Reader’s – 20 dicembre 2022. Rassegna web

Vergognoso e immotivato licenziamento del direttore de “L’Espresso” Lirio Abbate

Chi, come e perché sceglie la linea editoriale di piccoli e grandi media in Italia e non solo in Italia? Che parte hanno nella decisione giornalisti, lettori, ascoltatori e telespettatori ? Più o meno la stessa che hanno i dipendenti e i clienti di qualunque azienda, cioè nessuna. A decidere è il proprietario, con la nomina del direttore di testata che sul giornale ha i poteri di un dittatore. Un tempo vincolato dal contratto di lavoro giornalistico, oggi con la diffusione del precariato anche nei media, lo è molto meno. Come assai meno garantita è anche l’autonomia del direttore dalla proprietà editoriale. Illuminanti al riguardo le vicende del gruppo editoriale Espresso – Repubblica.

Danilo Iervolino, 43 anni, imprenditore napoletano, così come aveva comprato una squadra di calcio, la Salernitana, pochi mesi dopo ha acquisito il 51 per cento di Bfc Media, ovverosia Forbes Italia, e con questa anche il gruppo editoriale l’Espresso. Lirio Abbate, giornalista investigativo e scrittore, da oltre vent’anni all’Espresso e ben noto per le sue inchieste sulla ‘drangheta e su “Mafia capitale”, promosso da vice direttore a direttore il 4 marzo scorso, in sostituzione di Marco Damilano, “per continuità nella direzione”, da domani, 21 dicembre verrá sostituito. Andrà al suo posto Alessandro Rossi, direttore di Forbes Italia, notoriamente testata giornalistica poco avvezza a un giornalismo d’inchiesta come quello dell’Espresso.

Secondo Dagospia, “la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso è un’inchiesta, pubblicata nell’edizione di domenica scorsa, 11 dicembre, sull’Amazzonia. Ma cosa c’era di tanto scomodo nel lungo articolo, firmato da Paolo Biondani e Pietro Mecarozzi da giustificare il siluramento del direttore? La risposta è semplice: un attacco durissimo a Exor e Cnh di John “Yaki” Elkann. Le due società degli Agnelli venivano tirate in ballo tra quelle che finanziano i colossi brasiliani accusati dei roghi che stanno devastando le foreste amazzonica. E Yaki, memore dei bei tempi in cui era lui l’editore dell’Espresso, non avrebbe affatto gradito. Il nipote dell’Avvocato si è incazzato e l’ha fatto presente a Iervolino, minacciando di stracciare l’accordo per la distribuzione del settimanale in allegato a Repubblica (che scade a marzo). E a quel punto il vispo “golden boy” dell’editoria italiana si è rivalso sul direttore”.

Vera o falsa che sia l’indiscrezione, per questa “immotivata sostituzione del direttore Lirio Abbate proprio nel momento in cui deve essere attuato il piano editoriale”, i giornalisti dell’Espresso hanno proclamato lo stato di agitazione e dato mandato al comitato di redazione di prendere ogni tipo di iniziativa a tutela del prestigio e dell’indipendenza della testata”. Lo rende noto il cdr dell’Espresso, in una nota congiunta con il sindacato Rsa. E oggi, Martedì 20 dicembre, e il primo giorno di astensione dal lavoro del pacchetto di 10 affidato dall’assemblea al Cdr.

Per la redazione della rivista, a cui è andata subito anche la solidarietà di Articolo 21, “preoccupa la scelta del nuovo direttore di non lasciare altre direzioni e la non meglio precisata volontà di integrare e “omogenizzare” L’Espresso con altre testate del gruppo che nulla hanno a che fare con la storia e l’identità del nostro settimanale.

Siamo aperti al confronto con l’azienda e con il direttore su basi di chiarezza, trasparenza e reciproco rispetto, ma ribadiamo – concludono i giornalisti – che saremo intransigenti e compatti nel difendere il prestigio e l’indipendenza del nostro giornale“. E il segretario della Federazione nazionale della Stampa, Lorusso, si è detto “al fianco dei colleghi in tutte le iniziative di lotta per salvaguardare l’identità e il prestigio del giornale».


