Reader’s – 2 settembre 2022 rassegna web

«La stampa è potente, ha potere. Chiedete ai vostri editori di dire ai referenti politici di cambiare la legge. Fin quando non cambia la legge io non intendo essere né indagato né sottoposto a procedimento disciplinare». Nel corso di una conferenza stampa tenuta ieri mattina nei nuovi locali della Procura di Catanzaro il procuratore Nicola Gratteri ha denunciato ancora una volta gli effetti di quella parte della riforma Cartabia che pone limiti alle conferenze stampa di pm e forze dell’ordine. Quella che, oltre a prevedere l’autorizzazione da parte del procuratore capo, stabilisce che le informazioni vengano fornite «in modo da assicurare, in ogni caso, il diritto a non essere indicati come colpevoli fino a sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili».

Gratteri disubbidisca e impugni

di Massimo Marnetto

Questa omertà processuale non mi piace. Non è accettabile sentir dire dal Procuratore Gratteri che non può comunicare i nomi degli indagati in una delle maggiori operazioni contro la ‘ndrangheta, perché altrimenti rischia iniziative disciplinari. Gratteri chiede aiuto ai giornalisti, tramite i loro editori, per far cambiare la legge. 

Io invece mi aspetterei da lui la disubbidienza civile di dare tutte le notizie processuali che si potevano comunicare prima del ”bavaglio”, esponendosi volontariamente a un procedimento, per poi impugnare la norma limitativa presso la Consulta, per contrasto con il diritto all’informazione (art.21).

Capisco che si alzerebbe una polemica enorme, ma da un ”combattente” come Gratteri mi aspetto che non si adegui all’obbedienza di norme ingiuste. E avrà al suo fianco tutti gli italiani che sanno che l’informazione è una componente essenziale della legalità.


Opportunità, limiti e rischi di Facebook.

Da Giovanni Lamagna un realistico punto di vista su virtù e difetti nell’uso del più praticato dei social.

di Giovanni Lamagna

Facebook costituisce, come ben sanno coloro che lo frequentano da anni, una sorta di foro, agorà, di piazza o mercato moderni: offre pertanto occasioni e opportunità di incontro (e – perché no? – di apprendimento) straordinarie.

Un incontro “virtuale”

Con la differenza (non piccola: è persino banale dirlo) che nei fori e nelle agorà di una volta l’incontro tra le persone era fisico, reale, oltre che emotivo, mentale, intellettuale; avveniva nel vis a vis. Su facebook l’incontro è, invece, solo verbale, al massimo emotivo ed intellettuale; è, quindi, “virtuale”, per usare il linguaggio della Rete.

L’assenza del contatto fisico, vis a vis, non è ovviamente ininfluente; produce anzi effetti negativi importanti, significativi.

Alla soglia dell’ intimità

Il primo: in molti casi, ho l’impressione, che la Rete costituisca addirittura una sorta di difesa rispetto al coinvolgimento reale delle persone nel rapporto; è un contatto che resta emotivamente freddo, poco coinvolgente; che arriva alla soglia dell’intimità, ma sta bene attento a non attraversarla, a non superarla. Tanto è vero che spesso le persone in contatto sulla rete, quando si incontrano fisicamente (nei rari casi in cui ciò avviene), molte volte fanno finta di non conoscersi; o, nel migliore dei casi, si riconoscono ma a stento si salutano.

Un contatto apparente

Il secondo risultato è che gli scambi intellettuali sono molto meno trasformativi di quelli che una volta erano (e sono ancora oggi) i rapporti fisici, vis a vis: le parole scambiate, il più delle volte, scivolano sul cuore e sulla testa delle persone apparentemente entrate in contatto e non producono, quindi, veri e profondi cambiamenti.

violenza a distanza

Il terzo effetto negativo (il peggiore di tutti) è che non poche volte gli scambi comunicativi che avvengono in rete sono violenti, carichi di aggressività. Come se la distanza consentisse sfoghi di violenza che la vicinanza fisica probabilmente limiterebbe.

A distanza, infatti, la violenza fa oggettivamente meno male e questo dà più facilmente la stura all’aggressività, che, quando si è a contatto fisicamente, si tende a controllare maggiormente, per i danni reali, persino fisici, che essa potrebbe generare.

Verrebbe da chiedersi, a questo punto: sono maggiori le opportunità o i limiti e i rischi di facebook?

Opportunità o rischio: molto dipende dalle persone

La mia risposta a questa domanda è che molto dipende dalle persone che lo frequentano: ci sono persone per le quali facebook è una reale opportunità di crescita umana, altre per le quali è solo un rifugio, un’evasione dal mondo dei rapporti reali e, quindi, un fattore di regressione.

I rischi, beninteso, ci sono anche per le prime; il maggiore è quello di diventarne in qualche modo dipendenti e di scivolare, quindi, quasi senza rendersene conto, verso una forma di socializzazione che privilegia il contatto virtuale, in rete, a quello reale, fisico, vis a vis.

Ma anche le opportunità sono ben reali: innanzitutto perché su facebook ci è data possibilità di incrociare persone che non avremmo modo di conoscere nella vita reale, se non altro perché abitano e vivono a distanza (a volte notevole distanza) dal nostro luogo di residenza.

E in secondo luogo perché vi si incontrano sì persone di basso livello, che nel quasi anonimato dello spazio virtuale si sentono libere di sparare (come già faceva notare Umberto Eco) le più grandi imbecillità, ma vi si incontrano anche persone di notevole spessore umano e intellettuale, dalle quali si può imparare molto.

