Reader’s, 20 giugno 2022

“Braciole”, intitola Massimo Marnetto, che considera una tentazione quella di “sacrificare Zelensky per tornare alla normalità….

…Nessuno lo dice, ma il ”pensiero stupendo” serpeggia. Basta negargli armi – con apposite motivazioni pacifiste – e l’Ucraina capitola entro Ferragosto. Giusto in tempo per una bella grigliata per festeggiare il ritorno della benzina sotto i 2 euro, del gas russo garantito per l’inverno e grano in abbondanza come ai bei tempi. Molte rogne in meno, visto che dobbiamo già sorbirci siccità, covid in rialzo e inflazione.

E la difesa della libertà del popolo ucraino? Roba da guerrafondai, diranno i teorici del laissez faire irenico: la Costituzione non impegna l’Italia nella difesa armata della libertà di altri popoli. Neanche quando lo scontro è potenzialmente rivolto all’Europa? Niente: noi ripudiamo e basta. Chi pensa che sia meglio fermare il pericolo russo in Ucraina, piuttosto che in casa propria è un traditore dell’art. 11 della Carta.”(Parlando a bocca piena) Buona questa braciola alla griglia. Gli ucraini mi fanno pena, ma con questa guerra non se ne poteva più’. (Dopo aver deglutito) E ORA… UN BEL BRINDISI PER LA PACE!”


Ma più che di braciole, si tratta di punti di vista. Quella dell’interventismo bellico in difesa dell’ideale è un’opzione pericolosa, proposta storicamente con una certa frequenza a quanti, ansiosi di misurare la propria generosità di animo, non riescono più a distinguere prudenza e codardia. Attenti però: essere pronti a pagare di persona non autorizza a disporre “generosamente” della sorte altrui.

E come ogni domenica, Antonio Cipriani da Remocontro:

Prigionieri di una sconfitta lontana

Mi è passata davanti agli occhi una vignetta di Johnny Hart di una quarantina di anni fa. Un contadino davanti al re seduto sul trono dice: “Rappresento la commissione contadina per l’abolizione della povertà. Voglio sapere perché non avete dichiarato guerra alla miseria”. “Ma io l’ho fatto!”, risponde il re. “E allora perché mai noi siamo ancora poveri?” replica il contadino, e il re: “Voi avete perso”.

Già, è vero. Nel tempo delle cose già avvenute, del post qualcosa declinato in cento rivoli culturali e politici, continuiamo a costruire mille cattedrali di interpretazione delle interpretazioni, a discutere su ogni piattaforma di vaccini o di guerra, di strategie e paure, come se tutto fosse possibile. Come se i temi sui quali ci scontriamo esistessero davvero e non fossero invece immagini riflesse, opache, di una realtà fuori da noi, lontana dalle nostre scelte, dalla nostra politica e dalla cultura.

Viviamo nel post umano. E questa vignetta, semplice e vecchia, ce lo rivela impietosamente. Discutiamo sulle guerre e sulle crisi epocali, e sono solo effetti di qualcosa di feroce che è avvenuto nelle nostre società. Che continua ad avvenire, a riproporsi semplicemente come declinazione di qualcosa che è più simile a un dogma che ad altro. Il nemico eravamo noi, ecco spiegato questo lungo lunghissimo assetto di guerra in tempi di pace.

Nella società dello spettacolo siamo noi gli spettatori e gli interpreti. Immaginario e realtà sono indistinguibili; quello che accade e quello che ci raccontano e ci raccontiamo si confondono, e si confondono vicende reali e rappresentazioni virtuali. La tirannia del profitto si dispiega senza limiti, è l’effetto di una sconfitta, non la causa. E le declinazioni riguardano la guerra che al di là delle letture banali mediatiche di questi mesi è una condizione cronica. Così come l’incertezza economica è una costante e la devastazione ecologica del pianeta, con tutto il suo carico di dubbi e morte, è una possibilità concreta. Mentre quel sogno che avevamo di solidarietà umana e di pacifica convivenza rappresentano ideali seppelliti dal concreto realismo della sconfitta epocale.

Spesso la storia ci insegna che chi vince non fa prigionieri. Ecco, in questo caso chi ha vinto, una visione della società in cui l’umanità conta zero, ha fatto solo prigionieri. Prigionieri di qualcosa che non sappiamo affrontare perché ormai invisibile ai nostri occhi. Già, che fare allora?

Se la giustizia diventa alternativa alla pace. Sul dramma Ucraina crepe nell’opinione pubblica europea


«Giustizia o pace: si aprono crepe nell’opinione pubblica europea», il titolo più diretto sui risultati del sondaggio dell’European Council on Foreign Relations. Dopo i primi 100 giorni della guerra russa contro l’Ucraina, l’opinione pubblica europea è ancora unita nel sostenere la posizione politica e le scelte dell’Unione europea? Le posizioni più pacifiste, costi quel che costi agli ucraini e ai loro diritti. E quante persone invece preferirebbero una giusta mediazione tra il silenzio delle armi e il ripristino della legalità internazionale. Gli italiani sono i più scettici sulle esclusive responsabilità di Putin e i più preoccupati della recessione economica
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European Council on Foreign Relations

Il sondaggio pubblicato ieri dall’ European Council on Foreign Relations, un tink tank fondato nel 2007 da intellettuali, attivisti e ex membri delle istituzioni di 27 Paesi europei, rileva che l’unità dell’opinione pubblica europea inizia a mostrare nuove crepe, nuove fratture che dividono i Paesi e attraversano le stesse nazioni. Esempio di casa, l’Italia è il Paese più «pacifista», ma anche più restio a riconoscere la responsabilità di Putin rispetto alle scelte della Nato.