Col contante sull’autostrada

di Massimo Marnetto

”Inserire la carta – Attendere, prego – Ritirare la carta – Arrivederci” Ci vogliono circa 30 secondi per pagare al casello con la carta di credito. Mentre chi paga con i contanti deve versarli, aspettare il conteggio automatico, attendere il resto, raspare bene con la mano la vaschetta per raccogliere tutti gli spiccioli sperando che nessuna moneta gli cada costringendolo a scendere per raccoglierla, sistemarli nel borsellino e finalmente togliersi di mezzo. 

Ecco, se Salvini vuole aggiornare la sua bacheca di ”rompiballe”, gli proporrei di togliere chi paga il caffè con un rapido contatto al Pos e inserire invece chi ancora usa i contanti per pagare i pedaggi, allungando le file ai caselli, soprattutto nei periodi festivi.


Chi è il filosofo?

di Giovanni Lamagna

E’ una persona come tutte le altre; non necessariamente o particolarmente istruita. Che, però, a differenza della maggioranza delle persone, anche di quelle molto istruite, sottopone continuamente il suo pensiero ad uno stress-test, che lo porta a valutare le estreme conseguenze delle sue ipotesi di partenza, per verificarne (testarne, appunto!) la valenza, la validità teorica.

Il filosofo, quindi, è uno abituato a dialogare continuamente con l’Altro da sé, che ne mette in crisi, in discussione, continuamente non solo i pensieri, le idee, ma anche le pulsioni, le emozioni, i sentimenti.

Il filosofo, insomma, è uno che interroga continuamente sé stesso e si fa interrogare dagli altri.

E su questi interrogativi e sui tentativi di dare loro risposte forma, plasma la sua stessa esistenza, il suo stile di vita.

Come mi ha insegnato Pierre Hadot, specie nel suo “La filosofia come modo di vivere” (Einaudi 2008).


  • La differenza
    È infatti enorme la differenza tra la guerra e la pace. E la tragedia è proprio questa, che la guerra si concede una pausa per riprendere ancora più incondizionata di prima. E ciò perché questa non è neanche degna di essere chiamata guerra, perché le guerre si fanno per ottenere qualcosa, che è la posta in gioco della guerra. Invece questa è una guerra che ha per fine la negazione reciproca dell’esistenza dell’altro. E attraverso un rovesciamento di ciò, nella costruzione di una umana convivenza tra i membri del popolo palestinese e i cittadini ebrei dello Stato di Israele, che può istituirsi, non una tregua, ma la pace
  • Scendere
    Mi tocca difendere il Ministro Lollobrigida, perché la sua richiesta di fermata del treno in ritardo, per proseguire in auto, era motivata da un interesse pubblico istituzionale, prevalente su quello privato degli altri passeggeri. Ovvero la sua presenza come Ministro – cioè a nome dello Stato – a Caivano, per inaugurare un parco ad alto valore simbolico, come riscatto di un territorio abbandonato al degrado e alla criminalità. (Marnetto)
  • La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele
    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
  • Professione reporter dopo il 7 ottobre. I dubbi di Eric Salerno (e non soltanto)
    Come è stata l’informazione dal 7 ottobre a oggi, ossia da quando i palestinesi –‘militanti di Hamas’, ‘terroristi’, ‘nazisti’, ‘criminali di guerra’, ‘partigiani’, ‘combattenti per la libertà’ o altri termini scelti da chi giudicava e raccontava – hanno dato l’assalto a Israele? Cosa sono oggi i giornalisti o fotografi ‘embedded’? Cosa rappresentano i palestinesi arabi che lavorano per i grandi media; giovani o meno che raccontano da Gaza? E la stampa israeliana? Quella italiana?
  • Pazzo
    Guardo l’Argentina e penso all’Italia. Nella nazione del Sud America la povertà si è talmente diffusa da risucchiare nell’angoscia metà della popolazione. I poveri prima smettono di votare (astensione), dopo scelgono il ”pazzo” più distruttivo del sistema che li ha affamati.  E questo processo è più rapido se c’è l’elezione diretta del presidente (o del premier). (Marnetto)
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