Un libro sempre aperto

In altre parole facebook è un libro sempre aperto, che possiamo sfogliare quotidianamente, quando vogliamo, le cui pagine affrontano gli argomenti più diversi. Sicuramente in maniera disordinata e persino caotica; ma dalle quali, altrettanto sicuramente, si possono apprendere molte cose, come se si sfogliasse un’enciclopedia autogestita dagli utenti, se queste pagine le si sa selezionare e sottoporre a vaglio critico.


‘Mission Zaporizhzhia’, tra scorie atomiche e colpi di artiglieria

(da Remocontro)

Tecnici Aiea nella centrale nucleare a Zaporizhzhia. Il capo missione: “Intensa attività militare, ma non ci fermiamo”. Il sistema di protezione dell’impianto nucleare è scattato questa mattina in seguito ad un attacco di artiglieria ed ha disattivato il reattore numero 5 dell’impianto: lo ha annunciato la società nazionale ucraina Energoatom. Accuse incrociate tra Kiev e Mosca su chi abbia sparato.

Accuse incrociate e irresponsabilità certe

I pochi fatti certi nello scambio di colpi di artiglieria e di accuse. Il sistema di protezione dell’impianto nucleare di Zaporizhzhia è scattato questa mattina in seguito a colpi di artiglieria nelle vicinanze, ed ha disattivato il reattore numero 5 dell’impianto. Secondo Energoatom si sarebbe trattato di un attacco di mortaio delle forze russe. Il capo dell’amministrazione di Mosca a Zaporizhzhia, Volodymyr Rogov, ha affermato invece che il reattore è stato spento in seguito ai colpi di artiglieria ucraini, riporta l’agenzia russa Tass.

Granate dimostrative e accuse

«La Russia sta colpendo in modo dimostrativo Energodar, lungo la strada della missione ufficiale dell’Aiea verso la centrale di Zaporizhzhia, per dare la colpa all’Ucraina», scrive su Twitter Mikhailo Podolyak, consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, mentre Mosca e Kiev continuano ad accusarsi a vicenda di sparare vicino alla centrale nucleare per intralciare e almeno intimidire l’ispezione degli esperti dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Ma la polemica per fortuna non trova al momento tifosi esterni.

Cosa deve controllare l’Aiea

Il compito principale degli ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, è innanzitutto quello di accertare che le norme di sicurezza di una centrale di quella portata, siano seguite nonostante lo stato di guerra. Secondo passaggio oltre l’emergenza sicurezza, verificare che negli impianti nucleari civili non si compiano attività collegate ad usi militari. I sospetti di Israele rispetto al nucleare civile iraniano, per intenderci. L’ipotesi di una bomba atomica ucraina ventilata nei mesi scorsi da Mosca, attraverso uranio arricchito della scorie trattate.

Controlli Aiea per l’Ucraina e per l’Europa

Strumentazioni, impianti di arricchimento, reattori, miniere e depositi di sostanze radioattive, tutti i materiali in entrata e in uscita -esempio le scorie nucleari-, non debbono essere inviati a impianti o usi differenti da quelli confermati dall’Aiea all’approvazione della centrale stessa e delle strutture collegate ad ogni attività nucleare. L’Aiea è di fatto l’unica organizzazione al mondo abilitata a verificare che il materiale nucleare nelle centrali civili sia esattamente quello dichiarato dal gestore, anche se contestata una sola volta con atto d’imperio unilaterale dell’ex presidente Usa Trump nei confronti del nucleare iraniano.

Molti giorni di lavoro e di forti timori

Mentre una normale ispezione dura in media tra le 4 e le 10 ore -scrive Piergiorgio Pescali sul Manifesto-, a Zaporizhzhia si prolungherà per giorni a causa della complessità dell’impianto (sei reattori, una piscina di decadimento, un deposito di materiale radioattivo a secco) e per il lungo periodo in cui la centrale ha operato senza controlli internazionali. La parte più delicata del lavoro sarà il controllo dei reattori e delle barre immerse nella piscina e le barre di combustibile esausto. E il controllo che la quantità del materiale presente sia uguale a quella dichiarata. A seconda del numero dei reattori, della loro potenza, grandezza, età, operatività, le barre possono essere migliaia.

Accuse incontrollabili

Gli ispettori dovranno anche valutare quanto siano vere le accuse mosse da Russia e Ucraina su parti del sito colpite da proiettili e, nel caso, la reale consistenza di questi attacchi sulla sicurezza della centrale e della popolazione. In particolare, Kiev ha più volte accusato Mosca di aver colpito il deposito di rifiuti radioattivi contaminando la zona e, in altri casi, di aver causato la fuoriuscita di idrogeno radioattivo da condutture e da tank del sito nucleare. Nessuno di questi addebiti ha però trovato conferma nelle analisi atmosferiche effettuate in continuo. Tra le accuse senza riscontro, quelle di abusi e torture ai danni del personale ucraino.


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    La feroce rappresaglia di Israele nella striscia di Gaza, accompagnata da un’ aggressiva reazione dei coloni nella Giordania occupata, rischia ora di compromettere, a vantaggio di Hamas, anche il fragile compromesso con i paesi arabi moderati, avviato col “patto di Abramo” e la compiaciuta assistenza degli Stati uniti. La Giordania ‘americana’ dice basta e potrebbe rompere con Israele.I Paesi arabi moderati, gli alleati di sempre, il lato debole della geopolitica americana prigioniera di Netanyahu in Medio Oriente. Prima tra tutti la Giordania. Re Abdullah II di fronte alla devastante reazione israeliana ai massacri di Hamas, sta per rivedere la trentennale ‘pacificazione’ con Tel Aviv, ma anche le relazioni privilegiate con Washington
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