estate e con l’estate la stagione balneare, per la quale, ci ricorda oggi Massimo Marnetto, resiste ancora In Italia una sorta di usucapione delle spiagge da parte degli stabilimenti. “Ovvero la pretesa di chi da decenni ha lo stesso pezzo di spiaggia a un canone ridicolo, di poter speculare per sempre”. Per l’Europa però “questo privilegio cozza contro la regola della concorrenza, che in questo caso- va a favore dei consumatori (prezzi dei servizi più bassi) e dello Stato (canoni più alti). ”
“Si – ribattono gli imprenditori del settore – ma noi abbiamo investito soldi per offrire strutture accoglienti. Ora non ci si può dire andatevene”. Vero, concede benevolmente Marnetto, “occorre trovare forme di equo ristoro per le migliorie, al netto dell’abusivismo dilagante”. Dovrebbe pensarci la politica se fosse capace di attenersi a criteri di valutazione oggettivi , nell’interesse generale.
“Ma mettiamoci nei panni di un politico che sa che intaccare l’usucapione balneare significa perdere una barca di voti. Tra il giusto-impopolare e la sopravvivenza sceglierà la seconda. Magari salvando capra e cavoli con una proposta di rinvio. E se proprio non si può differire la rogna, sí croma il privilegio balneare con la patina sociale dei posti di lavoro a rischio, così la resistenza all’Europa cattiva sembra accettabile, persino morale. E’ la politica, bellezza”.
Sanzioni pericolose. Come la Russia cerca di scansarle, quanto l’Occidente può sostenerle
“L’arma delle sanzioni economiche si sta rivelando molto controversa” leggo anche oggi su Remocontro – Sono durissime e avranno senz’altro un pesante effetto negativo sulla Russia. Ma nel lungo periodo. Certo, quest’anno il suo Pil calerà dell’8,5% e l’inflazione arriverà al 20%. Ma, invece, gli effetti “di rimbalzo” sull’Europa, possono essere contabilizzate fin da ora.
Ciò detto, Piero Orteca su Remocontro richiama l’attenzione sul fatto che “tra Stati Uniti ed Europa esistono differenze sostanziali, sulla visione geopolitica del pianeta. Perché? Diciamo che in alcune aree gli interessi sono diversi e in altre, addirittura, confliggono. La grande partita per il futuro dell’Ucraina (e dell’Europa) non si gioca solo a Mosca ma, principalmente, a Washington.
“Gli Stati Uniti, scrive Orteca, sono, da un pezzo, davanti a un dilemma “esistenziale”: vogliono ancora un mondo “unipolare”, che li autorizzi a intervenire ovunque “per riportare l’ordine”? Oppure pensano di concentrarsi e di spendere risorse, in primo luogo, nel loro Paese? La prima opzione è quella dei democratici di Biden, la seconda è stata (e sarebbe) quella dei repubblicani di Trump”.
Dei due corni del dilemma, a Firenze si sarebbe detto: accidenti al meglio. Di certo il secondo, per quanto politicamente e umanamente degradante, potrebbe risultare meno pericoloso del primo. Per un futuro di pace non vedo alternative ad un mondo multipolare che abbia rinunciato alle logiche di dominio.
Bivio elettorale a scadenza
Tornando alla dura realtà, a novembre si voterà per le elezioni di “Midterm” e si rinnoverà il Congresso. Se i democratici perdono (i sondaggi non sono favorevoli) Biden è fritto, sostiene l’analista di zRemocontro. “Attenzione però: la guerra in Ucraina non è il leit-motiv della campagna elettorale (che già infuria). Prima vengono l’inflazione, la delinquenza dilagante, l’immigrazione clandestina e le ventilate modifiche alla legge sull’aborto. Certo, con un’inflazione all’8,3%, con i problemi di approvvigionamento della catena logistica per la produzione, con i continui crolli in Borsa (specie dei “tecnologici”) e la fibrillazione dei mercati azionari, le domande a cui dovrà rispondere Biden si moltiplicano.
Il ‘ministero della verità’ sospeso
Il Ministro per la Home Security, Alejandro Mayorkas, ha congelato tutto, dopo essere stato torchiato dal Senato Usa. La direttrice, Nina Jankowicz, ex consulente del Ministero degli Esteri ucraino, si è dovuta dimettere a furor di popolo. In America non si scherza, e il Primo emendamento, quello sulla libertà di stampa, non si tocca. Di sicuro, a Biden avevano suggerito di fare una cosa “politically correct”. E cioè di ispirarsi a due leggi, l’Espionage Act del 1917 e il Dissent Act del 1918. Ma a quell’epoca l’America era in guerra.
O forse lo è anche oggi e noi non ce ne siamo accorti?
- Sulla valutazione dei magistratiSi vuole introdurre la valutazione della Magistratura? Bene, allora li si faccia anche per gli altri poteri dello Stato. Per il Parlamento vedrei bene l’adozione del ‘’criterio di laboriosità’’: un quinto degli onorevoli e senatori più assenteisti nel biennio vengono sostituiti con elezioni suppletive programmate.
- ‘Peggio del presente, a Gaza, c’è solo il futuro’: Eric SalernoAltri ostaggi sono tornati a casa, tutti sembra, in relativamente buone condizioni di salute anche se traumatizzati dal rapimento e dalla prigionia nelle mani degli uomini di Hamas. In Israele manifestazioni di giusta felicità miste a paura per quello che è accaduto il 7 ottobre e per quello che potrebbe ancora succedere. Centinaia di video passano di mano in mano. In Israele e fuori.
- La differenzaÈ infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
- ScendereMi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
- La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con IsraeleLa feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington