Reader’s – 20 aprile 2022

Spigolando nella rete, come si propone di fare questa rubrica, ho trovato questa “intervista inventata” di Ennio Remondino ad Alberto Negri del Manifesto sulle “aporie” (percorsi senza via d’uscita) che chiudono di fatto la strada del negoziato, tanto che si parla ormai per l’Ucraina di una guerra lunga e dall’esito incerto. E a chiederne la fine “sembra sia rimasto soltanto papa Francesco. ….Pessima guerra in cui l’assurdo della tifoseria da stadio ottunde la nostra capacità di sentire e di cercare di capire”.

La trattativa scomparsa

Ennio Remondino finge dunque di chiedere ad Alberto Negri perché nessuno tra le parti in causa (anche Usa e Nato) parla più di trattativa e di accordi e in molti ormai parlano di guerra lunga e di logoramento.

«Dovremmo domandarlo a Putin – risponde Negri – che ha iniziato questa insensata e ingiustificata aggressione dell’Ucraina condotta come una guerra di annientamento. Che rischia di far sprofondare un continente. Dovremmo chiedere anche a Zelensky – che un giorno molla uno schiaffo al presidente tedesco e un altro al papa – fino a che punto è pronto a spingersi per sacrificare se stesso e l’Ucraina”. Tuttavia, l’unica risposta conosciuta che abbiamo al momento, quella degli Stati Uniti, è raggelante, speculare probabilmente alla violenza messa in campo da Mosca contro la popolazione civile.

Una guerra anti russa in conto Usa sulla pelle dell’Ucraina sacrificale.

La scorsa settimana il Pentagono “ha ospitato i vertici delle otto maggiori aziende di armi statunitensi per valutare la capacità industriale di soddisfare il fabbisogno di armamenti dell’Ucraina. E poiché la previsione è che la guerra debba «protrarsi per anni» , ieri Biden ha annunciato lo stanziamento di altri 800milioni di dollari in armi per Kiev – siamo a un totale di 2,4 miliardi di dollari in armi dagli Stati uniti».
Come è noto, tra settembre 2014 e febbraio 2015, Russia, Ucraina, Francia e Germania firmarono diverse versioni dei cosiddetti accordi di Minsk che però non furono mai attuati. Con il fallimento di quegli accordi l’Europa è uscita di scena. Gli Usa di Obama avevano delegato la diplomazia agli europei e si erano tenuti fuori dai negoziati, visti come una legittimazione dell’annessione di Putin della Crimea.

«Fuck the Eu»

La posizione americana sul ruolo dell’Unione fu allora sintetizzata dalla celebre invettiva del segretario di Stato aggiunto, Victoria Nuland, «Fuck the Eu», letteralmente «l’Unione europea si fotta», scappata nel gennaio 2014 durante una telefonata con l’ambasciatore americano a Kiev, Geoffrey Pyatt, in cui discuteva la possibilità di un accordo tra il governo ucraino di Yanukovich e l’opposizione».

“Il disinteresse americano alle soluzioni diplomatiche si è poi riflesso nelle argomentazioni (e nelle bugie) di Putin. Quando nell’autunno scorso i russi hanno cominciato ad ammassare truppe ed equipaggiamenti militari al confine ucraino, hanno sottoposto agli Stati Uniti una lista di «proposte», una sorta di ultimatum, tra cui lo stop all’espansione della Nato, all’arretramento del suo schieramento e l’inizio di un negoziato per una nuova architettura di sicurezza.

Gli Usa per allungare una guerra per procura e logorare Mosca, alleata della Cina, sul campo di battaglia continentale.

La risposta è stata gelida: la classe politica americana ha ritenuto irricevibili le richieste di Mosca e la ha paragonate alle concessioni del premier britannico Chamberlain a Hitler. All’amo della diplomazia sulla questione ucraina hanno abboccato soltanto i leader europei. Sia i russi che gli americani non aspettavano altro, gli uni per iniziare un’invasione che li ha portati a occupare altri territori ucraini, gli Usa per allungare una guerra per procura e logorare Mosca, alleata della Cina, sul campo di battaglia continentale.
Il risultato è che ora l’Europa è stata inchiodata al dilemma geopolitico del secolo e forse della nostra stessa sopravvivenza: fare la guerra a Mosca senza entrare in guerra».

Ma può durare davvero a lungo una situazione tanto precaria? domanda Remondino al collega.

«Tutto si regge su un equilibrio sottilissimo e il filo lo tengono da una parte Putin e dall’altro gli Usa e Zelensky. Basti pensare a una possibile «provocazione» sulla questione delle armi chimiche. Chi giudicherà un’eventuale «reazione proporzionata» se saranno usate? Certamente non gli europei. Gli Usa non solo tengono in vita Kiev e possono far balenare un giorno anche una controffensiva.
Ma con gli stessi fili con cui muovono la fanteria ucraina muovono anche l’Europa: un successo indubbiamente dopo il fiasco clamoroso dell’Afghanistan. E indirizzano anche la narrativa del conflitto. Macron evita di usare la parola genocidio, utilizzata invece dal presidente Usa Biden, in riferimento all’Ucraina. Sa bene, come scriveva Kissinger sul Washington Post nel 2016, che «la demonizzazione di Putin non è una politica ma un alibi per continuare la guerra».

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    …e nel Tg1 delle 13 le aperture su Gaza, con poco rispetto dell’attualità, riguardavano ancora oggi le malefatte e le minacce di Hamas e soltanto dopo cronaca e immagini di stragi e macerie procurate dall’invasione israeliana. Ma l’esodo forzato dei palestinesi inseguiti dai carri armati israeliani verso l’Egitto non può che riportare alla mente quello negli stessi luoghi degli ebrei inseguiti dai carri del Faraone. Forse Israele non riuscirà a distruggere Hamas, ma è già riuscito a distruggere Gaza. (nandocan)
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