Alcuni dati dal rapporto dettagliato

«Oltre l’80% degli intervistati in Polonia (83%), Svezia (83%), Finlandia (90%) e Gran Bretagna (83%) considera la Russia responsabile di questa guerra», è uno dei risultati chiave dell’indagine svolta in nove Stati membri dell’Ue (Finlandia, Francia, Germania, Italia, Polonia, Portogallo, Romania, Spagna e Svezia) e in Gran Bretagna. Una percentuale che si riduce un po’ in Germania (66%) e in Francia (62%), ma crolla decisamente in Italia con un 56%.

La Russia super nemica

In tutti i Paesi tra cui si è svolto lo studio, «la maggioranza, o una pluralità di cittadini, vede la Russia come l’ostacolo principale ad eventuali accordi di pace, con alte percentuali in Finlandia (87%), Svezia (82%), Gran Bretagna (76%), Polonia (74%) e Spagna (69%)». Una opinione di responsabilità principale di Mosca che si attenua in Romania (42%) e in Italia (39%). Russia la più colpevole per tutti, «Ma gli italiani sono i più scettici riguardo al ruolo della Russia nello scoppio della guerra». Analisi critica e controcorrente del 35% degli intervistati c he incolpano l’Ucraina, gli Stati Uniti o l’Ue.

Prima la pace poi la giustizia

Mediamente, tra gli 8.172 intervistati europei tra il 28 aprile e l’11 maggio 2022, «il 35% è a favore della pace ed il 22% della giustizia. Un altro 20% può essere considerato come un gruppo composto da “indecisi”, dove sono inclusi coloro che non sanno scegliere tra gli imperativi di pace e giustizia, ma sostengono comunque l’azione dell’Europa in risposta alla guerra. Il gruppo della pace è sostenuto -rivela il sondaggio-, principalmente dagli italiani, precisamente il 52%, mentre «i polacchi sostengono fortemente il gruppo della giustizia, con il 41% che desidera punire la Russia ed è a favore del ripristino dell’integrità territoriale dell’Ucraina».

Relazioni con Mosca

«La maggioranza degli intervistati ritiene che i governi nazionali dovrebbero interrompere le relazioni economiche, diplomatiche e culturali con Mosca», con le ormai quasi ripetitiva differenze. La più ‘anti russa’ i questa particolare classifica c’è la Polonia, per ovvie ragioni di affinità e timori storici e anche perché -spiega il Consiglio europeo delle relazioni estere-, «il governo di Varsavia ha accolto più della metà degli ucraini in fuga».

Tra l’accogliere e il dare

Sulla questione dei profughi, sostiene gli sforzi del proprio governo nazionale per il reinsediamento dei rifugiati ucraini il 91% dei cittadini in Finlandia, il 90% in Svezia, l’83% in Portogallo e Spagna, l’82% in Gran Bretagna e il 76% in Germania, il dato si riduce invece proprio in Polonia, con “solo” il 71% degli intervistati propenso ad accogliere i profughi ucraini. L’Italia penultima con il 75%.

Petrolio a gas russi

Il 58% degli europei vuole poi che l’Ue riduca la sua dipendenza dal petrolio e dal gas russo, «anche a scapito degli obiettivi climatici». Lo vogliono in particolare coloro che vivono in Finlandia (77%), Paese «che importa la maggior parte del gas dalla Russia». In generale, sembra però che gli europei inizino ad abituarsi alla guerra e a preoccuparsi soprattutto dell’«interruzione dei commerci, l’aumento dei prezzi dell’energia e l’inflazione», sottolinea Eleonora Martini sul Manifesto. Oltre che delle armi nucleari in mano al Cremlino.

Troppa guerra, poca attenzione al sociale

Il 42% degli intervistati ha affermato «che i propri governi dedicano troppo tempo alla guerra in Ucraina» invece che ad altri problemi. «Ma la guerra – avverte l’Ecfr-, è come le montagne russe: l’opinione pubblica può cambiare ad ogni svolta, ed è anche un motore estremamente potente». Forse il segnale più preoccupante è che la maggior parte degli europei vede l’UE come uno dei principali perdenti della guerra, piuttosto che interpretare la sua relativa unità come un segno di un’unione rafforzata.

Vecchie e mai superate divisioni Ue

Rimane dunque il pericolo che i campi di pace e giustizia possano ancora diventare elemento di divisione e scontro «come furono i debitori ei creditori nella crisi dell’euro dei primi anni 2010. Se questo accadrà e se l’UE viene immobilizzata dalle sue stesse divisioni, allora la guerra potrebbe segnare l’emarginazione permanente dell’Europa sulla scena mondiale».

Suggerimento European Council

L’opinione pubblica europea ha rafforzato l’unità dell’UE di fronte all’invasione russa dell’Ucraina ma tocca ora ai leader europei sostenere questa unità, che nello scorrere della guerra sembra accentuare invece le differenze tra l’Europa baltica confinante col teatro di guerra, l’Europa centrale della leadership economica da salvare, e l’Europa del sud più a rischio economico per debito pregresso e altra minaccia migratoria.


  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)
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